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Life of Crime 1984-2020

Regia di Jon Alpert vedi scheda film

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La recensione su Life of Crime 1984-2020

di EightAndHalf
6 stelle

36 anni di vita criminale di due uomini e una donna di Newark, New Jersey. Jon Alpert decide che deve portare avanti la storia dei suoi protagonisti, quelli già dei film che ha realizzato dal 1984 in poi. Per farlo deve fare un riassuntone che prenda il fulcro e gli highlights di tutti quegli anni. Quello che viene fuori ha un inevitabile che di definitivo. 

Life of Crime 1984-2020 desta più di una riflessione etica sulla messa in scena documentaristica in genere. Alpert, presenza sensibile ma non ingombrante in scena, interagisce curioso col mondo che osserva e registra senza giudicare mai, e anzi assecondando quasi la vanità dei suoi protagonisti impegnati a rubare in qualche negozio e supermercato. Alpert entra nelle loro vite quotidiane scoprendone storie familiari, desideri e aspirazioni, che vengono raccontate con una naturalezza quasi inquietante, frutto di una percezione del mondo, da parte di questi protagonisti, assolutamente distorta. D’altra parte partner e genitori e figli di Rob, Eddie e Desiris sono consapevoli che i tre rubano, si drogano e si prostituiscono, nei tempi d’oro è anche la più importante via di sostentazione.

Quando a diventare prevalente, nel film, è però il circolo vizioso della tossicodipendenza, che porta tutti e tre sul lastrico e sulla strada per anni e anni, si capisce che da quei personaggi estremi, che pure si sono abituati alla presenza di Alpert in maniera amichevole, il regista vuole tirar fuori il lato più umano e coscienzioso, che deve fare più di uno sforzo per resistere alla tentazione della loro Newark malfamata ed eroinamane. E su 36 anni di vita tallonata da Alpert, almeno 30 hanno a che fare col tentativo di allontanarsi dalla droga senza mai riuscirci, in loop frustranti che si presentano all’improvviso da un anno all’altro con conseguenze anche fatali.

Il film dunque risulta disturbante per la posizione etica di Alpert, che non interviene denunciando neanche quando il suo protagonista sta per morire, forse in un patto d’amicizia e di fiducia per il quale no, non avrebbe mai potuto dir nulla alla polizia ma solo consigli e avvertimenti direttamente a loro; emblematico però il momento in cui, prima di avvertire la figlia di Desiris che il figlio più piccolo seduto vicino alla finestra aperta potrebbe cadere di sotto, lo inquadra da una prospettiva più elegante, tanto che sembrerebbe venire prima la bellezza del momento che non la vita di un bambino. E vista la commozione insita nei vari finali, sollecitata da un ingombrante commento musicale, il senso di exploitation potrebbe arrivare a soverchiare qualsiasi altro effetto. Ma è indubbio al contempo come il film, seppure a rischio dei toni moralistici/didattici di certi spot quasi pornografici e indegni degli USA anni 70 (di quelli che si usavano per shockare gli adolescenti promiscui e le ragazze ‘che se la cercavano’), riesca a renderci partecipi in modo inedito a delle vite al limite in un mondo al limite, in cui i regimi etici crollano di per loro e una madre è disposta a lasciare da soli due bambini piccoli per la sua dose di eroina quotidiana. Sconvolgente e commovente, va scoperto insieme alla carriera di Alpert e a tutti i dibattiti che certamente ha ispirato nel corso degli ultimi 40 anni. Anche se poi il film rimane quello che è: un riassuntone, che aggiunge solo qualche chiusa frettolosa a quello che Alpert ha già raccontato.

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