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Rose

Regia di Wojciech Smarzowski vedi scheda film

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La recensione su Rose

di OGM
8 stelle

La pace può essere più crudele della guerra, la liberazione più umiliante dell’oppressione. I masuri, abitanti di una zona della ex Prussia Orientale, per secoli sono stati stranieri in patria: polacchi per lingua e cultura, tedeschi per cittadinanza. Alla fine della seconda guerra mondiale, con l’occupazione da parte dell’Armata Rossa, la loro terra cessa di appartenere al Terzo Reich. Ma per i nuovi invasori sono comunque gente nemica, e per salvarsi dalla deportazione ad ovest dalla linea Oder-Neisse, devono dimostrare di non avere origini germaniche.  Róza è una donna bilingue e, in quanto tale,  già sospetta ai tempi di Hitler, ed oggi nel mirino delle autorità sovietiche. Suo marito è morto in guerra, e nella sua vita è da poco entrato Tadeusz, un ribelle polacco che, dopo essersi fatto esecutore dell’ultima volontà del coniuge di Róza, recapitandole alcuni oggetti personali, ha trovato ospitalità presso la fattoria nella quale la donna vive con la figlia Jadwiga. In questo modo l’uomo diventa testimone ed impotente protagonista di una vicenda di barbarie e di sangue,  che vede i russi – i militari e le autorità civili – commettere soprusi ed atrocità di ogni genere ai danni di quel popolo dall’identità sospesa, in attesa di conoscere il verdetto della Storia. Gli indefiniti sono, per tutti,  gli altri,  quelli a cui è possibile appioppare l’etichetta che più fa comodo, per poterli far passare dalla parte del torto, per sfruttarli e perseguitarli. I senza nome vivono in un mondo a sé stante, ma totalmente indifeso, del quale il film di Wojciech Smarzowski ci presenta il respiro lento, rarefatto, accelerato soltanto dalle  improvvise incursioni della brutalità. Guardandolo da dentro, si coglie il prudente palpito della modestia, tipico di chi si muove con silenziosa circospezione per salvaguardare quel poco che ancora gli resta. Tadeusz percorre i campi palmo a palmo, per scovare le mine e disinnescarle: una spokojna robota, un lavoro tranquillo, per usare le sue parole.  Un compito che richiede pazienza, precisione e delicatezza: una missione difficile, clandestina, e potenzialmente mortale, come la fatica con la quale, nei momenti bui, si riesce a strappare, giorno dopo giorno, un brandello di luce per potere andare avanti. L’universo di Róza e Tadeusz è un deserto assediato dai lupi, voraci ed aggressivi più per disprezzo che per avidità. Un sacco di patate offerto in beneficenza non viene  rubato, ma cinicamente rovesciato in mezzo alla strada, sotto gli occhi increduli del donatore. Colei che ha dovuto ripetutamente subire le violenze dei soldati  è considerata una poco di buono, una con la quale è meglio non avere nulla a che fare. Ci sono persone condannate, per nascita, ad essere viste sempre e comunque come traditori. Destinate a rimanere nell’atmosfera asfittica di chi è escluso dalla speranza. Individui inesorabilmente incompleti, privati di quell’integrità di forma e sostanza che determina i significati. Circondati dal dubbio dei benpensanti, che si mantengono rigorosamente incerti nel decidere se un cane mutilato,  con tre zampe anziché quattro, sia propriamente un cane. Nel frattempo, per i furfanti in senso stretto, le questioni di quel genere si risolvono banalmente col denaro, col ricatto, con le maniere forti. Rose è l’abisso in cui vittoria e sconfitta si annullano per mancanza di un punto di riferimento, in un inferno in cui non esiste legge per distinguere il proibito dal lecito. Il peggiore incubo è non sapere più chi si è. Ed intanto accorgersi che, per gli altri, si è semplicemente nessuno.

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