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Bob Roberts

Regia di Tim Robbins vedi scheda film

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La recensione su Bob Roberts

di Aquilant
8 stelle

Bob Roberts è un uomo per tutte le stagioni (“Bob dresses and talks reactionary like Bush, campaigns in a bus like Clinton, think of it :on the road with Bob on guitar and Bill on sax, spouts racist bile like Duke and finances his own hype like Perot”, così lo descrive la critica americana). Aspirante senatore della Pensilvania, cantautore reazionario che riscrive in chiave destrorsa le ballate di Bob Dylan ("Times Are Changing Back") e di Woody Guthrie ("This Land Was Made for Me") riadattandone la mentalità e i modi, nemico dichiarato degli anni ’60 e ’70, sostenitore della guerra nel Vietnam giunto al vertice a 35 anni dopo oscure storie di traffici di droga, grande manipolatore mediatico e, dulcis in fundo, nemico dichiarato di tutto ciò che è in odore di sociale. Personaggio che riunisce in sé tutti i luoghi comuni di un conservatorismo retrogrado ed ipocrita, usando come scudo una serie di ideali perseguiti soltanto a parole (patria, famiglia, chiesa, lotta alla droga) per buttare fumo negli occhi dei gonzi e mascherare il marciume interiore di cui è cosparso all’interno. Roba da far impallidire d’invidia a ragion veduta tutti i nostalgici della golden era thatcheriana e reaganiana (ma tenete duro ragazzi, stan tornando i tempi bui!).
La pellicola è caratterizzata da un taglio prettamente documentaristico, da un ritmo frenetico scandito con implacabile progressione all'insegna del “chi si ferma è perduto” e da un montaggio secco ed essenziale che sbatte implacabilmente in primo piano immagini dirette e taglienti girate direttamente a mano con grande senso di realismo specie nei momenti più concitati, in un registro prevalentemente satirico che svicola sul drammatico nella parte finale. L’uso frequente di filmati di repertorio, interviste, stralci di telegiornali, videoclip, tutti ovviamente fasulli, rappresenta un esempio lampante di falso propagandistico che mira a svelare alcuni aspetti della realtà relegati nell’oblio in ossequio alla legge del più forte.
L’eclettico Tim Robbins, ideale interprete altmaniano per eccellenza, si cimenta in un riuscito tentativo di combattere il meccanismo mediatico con le sue stesse armi, quelle della comunicazione di massa, appropriandosi diligentemente delle tematiche del maestro, ridisegnandole con grande intuito ed intelligenza e facendo tesoro in special modo della serie TV Tanner ’88. Traccia a questo scopo le coordinate di una nazione tutta chiusa nella sua grettezza interiore, sempre pronta all'evocazione di un sogno americano finito nella spazzatura della storia, da tempo dissolto nel sangue e nella disillusione di una bruciante disfatta vietnamita e nuovamente riproposto dall'istrione di turno, prototipo di politicante ultra reazionario, sua personalissima creazione, ad immagine e somiglianza di una schiera di funesti personaggi che hanno fatto di un populismo demagogico la loro bandiera.
Traspaiono tra le righe il gusto dello sberleffo, la satira trasparente mirata al cuore del sistema, l’ipocrisia tipica di un arrivismo strisciante, l’aperta condanna di una concezione tutta mirata alla politica dell’immagine, ovvero al vuoto assoluto, la vibrante denuncia dei raggiri della politica, sublimati nelle immagini rivelatorie di un’opera tutt’altro che priva di un suo fascino interiore, impastata di una concezione pessimistica di fondo sulle potenzialità dell’individuo quale essere in grado di trascendere gli impulsi più gretti ed oscurantisti della sua personalità e riappropriarsi dei veri valori smarriti nel corso della sua esistenza. Ma questi brandelli di demistificante realtà sbattuti in faccia allo spettatore in modo impietoso ci invitano nonostante tutto a perseverare nell’identificazione e nello smascheramento di un eventuale Mister Hyde nascosto dentro di noi, provvisto di chitarra ed intento a cantare certe nostre segrete perversioni. Magari sotto forma di sotterranei nostalgici blues dell’anima devianti e ingannatori.
Duole che un’opera di tal fatta sia passata a suo tempo quasi inosservata qui in Italia e che al momento attuale sia da considerare niente più che una (tutt’altro che illustre) sconosciuta. Duole soprattutto perché ci sono forse più cose da imparare da questa cronaca di un’immaginaria scalata dell’anti-immaginazione al potere che dalla coppia di sferzanti creature di Michael Moore. Realtà contro fantasia. Ma non è detto che la prima debba per questo necessariamente mordere e lacerare più della seconda per sbatterci adeguatamente in faccia la realtà e la visione della pellicola lo dimostra in pieno. Provare per credere.

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