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Himalaya, Were the Wind Dwells

Regia di Soo-il Jeon vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Himalaya, Were the Wind Dwells

di maurizio73
7 stelle

Incaricato dal fratello,proprietario di una fabbrica coreana, il quarantenne e solitario Choi intraprende un lungo e faticoso viaggio tra le montagne nepalesi per portare, alla famiglia di un giovane operaio prematuramente scomparso, i poveri resti cinerari di quest'ultimo ed una misera liquidazione. Inizialmente riluttante a confessare alla moglie dell'operaio il vero motivo della sua visita ed afflitto da una profonda crisi esistenziale, intraprende un percorso di conoscenza che lo porta ad instaurare un delicato rapporto affettivo con il più grande dei figli di questa ed entrare in contatto con la natura magica e spirituale del luogo e dei suoi semplici abitanti.
Sorprendente produzione franco-coreana del cinquantenne Jeon Soo-Il,qui anche autore, questo interessante dramma sociale sospeso tra intimismo e spiritualità, si muove con rigore e delicata introspezione dalla solitudine e l'alienazione sociale dell'uomo metropolitano (inurbato) alla (ri)scoperta di una dimensione di conoscenza e redenzione interiore nei territori remoti e inesplorati di un altrove terreno (un villaggio sperduto tra le vette himalayane) dove il tempo sembra essersi fermato ed i rapporti umani sono scanditi dal ritmo e dalla commovente semplicità di un atavico misticismo. Tecnicamente ineccepibile, il regista alterna la composizione di una dialettica di inquadrature fisse che, salvo rari e funzionali piani sequenza, si spostano dalle consuetudini domestiche degli interni al più ampio respiro degli esterni, laddove il campo sembra allargarsi ed allungarsi al di là delle remote profondità di un orizzonte geografico di conoscenza e rinnovata speranza per il futuro. Nella struttura apparente di un viaggio iniziatico, che richiama alla mente lo stralutato misticismo di alcuni personaggi romantici (ricordate Hermann Hesse?), l'autore conduce il suo protagonista (uno straordinario ed emblematico Choi Min-Sik nel ruolo dell'omonimo Choi) attraverso un viaggio consolatorio dove le ragioni del dono che porta in dote (un'urna cineraria e la triste notizia di un lutto familiare) si confondono e si misurano con con quelle del dono che riceve in cambio incrociando, tra le vette maestose di una natura impietosa, i venti implacabili che portano in dote l'eterno ritorno di un ineluttabile karma ("Tutti i karma qui si placano. E noi possiamo incontrare la nostra anima"). Molto sorvegliato a livello espressivo, l'autore evita di eccedere tanto nel mero didascalismo antropologico (silenziosa e ieratica la cerimonia funebre buddhista per l'anziana progenitrice) quanto nel facile simbolismo (l'anima del povero marito morto che ritorna sotto le sembianze di un bianco destriero tibetano), accarezzando momenti di delicata poesia nella dolce melodia di un piccolo orfano zufolante e nella disperata tristezza del suo muto ascoltatore. Solo una nomination al Karlovy Vary International Film Festival 2009 (Repubblica Ceca), ma da queste parti ce lo siamo proprio perso.

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