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Anémone

Regia di Philippe Garrel vedi scheda film

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La recensione su Anémone

di OGM
7 stelle

La vita come quieto ed involuto divenire.  Philippe Garrel l’ha sempre vista così. Anche in questo lungometraggio giovanile, la cui protagonista, che diventerà nota al pubblico come attrice ed attivista politica, compare nelle vesti di un’adolescente ansiosa di compiere il passo decisivo verso l’età adulta, eppure timorosa di ciò che l’aspetta. Anémone è incerta se guardare indietro o avanti, se riprendere a sfogliare le pagine del diario di quando era una ragazzina, oppure buttarsi ciecamente in una avventura amorosa. Vorrebbe anzitutto affrancarsi dall’autorità del padre, uno psicanalista dal quale si ritiene eccessivamente osservata, esaminata, giudicata. Il suo sogno principale è forse quello di poter coltivare segreti personali che si sottraggano a quello sguardo indagatore, e che la facciano sentire autonoma ed importante. Forse nasce così la tentazione della trasgressione, che segue le strade del sentimento e dell’adrenalina, del sesso come del crimine. Anémone, però, non è portata all’azione. È una creatura che parla e freme, incline al rimpianto ed alle congetture. Non riesce a vedersi come un personaggio del mondo, ma solo come una sua osservatrice. Per lei, superare l’ostacolo che la separa dalla maturità equivale precisamente a varcare il muro che le toglie la visuale sulla realtà: uno scenario indistinto che può scorgere solo attraverso una fessura, ma al quale, pur essendone spaventata, vorrebbe poter partecipare attivamente. La giovane donna si trova confinata in una emarginazione immaginaria, ma nel contempo è convinta di essere sulla soglia di un incubo: quello di cui sono testimonianze le esperienze professionali del padre, e le amare sentenze pronunciate dai filosofi. Emozione, pericolo e follia sembrano formare un’unità inscindibile, che racchiude tutto il male di vivere, tutta l’insanabile tragicità della condizione umana. Anémone tenta comunque di farsi avanti, provando, per un tratto, a camminare in punta di piedi sull’orlo di quell’abisso, appena intravisto, ma temuto con tutta l’anima. Affronta il rischio con la grazia adorabile che accompagna lo sfiorire dell’infanzia e il germogliare della femminilità. È una danza delicata nei modi, ma cupamente intricata nella sostanza morale ed intellettuale, che rimane avvolta nel buio, e dunque procede a tastoni. In questo film, l’elemento surreale è pensiero sospeso, chiuso nella giungla dei propri dubbi, fermo nell’attesa di una magia che ne sciolga i nodi, e che sembra sempre anticipata dal gioco: le cucchiaiate di miele che esorcizzano la noia di una conversazione, la filastrocca che scandisce e stempera l’imbarazzo della prima volta.  Così sarebbero le favole, se fossero costrette a vagare, ad andare in cerca del proprio lieto fine, se fossero continuamente svegliate, prima che i loro sogni prendano forma. In Anémone l’esitazione si propone come una modalità di crescita, ugualmente debitrice della verità che disillude e fa male, e della fantasia che costruisce mondi nuovi. 

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