Nel 1978 nasceva ufficialmente lo “slasher” per mano di John Carpenter e del suo seminale Halloween. In questo sottogenere horror, un assassino, preferibilmente armato di arma da taglio, si aggira in un quartiere, tendenzialmente borghese, o in un college ricco di ragazze destinate alla mattanza, specialmente se fanno sesso. Il filone si è tanto codificato da generare pellicole citazioniste e parzialmente parodiche, come la serie di Scream, e quella specie di parodia al quadrato che è Scary Movie. Esauriti anche i brividi estivi per teenager americani di So cosa hai fatto, dove la variazione più significativa è la location esotica, e trasformata la saga di Venerdì 13 in una sorta di videogame con Freddy vs. Jason e Jason X nello spazio, lo slasher sembrava finito, anche se, a ben vedere, il buon esito al botteghino di Halloween venti anni dopo (probabilmente dovuto al ritorno di Jamie Lee Curtis nel ruolo della protagonista) aveva dimostrato che l’interesse del pubblico si era solo assopito.

Fallito il tentativo di capitalizzare una seconda volta sulla ritrovata Curtis con Halloween: la resurrezione, la Dimension/Miramax e il produttore Malek Akkad, la cui famiglia da tempo detiene i diritti della serie, hanno finalmente deciso di puntare sulla qualità proponendo un nuovo capitolo a Rob Zombie. Il leader dei White Zombie, alternative metal band dal discreto seguito, si è velocemente conquistato un considerevole credito sia presso i fan dell’horror sia presso la critica cinematografica tout court, prima con l’esordio nella Casa dei 1000 corpi quindi, e soprattutto, con l’originale sequel La casa del diavolo (insensata traduzione di Devil’s Rejects), un horror-western on the road che rimarrà tra gli esiti più felici del genere di questo decennio.

La scelta di Zombie ha pagato e Halloween – The Beginning, distribuito negli Usa ovviamente il 31 ottobre, è risultato essere il miglior incasso della serie. Per il nono capitolo della saga al regista è stato chiesto di realizzare non un sequel bensì un remake del classico di Carpenter. Inizialmente Zombie era scettico: «non ha mai funzionato molto bene, soprattutto per i film che penso fossero buoni già la prima volta. Non ne vedevo il senso. Poi ho cominciato a pensare a film che mi erano piaciuti molto e che erano dei remake, come Scarface o Cape Fear. Se non fosse esistito il remake, staremmo ancora a guardare la versione muta di Dracula». Per rendere diversa la sua pellicola da quella di Carpenter, il regista del Massachussets ha puntato sui fatti che nel primo Halloween venivano raccontati ma non messi in scena. Una scommessa rischiosa, perché lo psicologismo è dietro l’angolo in ogni genesi di questo tipo, in particolar modo se il personaggio passa diversi anni della sua vita in un istituto psichiatrico e uno dei personaggi principali è proprio il suo terapeuta. Ma Zombie non vuole giustificare né spiegare il male che è in Michael Myers: «Abbiamo deciso di far agire Michael come un vero psicopatico. Il che non significa che non sia accattivante, alcune delle mie ricerche hanno rafforzato l’idea che uno psicopatico può essere carismatico, affascinante e amichevole. Il problema è che non possiede il discernimento tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Non ha rimorso. Non ha senso di nulla».

Il regista, anche sceneggiatore, ha impiegato molto tempo a trovare il ragazzino giusto per la parte, un sorprendente Daeg Faerch, di cui dice: «Alcune volte sembra pauroso e intenso, il secondo dopo pare il bambino più dolce della terra. Trasmette, con naturalezza, strane emozioni». Per gli altri interpreti invece le idee erano chiare fin da subito: Malcolm McDowell, l’indimenticato Alex di Arancia Meccanica (il film preferito di Rob Zombie), è stata la prima scelta per il Dr. Loomis, lo psichiatra dell’assassino; allo stesso modo Tyler Mane, che aveva avuto una piccola parte nel film precedente del regista, è subito parso perfetto per la versione adulta di Michael. L’ex lottatore di wrestling alto ben due metri e tre centimetri, già visto in X-Men nel ruolo di Sabretooth e in Troy in quello di Aiace, è tanto massiccio che il coltello da macellaio ha dovuto essere allungato per risultare minaccioso nella sua gigantesca presa. Secondo McDowell «Michael Myers possiede una sorta di pathos. È un po’ come il mostro di Frankenstein: ha il suo stesso tipo di cuore e c’è un’emozione che tira fuori anche se non pronuncia mai una parola. È completamente muto, ma il modo in cui si muove è bellissimo, convoglia vulnerabilità e ciò è molto importante, perché un mostro pauroso puro e semplice non dice molto se non c’è vulnerabilità. Tyler è stato molto bravo a rendere tutto questo unicamente grazie al movimento».

Il cast comprende inoltre, tra gli altri, Brad Dourif nel ruolo dello sceriffo della cittadina (la cui location è la stessa del film originale), Scout Taylor-Compton nella parte di Laurie Strode che fu della Curtis e Udo Kier in un cameo. Tornano poi dalla Casa del diavolo, oltre a Tyler Mane, la moglie del regista Sheri Moon Zombie, William Forsythe e Danny Trejo (immortalato dal folgorante Machete di Rodriguez), ma soprattutto continua la collaborazione del regista con il direttore della fotografia Phil Pharmet, il tecnico degli effetti speciali al trucco Wayne Toth, il compositore Tyler Bates e il montatore Glenn Garlandi. Una squadra che garantisce continuità e qualità nonostante i due film siano molto diversi, a partire dall’ambientazione e dalle tecniche di ripresa (qui si mimano le soggettive carpenteriane abbandonando la camera a mano della Casa del diavolo).
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