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La rossa

Regia di Helmut Käutner vedi scheda film

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La recensione su La rossa

di spopola
2 stelle

Che dire? Di fronte a certi risultati, c'è da rimanere davvero basiti, non c'è niente che si salvi se non le superbe immagini di una Venezia invernale fotografata magnificamente da Otello Martinelli. Ma è troppo poco no? persino per pretendere una valutazione di sufficienza striminzita.
Un film pretenziosamente "ambizioso" ma fallimentare  sotto ogni punto di vista, a partire da una storia (la fuga da casa di una bella ragazza e di una sua allucinante avventura a Venezia) che, seppure tratta da un romanzo dallo stesso titolo di Alfred Andersch che all'epoca ebbe una certa risonanza, al cinema sembra far acqua da tutte le parti, o se vogliamo essere gentili, “sta a malapena in piedi”.
Mi domanderete allora chi me lo ha fatto fare di sobbarcarmi questa visione…  che potrei definire “postuma” (visto che per altro anche a suo tempo il film ha circolato poco e male)… Non è per masochismo credetemi, ma semplicemente per il fatto che non avendolo potuto vedere  quando uscì, ero curioso, visto che me ne era capitata l’opportunità e che in tempi lontanissimi avevo letto il libro e francamente non mi era sembrato così male (magari dovrei rileggerlo adesso per farmene un’idea migliore) di vedere che cosa ne era uscito fuori, non pensando davvero che,ne  fosse sortito un disastro come questo. Memoria fallace o opportuno  “ripensamento revisionista”?  Vedremo come stanno poi le cose, ma tanto per rendere un’idea di come era stato accolto il libro e del credito riservato allo scrittore, ritrascrivo qui di seguito quello che era stato pubblicato sulla fascetta di copertina in occasione della prima edizione italiana: “Anche in questo romanzo, come nei libri precedenti, Le ciliegie della libertà e Zanzibar, Andersch raggruppa gli avvenimenti intorno a un motivo fondamentale: la fuga. Nel mondo di Andersch la fuga sembra essere l’elemento vitale per eccellenza, il solo modo di cercare un’alternativa alla triste condizione del nostro tempo, della nostra società. Questa volta la protagonista della fuga è una donna tedesca. Una giovane donna dai capelli rossi alla ricerca del significato smarrito dell’esistenza. Dortmund – Milano – Venezia – Mestre sono le tappe del viaggio, dell’evasione. I luoghi stessi in cui si svolge l’azione, assieme ai precisi riferimenti a un nostro ambiente politico e culturale, interessano il lettore italiano; ma il fascino del romanzo sta nel particolare rapporto che si stabilisce tra gli avvenimenti e le relazioni psicologiche della protagonista, creando un clima di tensione di assoluta modernità. Alfred Andersch ha scritto infatti con questo libro, al limite tra realismo psicologico, ‘nouveau roman’ e romanzo poliziesco, un’opera fra le più significative della letteratura europea contemporanea”.
Niente di tutto questo è ovviamente rimasto nel film, e poiché certi sperticamenti (magari un po’ eccessivi e pompati ad arte per lanciare l’opera) dovrebbero avere un riscontro oggettivo (e per quello che mi ricordo ce l’avevano)  proprio nella qualità della scrittura, credo che il problema maggiore stia davvero nella incompetente e abborracciata qualità della trasposizione in immagini la ragione del disastroso esito che sto raccontando, nel non aver saputo trasferire niente di queste inquietudini, limitandosi  ad “illustrare” malamente solo la stralunata “trama gialla”, già di per sé abbastanza inconsistente (e il curriculum stesso dello scrittore starebbe a testimoniare ampiamente a suo favore assolvendolo da ogni indebito imparentamento con il film: “Nato a Monaco nel 1914, dopo aver frequentato il ginnasio fece il tirocinio in una libreria. A 18 anni fu per un breve tempo comunista; arrestato dai nazisti fu internato per alcuni mesi nel campo di concentramento di Dachau. Durante la seconda guerra mondiale, mentre si trovava in Italia, disertò dalle file tedesche e si diede prigioniero agli americani (episodio che Andersch ha raccontato nel libro Le ciliegie della libertà). Ritornato in patria dopo la lunga prigionia negli Stati Uniti, fu redattore del periodico Der Ruf che si pubblicava col permesso delle potenze occupanti, ma che fu poi soppresso. Fondò una rubrica letteraria alla Radio di Francoforte e poi a quella di Stoccarda. Oltre che autore di romanzi tradotti in tutto il mondo e di alcuni drammi radiofonici, è stato anche direttore del periodico letterario Texte und Zeichen”. Non è certamente la storia di una vita a definirne i meriti , ma mi sembra che ci siano in ogni caso ottime credenziali per accordargli il credito “sulla fiducia”.
Un consiglio allora, magari se vi capita, cercate di recuperare il libro per verificarne la “tenuta” nel tempo (io da parte mia lo farò senz’altro sperando di non avere un’altra sonora delusione) ma tenetevi ben lontani, anche se ve ne dovesse capitare fra le mani una copia, da questo film “inguardabile”, demerito di un regista (Helmut Kautner) che in certi momenti sembra avere persino  qualche problema a coordinarsi razionalmente con la cinepresa, e di uno scialbo gruppo di attori davvero sottotono: la rossa Ruth Leuverik nel ruolo del titolo, i nostri Giorgio Albertazzi e Rossano Brazzi, qui persino più inconsistenti  dei loro consueti non eccelsi standard cinematografici, e il tedesco Gert Fröbe.

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