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Hut in the Woods

Regia di Hans Weingartner vedi scheda film

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La recensione su Hut in the Woods

di OGM
8 stelle

Nell’emarginazione si ricade, definitivamente, cercando di rinascere in un mondo che non accetta il tuo nuovo io. Martin Blunt è caduto, ha tentato di rialzarsi, ma si è accorto che tornare indietro è impossibile. Il discorso interrotto non si può più riprendere dal punto a cui si era rimasti. Occorre reinventarsi per intero, dimenticando del tutto ciò che si era: un brillante matematico, ricercatore presso un’importante azienda. Una mente attiva e trainante, in corsa verso il futuro. Una smania di crescita che ha portato al collasso della persona. All’alcolismo, al ricovero, alla separazione dalla vita di sempre. Alla irreversibile distruzione di un ruolo, di un’immagine, di un posto nella società. Difficile ricostruire un universo partendo dal vuoto. Martin ne avverte l’irresistibile risucchio. Il nulla lo chiama ad un nulla che sfonda le barriere dell’alienazione per fare irruzione in un’inedita forma di libertà. La somma dei rifiuti che gli vengono rivolti si trasforma in un impulso alla fuga verso ciò che si trova al di là dell’abitudine. I vecchi legami saltano, uno dopo l’altro, e la porta si spalanca su una catartica assenza di legami, che rigenera l’essere, riconducendolo alla sua essenza primigenia, Via il datore di lavoro, via la fidanzata, via il padre: è così che Martin finisce per ritrovare un passato che appartiene soltanto alla sua interiorità, alla definizione, intrinseca e indipendente, della sua identità. Una capanna nel bosco e un bambino, orfano e straniero, per compagno: il viaggio può ricominciare da lì, da un’esistenza primitiva a contatto con la natura, dall’infanzia come primaria condizione dell’umanità, senza patria né parenti, senza lingua condivisa, senza una storia da raccontare. Un ritorno all’innocenza che l’ambiente circostante respinge, confinandolo nei vicoli ciechi della follia. Una voglia di autodeterminazione che viene repressa, fino a scatenare una disperata ribellione: un’energia rabbiosa che, per autodifesa, spezza l’incantesimo abbracciando la violenza. L’evoluzione è inesorabile, trascinante come una fantasia che insegue l’avventura in una corsa ad ostacoli, scovando mille scappatoie, fino a restare intrappolata nella sua inconciliabilità con le regole vigenti. Martin osa fino all’ultimo, fino a portare il paradosso alle estreme conseguenze. il pazzo che si mescola alla gente normale, la sua visionarietà allucinata che si sovrappone alla percezione sensoriale. Un amico immaginario ed un’amica vera. L’inizio e la fine. Il sogno e la realtà. La forza e la debolezza. La condizione mentale di Martin è una malattia da cui si entra e si esce, alternando lucida intraprendenza ed imbelle torpore. A volte si è vincenti, a volte sconfitti, ma non è chiaro cosa veramente accada, e cosa sia solo una pietosa illusione. Eppure il flusso del racconto è una successione coerente di episodi, legati dalla continuità della logica, e dal filo conduttore di un’intelligenza selvaggia e indomabile. Com’è amaramente illuminante, questo dramma della diversità che si manifesta in un’epica a versi sciolti, però dall’anima antica, eroica fuori dai canoni, investita di un’aura di divinità silvestre, e mortificata dallo sterile scetticismo della modernità. Il nuovo Martin, parlando tra sé e sé, pronuncia sequenze di numeri casuali, come per infrangere gli schemi, per omaggiare la sua passione scientifica non più col rigore metodologico, bensì con l’irriverenza del caos. Le quantità si accumulano, una addosso all’altra, senza produrre significato. Sono come i pezzi del titolo originale tedesco (Die Summe meiner einzelnen Teile), la cui somma non restituisce l’insieme. Un pasticcio frammentato, che non ha nome, ma può averne tanti. Anzi, tutti. E che qualcuno, inopinatamente, cerca, ad ogni costo, di tenere unito con gli interventi,  giuridici e terapeutici, di un ordine imposto a norma di legge. 

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