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Circus Fantasticus

Regia di Janez Burger vedi scheda film

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La recensione su Circus Fantasticus

di OGM
6 stelle

Squalificato perché muto. La logica vuole che non possa concorrere al premio Oscar, nella categoria riservata alle produzioni in lingua straniera, un’opera che sia priva di dialoghi. Strano destino, per questo film sloveno, nell’anno del trionfo di The Artist. Soprattutto se si pensa a quanto la parola sarebbe stata una nota stonata, in questo quadretto fatto di sospiri, che riempiono l’intervallo indefinito tra la vita e la morte. Circus Fantasticus è lo spaccato di un sogno, consumato in una desolazione rimbombante di desideri e di fantasia, sullo sfondo di una guerra tanto micidiale quanto inspiegabile, fatta di bombe lanciate senza un perché, e di soldati invisibili o morti. All’anonimato dell’annientamento si oppone un piccolo mondo che sembra messo insieme un po’ a caso, prelevando i suoi elementi dalla scatola dei giocattoli: una famiglia, una fattoria, alcune capre, la carovana di un circo. Sono le figurine di un presepe disadorno, perse in un territorio deserto ed immenso, arruffato dallo squallore della povertà e dalla violenza delle armi. Ognuno, in quell’universo puntiforme circondato dal nulla, contribuisce alla vita offrendo tutto ciò che possiede:  amore o immaginazione, oppure entrambe le cose. La loro unione crea, per il cuore, i fantasmi che protraggono gli affetti oltre la morte, e, per gli occhi,  invenzioni di straordinaria bellezza, preparate con tanta passione. Un bambino è in grado di sentire su di sé le carezze della madre defunta, e di ricevere da lei un regalo. Gli artisti, a loro volta, sanno come realizzare la magia dello spettacolo, in cui si fondono armoniosamente tutte le emozioni, dalla gioia alla tristezza, passando per il brivido del rischio. Camminare sulla soglia che divide la terra dal cielo è sempre un equilibrismo, esercitato col corpo e con la mente,  e nel quale la tensione è una forma di funambolica agonia, vertiginosamente sospesa tra gli opposti. Il direttore del circo è anziano e molto malato, eppure si diverte a guardare i numeri degli acrobati e dei clown; un carro armato che spara proiettili incendiari è un avversario invincibile per un uomo solo, eppure il mangiatore di fuoco osa sfidarlo a duello. La distruzione si contrasta costruendo, anche se, magari, si tratta solo di convertire piccole idee bizzarre in oggetti frivoli ed effimeri, come una decorazione di pietre posta su un cadavere scheletrito, o una bolla di sapone che, per un attimo, sollevandosi sotto un alito di vento, si muove come se fosse dotata di vita propria. Sono tutti brandelli di speranza strappati all’avanzare del nulla.   Il film indugia – a dire il vero, forse più del necessario - sulla futilità dell’ottimismo, che qui appare ridotto ad un momentaneo trastullo dell’anima. Il bene è un sorriso evanescente, il male, per contro, una pianta saldamente radicata nel suolo: chi vive è libero di fuggire, anche solo col pensiero, mentre la morte è un luogo in cui si è costretti a restare. Partire equivale a salvarsi, per quanto la meta possa essere incerta.  Il movimento è tutto, anche se è banale, prevedibile, e sembra non portare lontano. Sulla pista del circo si gira in tondo, nel dolore ci si macera lungo il ritmo uniforme di giorni tutti uguali, lo spazio è sempre ristretto ed il moto ripetitivo, ma, nel primo caso, compiendo le evoluzioni della danza, ci si può convincere di aver allargato il proprio orizzonte ed il proprio raggio d’azione. Basta poco a tracciare, con la punta del dito, un arabesco nell’aria, fingendo di aver scritto qualcosa di nuovo. Ognuno ha un proprio personale segreto per spogliare la realtà della sua veste austera, per negare la sua serietà, e trasformarla in uno scherzo affascinante e consolatorio. I ragazzini che hanno sentito il fragore delle armi ed hanno visto i loro terribili effetti, continuano a giocare alla guerra. E un uomo può ridere al proprio funerale. Perché tutto comunque finisce.  Il regista Janez Burger affida questo messaggio ad una poeticità genuina, ma non completamente formata. L’abbandono malinconico e la volontà di reagire rimangono parentesi aperte, su un ignoto un po’ troppo ipotetico, ed un futuro sul quale nessuno dei personaggi  riesce a proporre una scommessa concreta. Circus Fantasticus è un preludio che non anticipa nulla della sinfonia,  e rimane avvolto nel precario incanto della sua autosufficienza. Un discorso imbastito e subito troncato, che, pure, a suo modo, riesce a pizzicare le corde dell'anima.

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