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Archimède, le clochard

Regia di Gilles Grangier vedi scheda film

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La recensione su Archimède, le clochard

di hupp2000
8 stelle

Grande prova di Jean Gabin in una commedia condita magistralmente dai dialoghi dell'impareggiabile Michel Audiard.

Archimède occupa abusivamente un piccolo appartamento senza porte né finestre in un immenso e anonimo palazzone ancora in costruzione. Oppresso dal fracasso del cantiere che si è rimesso in moto, decide che la migliore soluzione per lui è quella di farsi mantenere per almeno otto mesi dallo Stato in una prigione, commettendo un piccolo reato che gli assicuri la condanna necessaria. Passa quindi all’atto, sfasciando vetri e suppellettili nel bistrot che è solito frequentare. La corte, però, conoscendo il carattere dell’imputato e la sua sostanziale innocuità, gli affibia solo otto giorni di detenzione. Furente, il nostro si ritrova in libertà e si rifugia in una dissestata stamberga nel quartiere delle Halles, i mercati generali di Parigi, dove incontra un compagno di sventura che sbarca il lunario sequestrando cagnolini di razza di ricche signore, fingendo poi di averli ritrovati per restituirli in cambio di una più o meno lauta ricompensa. Lo stratagemma funziona e Archimède riesce ad introdursi in un’agiata famiglia parigina, che lo accoglie come simpatico fenomeno da baraccone. L’espediente gli consente di tirare a campare evitando di lavorare, ipotesi che lo disgusta, considerandola una forma di sottomissione e rinuncia alla libertà. L’inverno, però, è alle porte e giunge l’ora di trasferirsi sul litorale della Costa Azzurra, dove persino la necessità di avere un tetto diventa superflua. Il film si chiude sulle immagini di un Archimède soddisfatto, a spasso sulla spiaggia di Cannes, di fronte all’Hotel Carlton.

 

Ingenuo quanto si vuole, “Archimède le clochard” è un delizioso e divertentissimo film di Gilles Grangier, uno dei dodici che girò con Jean Gabin protagonista. Ad impreziosirlo vi sono poi i dialoghi acuti e scoppietanti di Michel Audiard, l’ambientazione quasi documentaristica nei mercati generali delle Halles, le gustose interpretazioni di grandi caratteristi come Darry Cowl, Julien Carette e Paul Frankeur, complici di lungo corso sia del regista che di Jean Gabin, senza dimenticare la partecipazione di un giovane quanto promettente  Bernard Blier, nella parte del gestore del bistrot, figura timida con moglie fedifraga, intimorito dal carisma del clochard con cui è costretto a confrontarsi. Certo, Jean Gabin in veste di barbone è credibile quanto una carmelitana scalza in un film di kung-fu. Sfodera una cultura di alta classe, tutta citazioni di massimi autori, la dizione e l’oratoria sono degne delle migliori  accademie, danza da provetto ballerino, ma è pur sempre un magnifico spettacolo e si chiude volentieri un occhio sulla verosimiglianza delle situazioni.

 

“Archimède le clochard” fece registare in Francia la bellezza di oltre 4 milioni di spettatori nelle sale. Rientra a pieno titolo nel famigerato “cinéma de papa”, tanto inviso alla Nouvelle Vague e il finale, sul litorale adiacente alla celebre Croisette, riveste un carattere paradossale e, a parer mio, molto divertente perché, proprio in quell’anno il Festival di Cannes sancì il trionfo dei “400 coups” di un certo François Truffaut.

Film guardabile solo in versione originale. Doppiarlo sarebbe come vedere in un’altra lingua un film con Alberto Sordi o Totò. Impensabile!

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