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Blood Story

Regia di Matt Reeves vedi scheda film

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La recensione su Blood Story

di M Valdemar
2 stelle

Sarebbe un discreto film, vero, ben scritto, diretto e interpretato, avrebbe buoni spunti di riflessione, ma … in questo caso le voraci fauci del condizionale smembrano inesorabilmente ogni tentativo e volontà di mettersi ad argomentare, in modo serio (o meno), di Blood Story.

Si dovrebbe soprassedere sul fatto che l’originale, il bellissimo Lasciami entrare, è solo di tre anni fa? Far finta di niente, perché - hey! - Hollywood lo sa fare (vendere) molto meglio? Fermo restando che l’ultima affermazione è quantomeno discutibile (esclusa la parentesi, s’intende), forse là stanno passando il segno, ammettono implicitamente la loro incapacità (che sta via via incancrenendosi) - eccezion fatta per i pochi grandi autori - di sfornare idee come accadeva (tanto) tempo fa.

Che bisogno c’era? Domanda stupida. Risposta ancora più stupida: incassare. E cassare la concorrenza, là dove si realizzano film migliori, veri, pulsanti, giusto per ribadire la propria forza e (pre)potenza. Ah, naturalmente così si vela la scarsezza di creatività.
Poi, come sta scritto a caratteri cubitali sulla locandina, sotto il titolo, c’è l’ulteriore perla:


“IL MIGLIOR HORROR AMERICANO DEGLI ULTIMI 20 ANNI

Stephen King”


Vabbè, dopo aver trattenuto le risate ma non i conati, si può tranquillamente affermare: A Stephen King, ma va’ a … vederti Lasciami entrare! Ma anche no, basta che non rompi con ‘ste sparate, non richieste peraltro (almeno non da me), ma sicuramente ben remunerate.

Si poteva aspettare di peggio da questo insano instant remake, che fosse cioè più edu(l)c(or)ato, più accessibile e standardizzato per la massa, ma è pur da evidenziare che alcuni, importanti, dettagli sono stati troncati di netto. Qualcosa (giocoforza) dell’originale c’è, con l’aggiunta (agghiacciante) del discorso delirante del “simpatico” presidente Reagan in tv.

Gli interpreti sono tutti in parte, ma la Moretz, per quanto brava, non riesce minimamente a rendere l’inquietudine, la disperazione, l’amore, la crudeltà dell’omologa svedese, Lina Leandersson.

Lungo tutto il film non si può fare a meno di pensare all’originale, a confrontarli, e il responso è impietoso: non c’è paragone, e la “freschezza” della pellicola svedese non può che aggiungere un carico decisivo in tale direzione. Chiunque pensi il contrario si vada cortesemente a (ri)vedere Lasciami entrare.

Ultima considerazione, il titolo italiano. Ora, ne abbiamo visti di tutti i colori, dovremmo essere vaccinati. Ma no, l’abitudine a una pratica così disgustosa si fa fatica a farsela. Qui tengono la lingua straniera ma cambiano completamente titolo (!) e soprattutto senso, forse per cercare di accalappiare i più giovini. Complimenti.

No, il senso di schifo non passa.

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