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Passannante

Regia di Sergio Colabona vedi scheda film

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La recensione su Passannante

di OGM
8 stelle

Un cranio ed un cervello giacciono insepolti. Ma  questo non è un film horror. È, invece, la tardiva testimonianza di un disonorevole pezzo della storia d’Italia, rimasto nascosto per un secolo. Giovanni Passannante muore nel 1910, nel manicomio criminale di Montelupo Fiorentino. Per anni era stato rinchiuso nel carcere di Porto Ferraio, all’isola d’Elba. In una cella situata sotto il livello del mare, nella quale non entrava luce ed il soffitto era così basso da non consentire la posizione eretta.  Il reato di quell’uomo, condannato, per magnanimità di casa Savoia, all’ergastolo anziché a morte, è aver ferito il re d’Italia, nel 1878, durante la sua visita ufficiale a Napoli. Forse quella scalfittura procurata sulla coscia del sovrano con un coltellino dalla lama corta voleva solo essere un gesto dimostrativo. Una protesta contro le condizioni di miseria in cui versava la sua terra d’origine, la Lucania. Però l’atto è stato fatto passare, d’autorità, come il tentato regicidio ad opera di uno squilibrato, in modo da sottrargli ogni valenza politica. I dettagli della vicenda sono descritti in un racconto drammatizzato, che mescola il documentario con la pièce teatrale. Ulderico Pesce ha portato  il suo spettacolo in giro per lo Stivale, interpretando un immaginario carabiniere di nome Mario, il cui compito sarebbe quello di accudire i due reperti anatomici, conservati in una teca del Museo Criminologico di Roma, ed esposti al pubblico con la dicitura Criminale abituale, oltre all’indicazione della provincia di provenienza, Potenza. Le aberrati teorie fisiognomiche di Cesare Lombroso tirate in ballo per suffragare il solito camuffamento della verità dettato dalla ragion di stato. Passannante non era un pazzo, bensì un rivoluzionario. Si ispirava a Mazzini, ma non aveva partito, né bandiera. Ed era fondamentalmente un uomo solo, senza nessuno alle spalle. Nemmeno la madre e la sorella, fatte prudentemente rinchiudere nell’ospedale psichiatrico di Aversa. E nemmeno i suoi compaesani, gli abitanti del comune di Salvia di Lucania, al quale, in cambio del silenzio, venne offerto il raro privilegio di essere ribattezzato col cognome della casa regnante. Questo film  è il resoconto, fantasioso ma non troppo, di una singolare battaglia di civiltà, di quelle che non radunano le folle nelle piazze, perché riguardano una causa priva di interessi contingenti. Seppellire i morti è un’opera di misericordia corporale che cade facilmente in prescrizione, nel momento in cui il ricordo del defunto cessa di vivere nella mente dei superstiti. Però lo scandalo di quella macabra esibizione, assurdamente ammantata di presunta scientificità, non poteva restare senza un’adeguata risposta. Il film di Sergio Colabona ci spiega come è andata, allora e ai giorni nostri, la guerra combattuta per difendere la dignità dell’Uomo. L’indifferenza di oggi ha preso il posto della crudeltà di ieri. La tragicommedia che oppone i deboli ai potenti ha cambiato trama, personaggi e scenario, ma persiste, a dispetto dell’evoluzione democratica, una grottesca distanza tra la vita reale della gente e ciò che si fa e si dice nelle cosiddette stanze dei bottoni.    Passannante sostituisce alla satira una polemica recitata senza ironia e con molto dolore, come la litania di un cantastorie, che, con la sua voce ruvida ma intonata, lamentosa ma energica,  è il naturale interprete della corale indignazione del popolo. 

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