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Una madre dovrebbe essere amata

Regia di Yasujiro Ozu vedi scheda film

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La recensione su Una madre dovrebbe essere amata

di OGM
8 stelle

Uno struggente racconto sulla difficoltà di essere madre,  e di essere figlio. Entrambi i ruoli hanno bisogno di una definizione, che nessuno è in grado di dare. Il problema si colloca sulla sottile linea di separazione tra il generare e l’allevare, tra l’amore come istinto e l’amore come impegno. Chieko ha partorito Kosaku, ma ha adottato Sadao, che suo marito aveva avuto dalla defunta prima moglie. La differenza esiste, ed è terribilmente difficile da gestire. Anche perché conoscerla o ignorarla, per i due ragazzi, cambia completamente il loro modo di guardare al comportamento della donna. Non appena Sadao scopre la verità sulle sue origini, la donna, ai suoi occhi, comincia a diventare criticabile per la sua presunta parzialità. Il giovane non perde occasione per rimproverarle una presunta disparità di trattamento, che lo farebbe sentire estraneo alla famiglia, riservando tutti i riguardi e le confidenze a suo fratello. Questa recriminazione, tanto inutile quanto crudele, è fonte di profonda sofferenza per entrambe le parti, ed assistervi spezza il cuore. Impossibile dire se sia più doloroso non sentirsi amati, oppure veder messo in discussione il proprio amore. Ozu tratta l’argomento con il realismo discreto ma sincero che diventerà il garbato marchio distintivo delle sue analisi della vita sociale e  familiare. I conflitti da lui osservati nell’intimità della casa o nella convivialità tipica dei locali pubblici, sono quelli classici, antichi quanto l’uomo: sono basati sulle incomprensioni e sugli egoismi che oppongono mariti e mogli, che seminano la discordia tra parenti, che scatenano contrasti generazionali. Sono tutti fenomeni ben noti, eppure le loro dinamiche appaiono nuove, e per nulla scontate, se vengono presentate in forma narrativa, calate nel loro ambiente naturale e, soprattutto, interpretate in vivo da persone comuni, che discorrono e discutono, litigano e si riconciliano, evitando, però, di passare attraverso l’artificioso registro del melodramma. Ozu lascia che le emozioni traspaiano dai gesti quotidiani, dalle espressioni, dal tono della voce,  con efficacia linguistica, ma senza alcuna enfasi letteraria. In questo racconto, in particolare, il messaggio dei sentimenti è affidato all’eloquenza del silenzio con cui la protagonista risponde alle devastanti accuse che le sono rivolte. Sensibilità e ragione sono, ad ogni istante, attivate da piccoli stimoli (il dettaglio di un ricordo, la sfumatura di una parola, l’inclinazione di uno sguardo) che suscitano un brivido di imbarazzo, prima di indirizzare l’animo verso la nostalgia, la paura, la compassione. L’immedesimazione è attivata dal riferimento a situazioni in cui ognuno si può riconoscere, e che, in questo caso, fanno leva su un momento cruciale nella vita di uomo: il distacco dai genitori, che può avvenire a causa della loro morte, o in seguito ad un normale processo di crescita, e che pone il problema dell’eredità da raccogliere. L’improvvisa scomparsa del padre dei due protagonisti, che accade all’inizio del film, quando essi sono ancora bambini, introduce la questione del cosa rimane quando un genitore cessa di poter esercitare la sua funzione di educatore e di guida. Non è un caso se, nel seguito dell’opera, l’accento è posto sul modo in cui si diventa uomini, sull’esempio del passato che offre un modello da seguire, e sull’incertezza del futuro che impone di restare uniti. Rimane invece fuori dal discorso la condanna, prettamente moralistica e decisamente banale, dell’ingratitudine del figlio nei confronti della madre: l’importante non è rendere onore e merito a coloro che ci hanno nutriti e curati, bensì vedere in essi una parte imprescindibile della nostra storia, in cui risiede la radice di tutto ciò che siamo. Questo argomento ben si presta ad essere affrontato secondo lo stile didascalico di Ozu, fondato sul ripensamento (inteso come rielaborazione del vissuto individuale), che induce i personaggi a riprendere il cammino dal punto in cui si erano smarriti. La forza di Una madre si deve amare (che è una traduzione meno letterale, ma forse più adeguata, del titolo internazionale inglese) risiede proprio nella tragica durezza con cui, nella vita di Sadao e Kosaku, si manifesta il diabolico potere dell’errore.

 

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