Il cinema di Ildikó Enyedi si è spesso mosso tra i confini sfumati dell’identità, della percezione e del rapporto tra realtà e immaginazione: con il film Silent Friend, presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2025, la regista ungherese propone un’opera che lavora sul tema della comunicazione silenziosa, sulla relazione tra esseri umani e forme di vita non umane, e sull’invisibile che permea la realtà.
Il titolo rimanda a una presenza che non si esprime con le parole, ma che entra comunque in relazione con chi le sta accanto. Il film si sviluppa su una narrazione che non aderisce a modelli lineari e si concentra su un’esperienza di confine: tra scienza e percezione, tra osservazione e immersione, tra individualità e appartenenza collettiva.
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Intorno a un albero
Un albero osservato per oltre un secolo in un giardino botanico diventa il punto di convergenza di tre esperimenti condotti in tempi diversi. Tre ricercatori, in tre epoche storiche – 1908, 1972 e 2020 – si confrontano con la possibilità di una comunicazione tra specie. L’oggetto dello studio è un Ginkgo biloba femmina, sopravvissuto alle estinzioni, al tempo e al silenzio.
I protagonisti umani – Grete, Hannes e Tony – si avvicinano all’albero con strumenti e aspettative differenti. Nel corso del tempo, l’indagine scientifica si intreccia con processi emotivi, sensoriali e percettivi, mettendo in discussione le categorie convenzionali di oggettività, osservazione e alterità.
Una narrazione stratificata
Il film Silent Friend si sviluppa in tre episodi, ambientati nello stesso luogo – un giardino botanico annesso a un’università tedesca – ma in epoche distinte. Il tempo, in questo film, non è solo lo sfondo della narrazione: è parte attiva del racconto. Ogni segmento è girato con un linguaggio visivo diverso, pensato per restituire il rapporto dei protagonisti con l’esperimento e con la realtà che li circonda.
1908: Grete, giovane studentessa (Luna Wedler), entra in un’università interamente maschile. Osserva le piante e le fotografa in bianco e nero. Le sue immagini, ispirate a Karl Blossfeldt, mostrano l’elemento vegetale come struttura e come forma. In questa fase, il contesto accademico appare solido, gerarchico, formale.
1972: Hannes (Enzo Brumm), ragazzo proveniente dalla campagna, si muove in un ambiente culturale più aperto. L’università è attraversata da nuovi linguaggi e desideri collettivi. Il contatto con l’albero avviene in un clima informale, in cui il tempo sembra fluire in modo impressionistico. Le immagini sono girate in 16mm, con colori vivi ma imprecisi.
2020: Tony (Tony Leung Chiu-Wai), neuroscienziato, lavora in un campus svuotato dal lockdown. La sua ricerca riguarda la coscienza e la percezione. In questa sezione, l’interazione con il ginkgo assume un carattere contemplativo. L’unico contatto umano è con Alice Sauvage (Léa Seydoux), scienziata che studia la comunicazione vegetale e guida Tony in un campo che gli è estraneo. Le immagini digitali, precise e fredde, segnano la distanza tra osservazione e esperienza.

Tra osservazione e relazione
Fin dal primo segmento del film Silent Friend, l’albero non è rappresentato come semplice oggetto di studio. La relazione che si costruisce tra i personaggi e il ginkgo si sviluppa al di fuori del linguaggio verbale e al di là del metodo scientifico convenzionale. Il film si interroga su come gli esseri umani possano percepire forme di vita non umane, e se esista un modo per “ascoltarle” senza proiettarvi sopra i propri schemi interpretativi.
La regista si ispira al concetto di “Umwelt” (mondo sensoriale proprio di ogni specie) e alla riflessione di Thomas Nagel sul fatto che non possiamo sapere “com’è essere un altro”. Questa consapevolezza attraversa tutto il film, che non cerca di “tradurre” l’esperienza dell’albero, ma di esplorare i limiti e le possibilità del nostro sguardo.
Il tempo come esperienza sensibile
Ogni personaggio umano del film Silent Friend entra in contatto con il ginkgo secondo un ritmo diverso. Il tempo dell’albero – ciclico, silenzioso, lento – entra in contrasto con quello umano, sempre condizionato da urgenze culturali e sociali.
Grete trova un modo per “fermare” il tempo attraverso la fotografia. Hannes lo attraversa in modo liquido e discontinuo, in una realtà sociale in fermento. Tony, nel vuoto della pandemia, rallenta fino a percepire la possibilità di altri tempi, quelli dell’albero ad esempio.
Questa esplorazione dei ritmi biologici e percettivi viene espressa anche attraverso la struttura visiva del film: bianco e nero, pellicola 16mm e digitale coesistono come tracce sensoriali di mondi differenti.
Corpi in ascolto
Oltre alla mente, il film Silent Friend pone attenzione al corpo come strumento di percezione. La relazione tra umani e piante è suggerita attraverso gesti minimi, atti silenziosi, variazioni di ritmo e prossimità. Il film include anche una dimensione sensoriale e sensuale, senza esplicitarla ma suggerendola come parte di un’esperienza interspecie.
In una delle scene più emblematiche, Alice e Tony cooperano per permettere al ginkgo, albero femmina, di vivere un’esperienza riproduttiva. La scena, ispirata a pratiche botaniche reali, è costruita con un tono insieme pratico, affettuoso e rispettoso.
Tutti i protagonisti – umani e vegetali – condividono una condizione di parziale estraneità. Grete è l’unica donna in un’università maschile; Hannes non si sente parte dell’ambiente accademico; Tony è un ricercatore asiatico isolato in un contesto europeo. Anche il ginkgo è un albero solitario, piantato in un giardino botanico lontano dal suo habitat naturale.
Questa condizione di marginalità non è rappresentata come problema da risolvere, ma come punto di osservazione. L’essere “fuori posto” diventa occasione per percepire ciò che è normalmente invisibile o ignorato. Il film si muove così in uno spazio di confine, dove le categorie identitarie e scientifiche si rivelano porose.

