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Chant d'hiver

Regia di Otar Iosseliani vedi scheda film

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La recensione su Chant d'hiver

di nickoftime
8 stelle

Accanto al lancio dei cineasti del futuro anche in questa edizione il festival di Locarno ha saputo tenere alto il prestigio della tradizione, inserendo, all'interno della sua rassegna, alcune degli autori che negli scorsi decenni si sono distinti per la peculiarità delle rispettive cinematografie. Così, dopo aver tenuto a battesimo il ritorno alle scene di Andrzej Zulawski che alla vigilia della premiazione qualcuno dà già per vincitore, il concorso internazionale ufficializza la presenza di Otar Iosseliani, regalando agli spettatori la visione del suo "Chant d'Hiver". Anche questo film, alla pari degli altri girati dal regista, non rinuncia a raccontare la realtà del presente, attraverso la trasfigurazione dei sentimenti e dello stato d'animo che la caratterizzano. Mediante un'alternanza di luoghi e di personaggi che inseguono a vicenda, il regista georgiano passa in rassegna gli eventi più salienti del nuovo secolo, condensandoli in un vortice di immagini che prendono in considerazione l'intero spettro della condizione umana.

 

 

A partire dalla guerra, proposta nelle scene d'ordinaria follia del frammento iniziale, dedicato a una delle tante invasioni messe in pratica dall'esercito russo, riconoscibile dalla maglietta a strisce orizzontali bianche e blu indossata sotto la divisa dai soldati; e continuando, dopo il secco cambio di scena che ci catapulta nella Parigi dei nostri giorni, con gli sfollamenti coatti di improbabili reietti, che Iosseliani filma con una libertà d'ispirazione che si disfa di logiche narrative che non siano quelle dettate dall'estro del momento. Ovviamente, ciò che vediamo sullo schermo è il risultato di un controllo del dispositivo cinematografico in cui la naturalezza di gesti, come quelli messi in mostra nelle sequenze dei borseggi effettuati dalla banda di giovani lestofanti, è il frutto di un'ossessiva attenzione del particolare. Sta di fatto che il film, riesce a compiere il miracolo di un cinema che parla di cose serie con una levità, che, se ci è concesso il paragone, ricorda quella del grande Jaques Tatì.  Che ci parli di vita o di morte, di dittatura o democrazia, di ricchezza o povertà, "Chant D'Hiver" non perde neanche per un attimo l'occasione di essere poesia, costruendo un mondo personale di cui fanno parte i temi che sono cari all'umanesimo del regista e che vanno dal senso di sradicamento - anche personale, ricordando i fatti che hanno spinto Iosseliani a emigrare in Francia - affermato attraverso la precarietà esistenziale dei personaggi, allo sberleffo del potere, raffigurato nel film da un capo della polizia che sembra uscito dalla ceneri dell'impero bolscevico, all'amore per l'arte e la conoscenza, presente nei migliaia di libri accatasti negli spazi abitativi e nell'erudizione (con la musica classica in prima fila) che impregna i dialoghi degli arzilli vecchietti protagonisti della storia. Con Mathieu Amalric e la propria signora e un Enrico Grezzi più straniato che mai, a figurare, alla pari degli altri, nel presepe vivente realizzato da un regista dal formidabile regista.

(pubblicato su ondacinema.it/speciale 68 festival del film di Locarno)

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