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Sherlock Holmes. Soluzione settepercento

Regia di Herbert Ross vedi scheda film

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La recensione su Sherlock Holmes. Soluzione settepercento

di genoano
7 stelle

La psicoanalisi dell'investigatore letterario per antonomasia è lo spunto per l'impossibile incontro col più grande indagatore della psiche, in un riuscito racconto che mette in soluzione fantasia e realtà miscelandole perfettamente. Voto 7 (senza il per cento)

Nicholas Meyer ha realizzato una sceneggiatura notevole basandosi sul suo omonimo romanzo di due anni prima, ma non è un apripista; il filone di film che mettono alla prova il mito letterario Holmes facendolo misurare con avventure inedite, non ortodosse perchè non tratte dagli scritti di Conan Doyle, era già stato inaugurato dal grande Billy Wilder con "La vita privata di Sherlock Holmes". Un genere che ha poi prodotto altri risultati notevoli come "Senza indizio", "La maschera della morte", "Mr Holmes-Il mistero del caso irrisolto" o la serie tv di Steven Moffat che, al contrario, recupera le storie originali riproponendole, senza snaturarle, in un'altra epoca. Meyer ha un'intuizione brillante : fa confrontare (e legare) Sherlock con un "doppio" d'eccezione, quel Sigmund Freud che, come l'investigatore di Baker Street, sapeva risolvere casi misteriosi e apparentemente senza soluzione, avrebbe avuto fama imperitura e inoltre aveva una formazione simile a quella di Conan Doyle, medico pure lui; in fondo, se si va a vedere, Holmes è un pò come quei medici di una volta, semeioti formidabili che da pochi dettagli riuscivano a ricostruire un quadro assai più complesso; non deve quindi sorprendere quanto in questo film funzioni la sintonia e la complicità tra i due "colleghi", entrambi ippocratici e indagatori di misteri quasi impenetrabili. Nicol Williamson, che era stato soprannominato "L'Amleto della sua generazione" per le sue grandi performances teatrali (e per un film) nel ruolo del Principe di Danimarca, con questo Sherlock allucinato ma analitico e infallibile si dimostra eccezionale nel rendere credibili personaggi geniali e sinistri; il suo memorabile Merlino nel bellissimo film "Excalibur" del decennio successivo sarà un'ulteriore conferma di questo suo talento. Convincente il personaggio del Freud giovane di Alan Arkin, che comunica efficacemente l'idea dell'intelligenza, della serietà, e dell'ironia dello scienziato e gli conferisce un notevole dinamismo, rendendolo un vero co-protagonista del racconto. Se già col solo Holmes in campo il destino di Watson è di essere messo in ombra, con due protagonisti di tale statura risulta inevitabile che sia molto sacrificata la parte di Duvall, che passa quasi inosservato, se non per un'appena accennata volontà di suggerire una certa ottusità dell'usuale spalla di Holmes. Lasciano invece il segno, pur apparendo per pochi minuti di pellicola, i mostri sacri Olivier e Redgrave. La regia di Herbert Ross, avvezzo alle commedie, dà un ritmo vivace a una vicenda che ha il difetto di essere di per sè poco spettacolare. L'ambientazione nella Vienna dell'Art Nouveau risulta davvero suggestiva. Gli appassionati delle storie di Holmes potranno forse storcere il naso di fronte alle libertà che l'autore si è preso con la psiche e il passato dell'eroe, ma forse un personaggio si dimostra tanto più valido quanto più è possibile rivisitarlo senza che esso perda la sua peculiarità, che è ben più di un cappello o una lente d'ingrandimento.

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