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Quando le donne avevano la coda

Regia di Pasquale Festa Campanile vedi scheda film

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La recensione su Quando le donne avevano la coda

di spopola
2 stelle

Come tutte le cose importanti, quelle che davvero cambiano la vita, anche il nostro incontro è avvenuto per caso, poiché, come è comprensibile e ovvio, più o meno frequentavamo entrambi gli stessi ambienti, ma mai ci eravamo sfiorati prima (o forse lo avevamo fatto, ma non ce ne eravamo accorti, potrebbe essere benissimo successo anche questo, chi può mai dirlo?).
Circostanze fortuite e imponderabili dunque: il 6 di gennaio del 1970, la data; il cinema Italia, il luogo deputato.
Una scelta imprevista e inaspettata la mia, per un salto improvviso di precedenti programmi, entrare in quel locale, in quel giorno e a quell’ora (normalmente non era l’Italia, ma l’Apollo la sala privilegiata, quella dove mi trovavo maggiormente a mio agio).
Mi manca il supporto della conoscenza esatta di ciò che invece aveva originato la tua di presenze, in ogni caso nemmeno quella così scontata direi, visto che in quegli anni di norma nei giorni festivi, eri prioritariamente a Campogialli dai nonni con tutta la tua famiglia per onorare insieme a loro le ricorrenze. Quindi quell’Epifania a Firenze – posso azzardare a dire - era certamente un’eccezione anche per te.
Proiettavano un orrido film italiano di un filone allora in auge (Quando le donne avevano la coda di Pasquale Festa Campanile) in quel cinema non ancora a luci rosse, come invece sarebbe diventato di lì a pochi anni, ma che era allora uno dei più affollati locali di seconda visione, come adesso sarebbe impossibile immaginare, tanto era ricolmo di gente nei pomeriggi dei giorni festivi, rammenti?.
Entrambi comunque non eravamo stati certamente attratti dal valore della pellicola, tutt’altro: quello era un particolare secondario e ininfluente. Importante e prioritario invece, che fosse un titolo popolare e di successo, che richiamasse una moltitudine di persone, perché come accadeva in quei tempi, erano ben altre le motivazioni e gli stimoli che ci indirizzavano dentro la sala, fra la calca e il brusio.
Un “contatto” sollecitato e voluto soprattutto da te. Non ero stato infatti io a notarti, lo ricorderai: non avevo dato nemmeno adeguata importanza all’insistenza del tuo sguardo perforante come un dardo, che pure più volte si era incrociato con il mio. Non ti avevo insomma proprio preso in considerazione, forse distratto da altre mete, così che fu necessario il tuo deciso passare all’azione per “forzare la mano” e far sì che si realizzasse la circostanza (e ti impegnasti di brutto, lo sai, diventasti persino sfacciato, quasi impudico, nel proporti, perché in partenza non fu davvero così semplice coinvolgermi, malgrado la mia passiva acquiescenza).
Straordinariamente giovane e attraente nello splendore dei tuoi vent’anni, così ti rivivo, comunque, nonostante la mia evidente ritrosia iniziale. Posso persino dirti esattamente come eri vestito (vorrà dire qualcosa questo, no?): stivali alti (in quei tempi particolarmente in voga) su dei pantaloni marrone bruciato e, sotto il cappotto (maxi, come era rigorosamente in uso), sulla pelle nuda, nonostante che la temperatura fosse tutt’altro che mite, “solo” un maglione a collo alto a coste di un colore indeciso che potrei definire “bianco sporco” di evidente fattura artigianale, che era stato confezionato a mano con i ferri da tua nonna, come mi avresti raccontato dopo.
Tutto fermato nella memoria, esatto e circostanziato.
D’impatto, fui fortemente indeciso se accettare o meno “l’invito” evidente, le tue sollecitazioni, e probabilmente più di ogni altra cosa fu la veemenza penetrante dei tuoi occhi di quel colore così incredibile fra il verde e l’azzurro che la diversa intensità della luce rendeva impalpabili e lucenti, quasi inafferrabili, che sono sempre stati il tuo punto forte, quasi un “must”, a invogliarmi a “cedere”, a rendermi disponibile, a farmi lentamente capitolare.
Singolarmente, però, ci fu anche un altro elemento che mi coinvolse forse ancor di più degli occhi e dello sguardo, quel giorno (ora posso confessartelo, ma non ti arrabbiare per questo, ti prego, perché per me è un particolare dolcemente tenero, una “affettuosità” che non mi va più di omettere se devo ricordare, anche se sfiora un piccolo tuo “innominabile” tabù inaccettato). E sono sempre i particolari con me che “fanno la differenza”, tu lo sai bene, conosci come sono fatto. Mi riferisco alla tua precoce e incipiente calvizie, cosi goffamente camuffata da quel “riporto impossibile” che già allora era evidente e anacronistico, ma tutt’altro che disdicevole, buffo e al tempo stesso allettante, addirittura “vezzoso”, che ti conferiva un’insolita attrattiva, e in un certo senso, ti diversificava da ogni altra persona presente nella sala. Insomma, forse non mi era del tutto palese allora, ma qualcosa deve essere andato subito per il verso giusto anche in me fin da quel primo incontro, se nel presentarmi, giocai al ribasso persino sull’età come normalmente non ero uso fare, per avvicinarmi di più (e non farti impaurire) alla tua giovinezza, quella davvero reale e concreta.
Eppure all’inizio, tutto preso come ero dalle mie smodate ambizioni che mi rendevano meno disponibile verso gli altri di quanto sarebbe stato necessario, che avevano creato artificiose scale di valori a cui riferirsi e alle quali credere e dedicarsi, feci davvero molta fatica a riconoscerti importante e fondamentale, addirittura “indispensabile”… in definitiva, mi interessavi anche tu, ma soltanto “alle mie condizioni”, e solo a quelle ero propenso ad accettare la “resa”.
Se tu non fossi stato così caparbio e “resistente”, credo che avrei perso per sempre l’occasione proprio per questo, perché tu, soprattutto nei primi mesi di frequentazione, venivi comunque sempre “dopo”. Mi sembra anzi di aver fatto di tutto in quel periodo per distoglierti e dissuaderti, poiché le priorità che avevo, che mi ero programmato, non prevedevano, né tolleravano, le complicanze di un rapporto così rilevante che inevitabilmente avrebbe tolto spazio ed energie per il loro primario conseguimento, che mi sembrava dovesse essere allora la ragione preponderante della mia esistenza. Prendere o lasciare, in breve, non ti stavo accordando altra scelta.
Ma fortunatamente non mollasti mai la presa, non mi “scaricasti” come avresti potuto benissimo fare, sopportando stoicamente di rimanere troppo spesso e a lungo, relegato ai margini del mio cono d’ombra che è sempre stato per te molto ingombrante.
Poi pian piano imparai a capire esattamente come eri fatto, e quanto ti costava tutto questo… cedendo lentamente molto del mio terreno in tuo favore… infinitamente di più – tantissimo per me – di quanto avrei mai potuto immaginare di poterne dare.

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