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Un ange

Regia di Miguel Courtois vedi scheda film

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La recensione su Un ange

di joseba
6 stelle

Marsiglia, una mattina. Léa Pastore (Elsa Zylberstein) esce dal carcere: ad attenderla c'è il fratello Samy (Vincent Martinez) che la porta prima a fare un giro sulla spiaggia e poi al liceo dove loro padre è professore di disegno. I due sono pedinati da una macchina di poliziotti in borghese: Pascal Olmetti (Bernard Le Coq) e David Koskas (Richard Berry), quest'ultimo costretto a portarsi dietro il figlioletto di nove mesi perché la babysitter ha avuto un contrattempo. Durante il pedinamento i flic si accorgono che Samy è armato: quando questi entra spedito nel liceo, Koskas teme il peggio lanciandosi all'inseguimento del giovane e lasciando il collega in macchina ad occuparsi del bambino. Sventuratamente l'inseguimento degenera in scontro a fuoco: Koskas è più lesto ad estrarre e Samy ci rimette le penne. Dopo essersi disperata sul corpo del fratello morente, l'inconsolabile Léa si appropria della macchina dei due poliziotti (lasciata incustodita da Pascal che nel frattempo era accorso in difesa del collega) sequestrando il piccolo Paul... Polar con cruente venature tragiche, "Un ange" è il terzo lungometraggio di Miguel Courtois, ex professore di filosofia e fotografo di moda. Classe 1960, il cineasta di origine spagnola ha ambientato questa tragedia contemporanea a Marsiglia per darle respiro mediterraneo e sapore archetipico, immergendola spazialmente e cromaticamente in atmosfere solenni e rosseggianti che amplificano, oggettivandola visivamente, la componente drammatica e lirica della materia narrata. La città non è solo cornice esornativa o contenitore intercambiabile, ma vero e proprio teatro dell'azione di due personaggi (il poliziotto-padre Koskas e la fuorilegge-sorella Léa) inconfondibilmente e dolorosamente segnati dal destino. Per Léa (una Zylberstein tostissima) rapire il figlio di un poliziotto non significa soltanto possedere una moneta di scambio per conoscere l'identità dello sbirro che le ha fatto fuori il fratello (lei non ha assistito al duello nel corridoio della scuola e quindi non sa che è stato proprio il padre del bambino sequestrato ad essere la persona che sta cercando per vendicarsi), ma anche innescare una dinamica familiare tanto perversa quanto pericolosa: il suo ex compagno Zach (un Pascal Greggory dalle movenze rettili) è difatti un potente trafficante di droga che non appena vede il bambino si arroga il ruolo di padre putativo, desiderando costruire su questa paternità imposta il radioso futuro del suo impero malavitoso. Per Koskas (un ammaccatissimo Berry) l'involontaria uccisione del giovane pedinato non significa soltanto fredda esecuzione professionale (il flic ha sparato per legittima difesa mentre Samy gli puntava l'arma contro), ma anche essere incastrato in un meccanismo criminale che lo sovrasta ed espelle: il suo superiore ed ex amico Deruelle (Nicolas Silberg) è difatti un poliziotto corrotto che protegge e incentiva gli affari di Zach, coprendone i traffici e partecipando alle sue riunioni di famiglia. Koskas viene radiato dal corpo e ricercato da polizia e criminali, spalleggiato esclusivamente dall'imbelle collega Olmetti (Le Coq) che non è assolutamente in grado di aiutarlo o sostenerlo. Per mettere in scena questa tragedia mediterranea a tinte fosche, Courtois si rifà ai modelli americani (Coppola e De Palma su tutti), stilizzandola visivamente con ralenti insistiti, plateali montaggi alternati (il riferimento filmico ovviamente è "Il padrino), soggettive marcatissime e sparatorie furibonde (lo showdown finale con tanto di cadaveri in piscina è puro "Scarface"). Ma se l'intento epico è forte e chiaro, tutta questa profusione di virtuosismi cinematografici sfocia apertamente in maniera, impedendo al film di comunicare il senso tragico tanto ostinatamente ricercato. I personaggi vengono schiacciati da un impianto visivo ipertrofico che li annulla drammaticamente, riducendoli a semplici funzioni e negando loro qualsiasi profondità narrativa: la veemenza dell'esposizione li svuota progressivamente, lasciandoli in balia di una stilizzazione estetizzante che passa al di sopra delle loro teste e dei nostri cuori. E se l'ambientazione suggestiva e avvolgente può addirittura ricordare la Marsiglia di Izzo, di "Un ange" (il titolo allude al ruolo reciproco di angelo custode ricoperto da Léa e Samy) resta soltanto la fugace impressione di un'illusione ottica.

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