Regia di Erik Bernasconi vedi scheda film
C’era una volta un piccolo quartiere nel ticinese, dove gli immigrati erano tutti regolari e integrati. Gli autoctoni, invece, erano tutti xenofobi, protetti da poliziotti ignoranti, cafoni e incapaci. Un giorno Germain, cittadino di origine togolese, fu colpito da un proiettile e, nell’arco di 24 ore, il paesello si tinse di violenza fino a un epilogo di rara banalità metaforica. Le buone intenzioni animano l’opera seconda di Bernasconi, intento a trattare una questione centrale della nostra contemporaneità. Ma di contemporaneo c’è solo il soggetto, poiché l’affresco glocale della comunità è quanto di più distante possa esserci dalla realtà, nonostante da un fatto reale prenda spunto. Infarcito di intolleranza d’accatto buona forse per Forza Nuova ed ecumenismo populista piddino a buon mercato, il copione a otto mani (!) e una trentina di personaggi (!!) è gestito come peggio non si potrebbe, tra linee grottesche abortite (i due testimoni di Geova), traiettorie psicologiche agghiaccianti (la storia dei tre piccoli guerrafondai è irricevibile), spunti sociologici al di là della forzatura (almeno gli operatori della Croce Rossa potrebbero evitare frecciatine razziste) e personaggi in vana ricerca di senso. Tra tempi di dialogo televisivi, fotografia smarmellata e una regia ingessata, Fuori mira di azzeccato ha solo il titolo, che riflette le lacune di un sistema-pensiero incapace di mettere a fuoco la complessità di un fenomeno drammatico e attuale.
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