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Picnic alla spiaggia

Regia di Gurinder Chadha vedi scheda film

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La recensione su Picnic alla spiaggia

di degoffro
4 stelle

Il primo film di Gurinder Chadha, nata in Kenya da genitori indiani, trasferitasi in Gran Bretagna dove ha lavorato come reporter per la BBC e come documentarista e futura regista di "Sognando Beckham" vorrebbe essere un'analisi, tra la commedia ed il dramma, il serio ed il faceto, del problema, molto sentito cinematograficamente, tanto da costituire quasi un genere a parte, dell'integrazione razziale di persone di origine indiana nell'Inghilterra degli anni ottanta e novanta. Purtroppo in "Picnic alla spiaggia" sorriso e pianto, comicità e melodramma si amalgamano con molta fatica e prevale, nello spettatore, una strana sensazione di vuota superficialità e anonima piattezza. In particolare sembrano troppe le vicende che si intrecciano e numerosi i personaggi che interagiscono tanto che alla fine non ci si riesce ad affezionare a nessuno dei protagonisti, non si compartecipa delle loro avventure e si rimane piuttosto freddi e disinteressati. Le parentesi oniriche di Asha, ricalcate sulla falsariga dei pittoreschi e colorati film di Bollywood, in cui varie divinità la colpevolizzano, obbligandola ad una vita di "dovere, onore e sacrificio", rallentano eccessivamente il ritmo e alla lunga si fanno ripetitive e monocordi, la sua avventura romantica con il gentiluomo Ambrose Weddington superflua e macchiettistica. La svolta melodrammatica che coinvolge Ginder e il marito, deciso a riportarla a casa con la collaborazione di due fratelli, uno assai violento ed ignorante, l'altro più mite e comprensivo, è pacchiana e troppo urlata. Il confronto fra i due coniugi sulla spiaggia, davanti a tutti gli altri personaggi, forse anche per la recitazione non proprio esemplare dei protagonisti, è pacchiano e sopra le righe. Le due ragazzine desiderose di conoscere ragazzi inglesi con cui spassarsela sono convenzionali e patetiche; la sequenza dello spogliarello maschile che coinvolge la più anziana del gruppo in un ballo scatenato e sensuale, gratuita e piuttosto forzata, peraltro scarsamente divertente. L'unica vicenda che pare sviluppata con maggiore attenzione psicologica è quella relativa al personaggio di Ashida, vero orgoglio per la sua famiglia (sta per iniziare l'università), ma destinata a diventarne la vergogna, perché rimasta incinta e per di più di un ragazzo giamaicano. Simpatico è il siparietto comico (l'unica gag davvero riuscita dell'intero film) in cui il segreto di Ashida viene rivelato, per sbaglio, alle anziane del gruppo, comodamente sedute su una sdraio sulla spiaggia, e progressivamente sconvolte dal fatto che non solo Ashida stia aspettando un figlio, senza essere sposata ma che addirittura il padre non sia indiano: "Non è un problema di razza o di colore, ma di cultura", dice più o meno l'anziana Pushpa. Peccato che anche questo snodo narrativo venga risolto in maniera piuttosto frettolosa e semplicistica con un buonismo sentimentale facile facile. Un'opera furba ed elementare (come del resto anche "Sognando Beckham", che, in parte, nella storia d'amore tra la protagonista indiana, fanatica del pallone, ed il suo allenatore inglese con tanto di opposizione da parte della integralista famiglia di lei, riprende l'episodio che coinvolge Ashida e Oliver), ma senza il ritmo veloce e la simpatia contagiosa della pur leggerissima opera con protagonista Keira Knightley. Il ritratto che ne esce risulta dunque piuttosto scontato e risaputo, senza particolari intuizioni ed originalità, "semplice pretesto per esporre una serie di conflitti generazionali, interpersonali e razziali, dove ogni personaggio, più che vivere di vita propria, finisce per essere un tassello delle tesi femministe che la regista vuole dimostrare" (www.cinetecadibologna.it"), con gli uomini rappresentati troppo come "caricature un pò masclazone" (Fabio Bo). Il tutto per ribadire la difficoltà perenne della vecchia guardia indiana di adeguarsi ad una realtà diversa e più moderna, il razzismo, a volte sfacciato a volte più sottile, di cui spesso queste comunità, non solo indiane, sono vittime gratuite nel mondo occidentale nel quale, tra molte difficoltà, tentano di integrarsi, la pesante sottomissione in famiglia delle donne ed il loro forte desiderio di emancipazione (emblematico il personaggio di Ginder, ancora innamorata del marito, ma stanca di dovere vivere in eterno con la sua famiglia - "Ho sposato te, non la tua famiglia" confida al marito nell'unico momento di dolcezza tra i due) e l'esigenza delle nuove leve di staccarsi dalle rigide e superate tradizioni di famiglia per costruirsi una propria vita all'insegna della cultura e delle mode tipiche della realtà - nella fattispecie quella inglese - nella quale sono cresciute e nella quale continueranno a vivere. Nulla di nuovo dunque, con l'aggravante, purtroppo, di essere raccontato in modo convenzionale e sonnolento. Televisivo ed irrimediabilmente datato: Loach e Frears restano lontani anni luce. Distribuito in sala dalla BIM di Valerio De Paolis, preceduto dal corto di Jim Jarmusch "Coffee & Cigarettes". Vincitore del Premio della giuria al Festival di Locarno del 1993, nomination ai Bafta Awards quale migliore film d'esordio inglese (vinse il ben più interessante "Piccoli omicidi tra amici" di Danny Boyle).
Voto: 4

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