Una scienza non distaccata
La regista ha più volte dichiarato che il film Silent Friend è anche una riflessione sul ruolo della scienza nella nostra epoca. La ricerca scientifica viene rappresentata non come autorità distante, ma come pratica sensibile, partecipata, umana. Il riferimento alla nozione di “empirismo tenero” (Zarte Empirie) coniata da Goethe, indica un’idea di conoscenza che coinvolge il soggetto, non lo esclude.
La presenza dell’albero, così come quella dei protagonisti umani, non è mai oggettivata. Tutti partecipano a un’esperienza che si svolge al di là della parola, ma non per questo è priva di senso.
Perché un film su un albero?
L’idea del film Silent Friend nasce da una proposta del produttore Karl Baumgartner, che conosceva l’interesse di Ildikó Enyedi per il mondo vegetale. La regista, pur dichiarandosi “una ragazza di città, senza il pollice verde”, ha spesso attraversato nei suoi film la soglia tra umano e non umano. Il ginkgo, pianta millenaria, resistente e femmina – le ha permesso di concentrare in un’unica presenza tempo biologico, storia culturale, isolamento e memoria.
Lontano da ogni idealizzazione romantica della natura, Silent Friend osserva l’albero come un essere complesso, con una sua percezione del mondo. Un soggetto impossibile da comprendere del tutto, ma impossibile anche da ignorare. La scelta dell’albero come “partner muto” permette al film di esplorare le modalità con cui l’umano cerca connessione con ciò che è altro, ma non estraneo.
«Ero un’adolescente negli anni ’70. Ho trascorso due anni importanti in Francia, a Montpellier, all’Università Paul Valéry, dove avevo ottenuto un permesso speciale pur essendo una liceale proveniente da oltre la Cortina di Ferro. Era un momento vibrante, post-‘68, pieno di idee nuove. Proprio in quel periodo si parlava moltissimo dei primi esperimenti sulla comunicazione delle piante. Per me fu qualcosa di estremamente eccitante. Era un approccio molto ingenuo, certo, ma ciò che c’era sotto – una curiosità verso altre forme di vita – rimane tuttora valido», ha ricordato la regista.
Un’opera aperta
Il film Silent Friend non si propone come una narrazione lineare o come un racconto con una soluzione. La sua costruzione è modulare, fatta di segmenti che non si incastrano ma coesistono. Al posto di una tesi, il film suggerisce un campo di domande aperte.
Il silenzio evocato dal titolo non è assenza di comunicazione, ma condizione per un altro tipo di ascolto. Non c’è interpretazione obbligata, ma uno spazio in cui si può sostare, osservare, interrogarsi.
Il film è stato girato nel giardino botanico di Marburgo, in Germania. Il ginkgo protagonista è stato “interpretato” da tre alberi diversi, di età simili. Le riprese si sono svolte nell’arco di un intero anno, per seguire i cambiamenti stagionali.
Disclaimer
Questo testo è stato redatto sulla base di informazioni e note di regia condivise dalla produzione, supportate dalla visione di interviste e materiali promozionali, ma senza avere visto il film. In alcun modo, quindi, questa presentazione di Silent Friend può essere intesa come una recensione o una critica cinematografica.

Filmografia
Silent Friend
Drammatico - Germania, Francia, Ungheria 2025 - durata 147’
Titolo originale: Silent Friend
Regia: Ildiko Enyedi
Con Tony Leung Chiu-wai, Luna Wedler, Enzo Brumm, Léa Seydoux, Sylvester Groth, Luca Valentini
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