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The Pale Blue Eye - I delitti di West Point

Regia di Scott Cooper vedi scheda film

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La recensione su The Pale Blue Eye - I delitti di West Point

di mck
6 stelle

Il dénouement s'invola, portando con sé il film.

 

In questo “the Pale Blue Eye” lo spettatore incontra Edgar Allan Poe (incarnato con naturale maestria da Harry Melling che, dopo un ruolo di rilievo nella saga di Harry Potter, già aveva disposto rimarchevoli prestazioni collaterali in “the Lost City of Z” e “Waiting for the Barbarians”, più consistenti in “the Ballad of Buster Scruggs”, “the Devil All the Time”, “the Tragedy of Macbeth” e soprattutto in “the Queen’s Gambit” e da protagonista in “Please Baby Please”) quand’egli si trova poc’oltre il mezzo del cammin della sua vita, ma non perché abbia compiuto 40 anni, cosa che avverrà l’anno stesso della sua morte, bensì 21: abbandonata l’Università di Virginia, pubblicato il Tamerlano, arruolato nell’Esercito e lasciatolo con onore, adesso è entrato nell’Accademia Militare di West Point, ed infatti è lì che lo troviamo quand’anche il vedovo e alcolizzato detective in congedo August Landor (Christian Bale, che pur strafacendo col pilota automatico sintonizzato sul canone non riuscirebbe a recitare male manco se lo pagassero il doppio), nato dalla penna di Louis Bayard, lo incontra rimanendone giocosamente e complicemente affascinato. Tre anni dopo, il Manoscritto Trovato in una Bottiglia. Ancora 5 anni, ed ecco il Gordon Pym. 7 anni, e tocca al Corvo. Dopo altri 4 anni: il delirium tremens.

 


Solo che purtroppo, però, a mettere in scena la storia, scrivendola e dirigendola, è Scott Cooper, che in quanto a bolsità filmica se la batte alla grande coi campioni Alejandro González Iñárritu, Nicolas Winding Refn, Darren Aronofsky, Sam Mendes, Marc Forster, Joe Carnahan, Rupert Goold, Tom McCarthy, John Madden, Gavin O’Connor, Barry Jenkins, Joe Wright, Todd Phillips, Gavin Hood, Adam McKay, Tom Hooper, J. C. Chandor e i Batman/Tenet di Christopher Nolan.

Il film regge all’inizio grazie agli interpreti [oltre a Bale e Melling gli altrettant’ottimi Toby Jones, Gillian Anderson, Timothy Spall, Simon McBurney, Lucy Boynton e in due piccole parti (l’una da letto/taverna per) Charlotte Gainsborough e (l’altra da biblioteca di Babele & del Diavolo per) Robert Duvall] e alla fotografia di Masanobu Takayanagi, coadiuvata dalle scenografie di Stefania Cella & C. e soprattutto dai costumi di Kasia Walicka-Maimone, mentre poco riescono a fare in bene il montaggio del paulthomasandersoniano Dylan Tichenor e molto in male l’utilizzo delle onnipervasivamente inserite ovunque musiche di Howard Shore date a colpi di spatola sul Digital Cinema Package in Ultra High Definition, per poi sfaldarsi tra il ridicolo e i prolisso, l’ingenuo e il banale, il trito e il ritrito, tutti scientemente generati inconsapevolmente e involontariamente.

 


Oltre alla citazione "semi-letterale" (trattasi invece di omaggio/reinvenzione) di “Lenore” (allor’ancor’in farsi: “A Paean”), a quella metaforica di “the Purloined Letter” (qui un dipinto: non rubato, ovviamente, ma tenuto in bella mostra dal legittimo proprietario), a quella forzata/stiracchiata di "the Tell-Tale Heart" (da cui il titolo del film, mentre probabilmente il romanzo contiene ragioni migliori, ché poi sarebbe come, tipo, se Castellitto girasse "la Colonna Infame", un film che parla di pompieri di Alassio che non sanno scendere dal palo e tutti giù a dire: "Grande l'omaggio al Manzoni!") e a quella - più che "simbolica" direi - abusata, superficiale, trita e ritrita, convenzional-dozzinale e irrilevante/insignificante di "the Raven" (spargendo a spaglio un po' di corvi qua e là a fare "cra-cra"), la “regola” dickens-poesca è rispettata…

“Niente è più evidente del fatto che ogni intreccio degno del nome deve essere elaborato fino al suo dénouement prima che si tenti la stesura di qualche parte. Solo tenendo sempre presente il dénouement si può dare a un intreccio il suo necessario aspetto di coerenza, o connessione causale, facendo in modo che, in ogni punto, gli avvenimenti e soprattutto il tono seguano lo sviluppo del disegno.”
Edgar Allan Poe - “Filosofia della Composizione” - 1846 [traduzione di Elio Chinol, in “Edgar Allan Poe - Opere Scelte” (p. 1307), a cura di Giorgio Manganelli, i Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, 1971, pagg. XLI-1414, 80 €]

…e/ma nient’altro rimane, null’altro resta e tutto s’invola, come l’unica, vera, reale, concreta immagine poetica del film: le neve che, stanca, si lascia cadere (“I'm Thinking of Ending Things”) dai rami spogli.

 


Per “the Pale Blue Eye”, parente stretto, se pur di carattere diametralmente opposto, di un altro lavoro mediocre, “Glass Onion - a Knives Out Mistery”, proprio come in quel caso chiudo con un *** (molto) risicato, diciamo (generosamente) **¾.  

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