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The Ignorance of Blood

Regia di Manuel Gómez Pereira vedi scheda film

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La recensione su The Ignorance of Blood

di scapigliato
5 stelle

Cominciano ad essere diversi i film spagnoli o le produzioni televisive (El Príncipe, 2014) che trattano il tema del reclutamento di giovani marocchini per la jihad. Argomento sentitissimo in quel di Spagna rischia da un lato di trovare oppositori che sbandierando un’ipocrita patente di sinistra reclamando la lotta all’imperialismo, e dall’altro di fomentare il razzismo e la paura verso il mondo musulmano. In Italia non può sussistere la stessa problematica per ovvie ragioni storiche e culturali. Difficile quindi misurare e calibrare sia il bisogno di parlare di certi argomenti sia il giudizio globale di tali operazioni. Si spera, per lo meno, di esser tutti d’accordo che plagiare un ragazzino di quindici anni a immolarsi per un dio insistente non può essere accettabile anche se il tutto nascesse e finisse a casa loro. L’obbligo morale di una società civile e smascherare la superstizione e l’ignoranza, quindi l’odio e la violenza, nate dalla religione e dalla superstizione.

Peccato che mentre la serie tv di Telecinco protagonizzata da José Coronado e Álex González, pur con i suoi limiti televisivi, è capace di prendere con le pinze e trattare con i guanti un argomento difficile, il film diretto da Manuel Gómez Pereira semplifica tutto in modo molto manicheo e la butta sull’imitazione senza cognizione di causa del modello action hollywoodiano. Tant’è che anche il protagonista interpretato da Juan Diego Botto vive nel lusso, guida macchine di lusso, veste abiti di lusso, è compagno di una donna di alta classe che come giardino ha uno sconfinato campo a golf, e inoltre, come se non bastasse, il dipartimento per cui lavora è fornito dei più avanzati mezzi tecnologici per la lotta al terrorismo. Ci viene un po’ in mente l’irritante Will Smith di Enemy of the State (1998), ma almeno nel film di Tony Scott, oltre a una vera interrogazione problematica sul tema caldo della videosicurezza, c’era anche e soprattutto una certa inimitabile classe per il racconto di genere supportata dalla recitazione di mostri sacri come Hackman, Voight e Robards da far perdonare questo scivolone buonista – l’afroamericano avvocato di successo con famiglia ricca, bella moglie, bella villa, bella macchina etc.

In Gómez Pereira la Sevilla che fa da sfondo alla vicenda sembra essere uscita da un’altra dimensione, per nulla in linea con la realtà attuale. Una cartolina che ricorda più uno spot pre-Expo 1992 che un thriller dal taglio geopolitico come dovrebbe essere La ignorancia de la sangre. Forse è meglio riguardarsi Grupo 7 di Alberto Rodríguez (2012) in cui Sevilla, seppur vista come culla della nascente malavita capitalista della nuova Spagna, ne esce comunque più credibile e dignitosa.

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