Con il film Good Boy (da non confondere con il suo omonimo), il regista Jan Komasa firma un thriller psicologico costruito come una favola contemporanea dai toni cupi. Il racconto ruota intorno alla dinamica famigliare come struttura educativa alternativa, con una premessa centrale: cosa siamo disposti a sacrificare pur di sentirci visti, contenuti, riconosciuti?
Scritto da Bartek Bartosik con Naqqash Khalid, e girato tra Polonia e Regno Unito, il film si inserisce nella linea di interesse del regista per le tensioni tra libertà individuale e appartenenza a una comunità. L’ambientazione domestica diventa uno spazio chiuso in cui esplorare rapporti di potere, condizionamento e responsabilità affettive.
In anteprima alla Festa del Cinema di Roma, sarà prossimamente in sala con Minerva.
La tana del coniglio
Tommy (Anson Boon), il good boy del titolo del film, ha 19 anni e conduce una vita segnata da comportamenti autodistruttivi e rifiuto delle regole. Durante una serata con il suo gruppo di amici, si allontana e scompare. Al risveglio, si trova incatenato nel seminterrato di una casa di periferia. I suoi carcerieri sono Chris (Stephen Graham), la moglie Kathryn (Andrea Riseborough) e il figlio Jonathan (Kit Rakusen).
Non si tratta di un sequestro nel senso classico. Nessuna richiesta esterna, nessun riscatto. La famiglia ha in mente un progetto di “rieducazione”. Tommy viene coinvolto in una serie di rituali e dinamiche psicologiche che puntano a modificarne il comportamento. Ogni giornata si trasforma in un confronto tra resistenza e condizionamento, in cui la distinzione tra punizione e cura si fa sempre più sottile.
Maschere e prigioni
Tommy nel film Good Boy rappresenta una forma di marginalità giovanile priva di riferimenti stabili. Il personaggio mostra un distacco sistematico da ogni autorità e una disposizione al conflitto. Nel corso della narrazione, il suo ruolo evolve all’interno di uno schema di controllo che ne mette in discussione l’identità e la volontà. Le sue reazioni oscillano tra rifiuto, adattamento e confusione, ponendo interrogativi sul rapporto tra autodeterminazione e costrizione.
Chris è il centro decisionale della famiglia. Agisce in base a una logica che si presenta come correttiva, attraverso regole e interventi rigidi. Non esprime violenza plateale, ma esercita autorità in modo costante. Il suo atteggiamento lascia intravedere una visione educativa fondata su ordine, disciplina e responsabilità imposta. È un personaggio che pone domande sul ruolo del potere all’interno di un ambiente domestico.
Kathryn è presente ma defilata. Interviene raramente in modo diretto, ma partecipa all’insieme delle dinamiche. La sua posizione è ambigua: osserva, asseconda, talvolta accompagna. Il suo silenzio non è neutro e contribuisce alla costruzione del contesto relazionale in cui si svolgono i tentativi di riformare Tommy. La sua funzione narrativa sembra mettere in discussione la linea tra passività e consenso.
Jonathan è il figlio della coppia e vive immerso in questo sistema. La sua presenza introduce una dimensione ulteriore: quella della formazione infantile in un contesto dove le regole si applicano con metodo e rigore. Attraverso Jonathan si riflette il potenziale effetto a lungo termine di un modello familiare fondato su controllo e obbedienza.

Addestramento emotivo
Una delle domande che emergono nel film Good Boy riguarda il valore della libertà in un contesto dove l’essere visti e riconosciuti sembra prevalere sul potere decisionale individuale. Il lungometraggio esplora un dilemma: la solitudine dell’autonomia contro la sicurezza offerta da una struttura rigida, anche se imposta.
La rappresentazione della famiglia si allontana da una visione idealizzata e assume le caratteristiche di una micro-struttura normativa. Al suo interno si esercitano controllo, regolazione e disciplina, ponendo il nucleo domestico come spazio di potenziale re-ingegnerizzazione dell’individuo. La narrazione suggerisce che in assenza di sistemi educativi esterni, la famiglia possa diventare un laboratorio ideologico.
Il concetto di “rieducazione” è posto al centro della relazione tra Tommy e la famiglia. Il metodo adottato richiama strategie psicologiche complesse, tra isolamento, punizione e premio. Il film suggerisce un’analisi dei meccanismi con cui si può influenzare il comportamento umano, anche in contesti non istituzionali.
Jonathan agisce come riflesso del modello educativo a cui è esposto. Il suo comportamento non appare autonomo, ma appreso. Questo passaggio generazionale della norma imposta apre una riflessione sul modo in cui i valori e le abitudini si trasmettono nei contesti familiari. L’infanzia, in questo caso, diventa parte attiva nella conservazione di un sistema chiuso.
Il confine tra cura e controllo
Il film Good Boy costruisce un racconto ambientato in uno spazio chiuso ma simbolicamente aperto a interrogativi complessi. La casa non è solo un luogo fisico ma una struttura di potere. La libertà, la dipendenza emotiva, la necessità di appartenenza e la funzione educativa della famiglia vengono esplorate attraverso una dinamica claustrofobica.
Più che offrire risposte, Komasa apre una serie di questioni su come viene definita la normalità e su quali siano i confini tra sostegno e oppressione. Se la cura implica anche controllo, allora la domanda non è solo cosa siamo disposti a sopportare per essere accolti, ma cosa siamo disposti a diventare per non restare soli.
Disclaimer
Questo testo è stato redatto sulla base di informazioni e note di regia condivise dalla produzione, supportate dalla visione di interviste e materiali promozionali, ma senza avere visto il film. In alcun modo, quindi, questa presentazione di Good Boy può essere intesa come una recensione o una critica cinematografica.
Filmografia
Good Boy
Thriller - Polonia, Regno Unito 2025 - durata 110’
Titolo originale: Good Boy
Regia: Jan Komasa
Con Stephen Graham, Andrea Riseborough, Anson Boon
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