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La strategia degli affetti

Regia di Dodo Fiori vedi scheda film

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La recensione su La strategia degli affetti

di OGM
5 stelle

La reazione all’italico buonismo imbocca vie contorte. La strategia firmata da Dodo Vieri intreccia gli “affetti” per distruggerli. Il discorso è complesso, forse un po’ troppo annodato, ma certo è che per preparare il balzo verso il colpo di scena finale occorre partire da lontano, per prendere bene la rincorsa. Il film non ignora quanto sia difficile spianare la strada ad una morale agghiacciante e provocatoria, attraversando la giungla dei rapporti tra genitori e figli e dei legami d’amicizia. In quell’intrico, si sa, ci si vede poco, e dunque è particolarmente azzardato il proposito di evitare accuratamente il sentimentalismo, di non incappare mai, nemmeno una volta, nella pietra d’inciampo dell’amore. L’intento può dirsi sostanzialmente riuscito, sia pur con un percorso – comprensibilmente - zigzagante e incerto; in effetti, se non fosse per quell’arrivo in volata al traguardo, l’opera sarebbe rimasta sospesa nel limbo della polemica anticonvenzionale che demolisce i canoni vigenti senza produrre nulla di nuovo.  La vicenda di Matteo, sedicenne oppresso da una madre iperprotettiva, ed in cerca della propria identità, prende avvio dallo sfilacciamento dell’immagine patinata della famiglia borghese e del cliché dell’adolescenza come favolistica miscela di innocenza e spregiudicatezza. Felicità, decoro, ironia sono spazzati via senza pietà, ma i loro brandelli non vengono riutilizzati per creare il solito tessuto grottesco e dissacrante. Lo scenario lasciato vuoto dalle illusioni si ritrova così disarmato, tentennante nell’espressione di un malessere in cui è impossibile distinguere tra disagio psicologico e degrado morale. Gelosie e diffidenze affiorano solo a tratti, come rivelazioni tardive e stentate: apparizioni fugaci che mal si conciliano con un clima di generale tensione che dovrebbe generare reazioni ben più decise. Non è chiaro se la reticente discontinuità nello sviluppo della trama sia da intendere come un vezzo minimalista oppure come un ammiccante tributo alla poetica del sottinteso: in ogni caso, la materia non è abbastanza solida per reggere il peso di una riflessione critica. Sarà in considerazione di questa sua debolezza, se la storia preferisce mantenersi al riparo dalla formulazione di ipotesi ed interrogativi, in un gioco di dialoghi ed eventi che talvolta sconcertano – in maniera più o meno prevedibile – ma non aiutano a capire. Di questo film ci sarebbe piaciuto cogliere in anticipo il carattere nero e cattivo che, invece, emerge solo all’ultimo: sarebbe stato un modo per rendere meno incolore lo spettacolo di un disfacimento  che, perlopiù,  langue in una artificiosa inespressività. La scrittura manca di corpo, e viene il sospetto che ciò sia voluto, forse dettato dal timore che  un maggiore spessore narrativo potesse compromettere l’effetto sorpresa. In tal caso, sarebbe bastato soltanto un pizzico di coraggio in più per impedire che, di quest’opera ben congegnata ma abbandonata a stessa, ci rimanessero impressi solo i pochi, struggenti istanti finali.  

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