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Il tatuaggio del drago: l'inferno è un destino

Regia di Masahiro Makino vedi scheda film

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AndreaVenuti

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La recensione su Il tatuaggio del drago: l'inferno è un destino

di AndreaVenuti
7 stelle

Il tatuaggio del drago- l'inferno è il destino dell'uomo è un film giapponese del 1970, diretto da Masahiro Makino.

 

Sinossi: Hidejiro è uno yakuza dedito al gioco d’azzardo ma a seguito di un regolamento di conti estremamente salato, che lo porta a scontare una lunga pena detentiva, decide di abbandonare la malavita e dedicarsi all’attività di cuoco presso il ristorantino di famiglia.

Inizialmente sembra andare tutto secondo i piani ed il giovane trova addirittura l’amore, tuttavia il passato non tarda a presentare il conto, costringendo Hidejiro ad impugnare nuovamente la katana… 

 

Con Il tatuaggio del drago-L’inferno è il destino dell’uomo il celebre maestro Masahiro Makino chiude la sua personalissima trilogia dedicata al personaggio di Hidejiro, protagonista di una lunga saga cinematografica inaugurata (1962) e terminata (1972) da Kiyoshi Saeki ed interpretata dal divo Ken Takakura, protagonista assoluto di tutti i film.

Come già scritto nei due precedenti capitoli, questa trilogia rappresenta uno dei primi esempi di yakuza-eiga, messi in scena però con modalità sempre differenti.

 

Innanzitutto soffermandoci sulla trilogia di Makino, notiamo chiaramente tre tipologie di incipit eterogenei. 

Il primo episodio (Il tatuaggio del drago-una cascata di sangue) inizia omettendo completamente il protagonista Hidejiro, il quale entra in scena in pompa magna a film avviato; nel secondo capitolo (Il tatuaggio del drago- il dovere di un leone) invece il buon vecchio Hidejiro è subito al centro dell’opera, impegnato in un duello d’onore mentre ora il regista ribalta del tutto le carte in gioco presentandoci un personaggio trasandato, senza meta, imbrogliato e malmenato da yakuza di quart’ordine. 

Inizio atipico e Makino opera a sorpresa una vera e propria smitizzazione dell’eroe, tuttavia siamo ancora nel bel mezzo del cosiddetto “yakuza-eiga classico”, dunque l’eroe non può sottrarsi ad un determinato codice d’onore ed infatti il nostro Hidejiro si rimbocca le maniche e recupera la dignità perduta nell’unico modo possibile: a coltellate.

 

Makino inoltre, almeno in un primo momento, cambia ambientazione temporale e per la prima volta nella trilogia il periodo storio in cui si svolgono le vicende non è più l’Era Showa bensì l’Era Taisho (1912-1926) e a proposito rievoca con drammatiche immagini d’archivio il grande terremoto del Kanto del 1923. 

Detto questo con il passare dei minuti il regista propone una gestione temporale assai dinamica, riportando l’azione nell’Era Showa; tale gestione volendo essere critici non è perfetta e risulta abbastanza confusionaria soprattutto nel passaggio dall’esordio iniziale in cui il protagonista viene truffato e menato, alla sua rivincita dopo tre anni dal misfatto.

 

Continuando a sviscerare la pellicola, emergono nuove tematiche in passato ignorate. 

Precisamente troviamo una maggiore attenzione ai legami interpersonali fra i soggetti coinvolti e durante le loro molteplici conversazioni, saltano fuori due argomenti davvero interessanti. 

Si comincia dal rigetto del mondo criminale ed Hidejiro sembra contento di essersi lasciato alle spalle la malavita tuttavia non per tutti è così semplice; il suo amico Matsuo (conosciuto in carcere) fatica e non poco ad integrarsi all’interno della società a causa del suo trascorso yakuza, al punto da desiderare di cancellare il suo enorme tatuaggio sulla schiena, simbolo di appartenenza ad un preciso mondo difficile da dimenticare, concetto confermato tra l’altro da alcune considerazioni finali dello stesso Hidejiro: «Io non posso uscire dal mondo yakuza anche se mi lavo mani e piedi».

 

Un’altra tematica singolare riguarda i rapporti familiari non legati da vincoli di sangue (tematica recentement ripresa da Kooreda in Father and Soon); l’anziana proprietaria del ristorantino dove lavora Hidejiro è in realtà la sua matrigna ed durante un confronto commovente con lui afferma di amare e rispettare molto il giovane, considerandolo suo figlio nonostante non ci siano vincoli di sangue effettivi, al contrario il suo vero figlio è uno scapestrato broker finanziario dedito solo ai suoi interessi personali.

 

Basandoci su quanto scritto finora, il film non sembra essere uno yakuza-eiga ed effettivamente per lunghi tratti si avvicina molto al classico shomin-geki (vicende della classe popolare) tuttavia l’universo yakuza rimane sempre in primo piano ed emerge con forza in un finale sanguinolento, marchio di fabbrica della trilogia firmata Makino.

 

Concludiamo dando uno sguardo alla la regia, dove questa volta Makino rinuncia ad un certo sperimentalismo proposto nel secondo film; eccetto un’iniziale gestione temporale frettolosa, l’autore ricorre ad uno stile estremamente sobrio mascherando al massimo il suo operato, privilegiando macchina da presa fissa e movimenti impercettibili, intervallanti sapientemente da rapide e fulminee scene d’azione.

 

Il tatuaggio del drago-L’inferno è il destino dell’uomo è la degna conclusione di una particolare trilogia, firmata da un grande maestro della storia del cinema giapponese. I film di Makino sono opere “classiche” realizzate in un periodo storico il cui la cinematografia nipponica si apprestava ad effettuare un enorme balzo in avanti, abbracciando stili e tematiche completamente nuove (ricordo solamente che nel 1977, dunque sette anni dopo questo film, esce il folle e ribelle Panic High School del grande Ishii Sogo).

Perle rare da recuperare.

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