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La terra degli uomini rossi

Regia di Marco Bechis vedi scheda film

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La recensione su La terra degli uomini rossi

di chinaski
8 stelle

La terra. Rossa e sanguigna. Gli indios guaranì, costretti a vivere nelle riserve e a mascherarsi da selvaggi per i turisti che risalgono il fiume. Le vittime del latifondo e dell’imperialismo. Gli europei che comprano terre, che redigono atti di proprietà. Come se paesi e luoghi potessero essere acquistati e venduti. Eppure è questo il processo che il colonialismo ha messo in atto in tanti paesi del mondo. Dall’Africa al Sud America.
Marco Bechis cerca di mettere in scena le privazioni degli indios. La mancanza di una terra da coltivare e di boschi e foreste nei quali cacciare. La rapida perdita dell’identità, a discapito delle illusioni del consumismo (il ragazzo indio che si compra le scarpe da ginnastica firmate). Nuove forme di resistenza umana e sociale che partono dalla terra, dal rapporto con essa. Gli indios, al di là delle lotte (accennate) contro i proprietari terrieri, seguono la strada della riscoperta di se stessi. Di un mondo che non ha nulla a che fare con la tecnologia e il mercato, ancora inserito nella natura e nelle correnti mistiche che la percorrono. Lo sciamanesimo, l’arte del sognare, i colori sulla pelle. Rituali di appartenenza e visioni del mondo che stanno andando perdute. I guaranì compiono un processo di trasformazione che li riporta alle loro origini. Come uno dei ragazzi, che studia da sciamano, che lanciando urla e grida animali giura la sua vendetta a chi ha ucciso il capo del suo gruppo. In questo modo la lotta diventa autentica, nella rinuncia completa dei meccanismi che l’occidente ha imposto, del suo stile di vita, della sua ipocrisia.
Il regista sceglie un punto di vista statico e non invadente e si immerge in maniera controllata in quella porzione di mondo abitata dai guaranì, si appoggia ad invenzioni stilistiche solo per mostrare i poteri sciamanici di uno dei ragazzi indio e si ricorda di Pasolini nella scelta di inserire pezzi di musica classica (Domenico Zipoli) accanto ad immagini che mostrano lo stato in cui gli indigeni vivono. Rimane completamente sbagliata, invece, la scelta di doppiare gli indios, facendo così perdere la ricchezza e la musicalità della loro lingua.
Birdwatchers è una riflessione sui gravissimi danni del colonialismo, sulla situazione di estrema emarginazione degli indios guaranì e anche un momento di scoperta dello stile di vita di questi uomini, che forse rimangono uno degli ultimi baluardi esistenti contro la globalizzazione mondiale, un processo che uccide le differenze nel sogno spaventoso di un’omologazione imperante.

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