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Settimo cielo

Regia di Andreas Dresen vedi scheda film

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La recensione su Settimo cielo

di Peppe Comune
8 stelle

La sessantenne Inge (Ursula Werner) si innamora del settantaseienne Karl (Horst Westphal) mettendo in crisi il trentennale rapporto col compagno Werner (Horst Rehberg). Ovvero, il triangolo amoroso tra persone che si scoprono ancora capaci di gustare appieno i piaceri che la vita gli può riservare.

Il tedesco Andreas Dresen maneggia con delicata disinvoltura una materia forte e con l'essenzialità stilistica di chi intende accompagnare con tutto il candore possibile il lento incedere dei protagonisti, oppone alla straordinarietà della materia trattata  l'assoluta naturalezza di corpi che si cercano, si toccano, che teneramente si desiderano. E' un film sulla capacità di riscoprirsi innamorati nel bel mezzo della terza età, di provare un amore sincero e giovane, di quelli che innescano un turbillon di sensazioni che si era dimenticati di possedere, un terremoto degli affetti che si credeva non essere più capaci di provocare. C'è un momento del film in cui Inge confessa alla figlia (Steffi Kuhnert) di essersi innamorata di Karl e tra le due si instaura una tenera complicità, con la figlia che si mostra contenta di quello che è successo alla madre, del fatto che alla sua età possa ancora riuscire a gustare i piaceri dell'amore. Ecco, in quel momento preciso ci si rende conto di trovarsi in mano una materia adulta fatta per gente matura, per chi è capace di intendere l'amore puro, quello che non ha età e limiti a cui sottostare, per chi capisce che i piaceri del sesso vivificano l'esistenza. Una materia che va oltre il convenzionale modo in cui l'anziano viene inserito nel disegno sociale e anche contro una certa falsità cinematografica in materia. Dresen non invecchia giovani attori ma fa recitare a ultrassessantenni loro stessi, a briglie sciolte, restituendocene senza falsi pudori, sia il vitalismo di personalità ancora gonfie di passioni che la pura verità di corpi usurati dal tempo. La barzelletta raccontata da Karl su come fanno l'amore gli ottantenni e la pena che a Werner suscita il padre chiuso in una casa di riposo, ci danno la misura di quanto questi attempati gentiluomini guardano all'universo degli "anziani" come a una cosa a loro aliena, che non può ancora appartenergli fintantoché sanno ancora godere dei piaceri che la vita gli offre. Dresen fa ampio ricorso alla camera fissa che, mostrandoci squarci di vita domestica ripetersi sempre uguale, rafforza per contrasto la mutata condizione sentimentale di Inge, i cui sguardi  fissi verso un altrove lontano da ciò che gli capita intorno, ci dicono più di mille parole sulla sua difficoltà di informare dell'accaduto Werner, l'uomo che l'ha aiutata a crescere la figlia, il compagno di una vita, l'inconsapevole vittima di un amore a cui è stato impossibile sbarrare la strada. Per questo il film è anche una riflessione sulla spinosa questione su cosa sia meglio tra l'assecondare senza indugi i propri sentimenti più veri e riflettere sulle conseguenze che tale atteggiamento può produrre. Cogliere finchè si è in tempo i frutti dolci della passione ancora viva o scegliere la tranquillità degli affetti consolidati? Dare una risposta univoca, che valga sempre e comunque, significherebbe fare del moralismo spicciolo, imbrigliare l'esistenza umana in uno schema rigido che anestetizza a monte il piacere di scoprirsi o meno capaci di provare talune sensazioni. Grande film, con l'unica pecca di un finale che, a mio avviso, sarebbe stato meglio se fosse rimasto più elusivo.

 

 

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