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Fear Street: 1994

Regia di Leigh Janiak vedi scheda film

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La recensione su Fear Street: 1994

di mck
7 stelle

VM14, ma gli unici che possono pienamente apprezzarne la mistura composta da un percussivo riciclo dei cliché (in)sanamente (in)genui(ni) sono proprio quelli che non possono ancora prendere il patentino per la motoretta pè-re-pé. I Will Not Survive: finalmente un vero inno alla drokaaah! Sei uscito vivo dagli anni 80? Bravo, ma ora ti toccano i 90!

 

 

È stata (giustamente, ché non risparmia grandguignolesche atrocità di macelleria umana: e la mezza stella, vale a dire il punto, in più è frutto di ciò, assieme alla presenza di una certa dose di umorismo non proprio totalmente scontato - in gran parte legato a Simon, il personaggio interpretato dal bravo Fred Hechinger, visto di recente in «the Woman in the Window» - e al fatto - il sogno bagnato di ogni film che si rispetti - che in un’ora e tre quarti non si giunga a guardare, quasi mai, l’orologio) vietata ai minori di 14 anni, «Fear Street - Part One: 1994», l’opera seconda (e primo tomo, come parzialmente suggerisce il titolo, di un progetto più vasto costituente una trilogia i cui successivi volumi - 1978 e 1666 - verranno rilasciati da Netflix in quasi subitanea successione a scadenza settimanale) di Leigh JaniakHoneyMoon»), sceneggiata dalla regista con Phil Graziadei basandosi s’un loro soggetto, scritto con Kyle Killen, a sua volta tratto dalla serie di romanzi YA creata nel corso del tempo dal prolifico R.L. Stine, ma le uniche persone che potrebbero pienamente apprezzarne la mistura composta da un percussivo riciclo dei sentieri tracciati dai cliché (o, se si vuol esser generosi, dei tòpoi consapevolmente, scientemente e volutamente rimessi (sic!) in scena: da «the Texas ChainSaw Massacre» a «Scream» passando per «Halloween») e da una (in)sana (in)genui(ni)tà esibita sono proprio quelle che non possono ancora prendere il patentino per la motoretta pè-re-pe-pé.  

 

Maya Hawke

Fear Street: 1994 (2021): Maya Hawke

 

Dicevamo, «Stranger Things» - e di conseguenza e concerto tutto il revival anni ‘80 connesso, annesso e derivato (uno per tutti: «Summer of ‘84»), e in più il prologo con Maya Hawke (che proviene, con lo stesso background d'ambientazione centrocommercialosa, dalla 3ª stag. della summenzionata serie dei fratelli Duffer) e le scene post-crediti con Sadie Sink verso il 2° capitolo anni ‘70: Wet Hot American Summer: First Day on Camp! -, che giungerà alla luce più di un quarto di secolo dopo il primo libro della saga letteraria, che di quel decennio è figlia, sì, ma qui - come già per «Super Dark Times» (un vero «horror» disturbante) e, in parte, «It Follows» (che è più «senza tempo», o, meglio, un crogiuolo ucronico, ma si ricollega a «Fear Street - Part One: 1994» per l’assenza, meno acuta presenza, del mondo adulto, e in particolare di quello genitoriale, e pure per la «maledizione» contagiosa: HIV/AIDS e colpa atavico-generazionale), o, ma solo per l’epoca coinvolta, «Mid90s» -, al netto del fatto che il germoglio nostalgico è il medesimo, sono gli anni ‘90 (e quindi la musica non originale - ma anche quella originale di Marco Beltrami e Marcus Trumpp non scherza - è bella per forza di cose, a prescindere) dei Radiohead di «But I'm a “Creep” / I'm a Weirdo», e dei SoundGarden, dei Prodigy, dei Portishead e dei Garbage a pervadere di malinconica urgenza l’intero film.

 

 

Gli altri attor giovani che completano il buon cast del binomio topografico Sunnyvale-Shadyside (Riverdale-Greendale, SpringField-ShelbyVille, Derry-Castle Rock, etc.) sono Kiana Madeira (Deena; «Trinkets», «She Never Died»), Benjamin Flores Jr. (Josh; «Rim of the World»), Olivia Scott Welch (Sam; «Unbelievable») e Julia Rehwald (Kate; semi-esordiente).

Fotografia di Caleb Heymann («Vandal», «Stranger Things - 4») e montaggio di Rachel Goodlett Katz («Halt and Catch Fire»). Producono Chernin/Topping/Ready e distribuisce Netflix.

Curiosità: uno degli snodi (che poi si rivelerà essere solo un vicolo cieco) del film è praticamente lo stesso medesimo identico di quello che risolve il recente «Awake».

 

 

E, finalmente, un vero inno alla drokaaah!, ovvero: «I Will Not Survive»: sei uscito vivo dagli anni ‘80? Bravo! Ma ora ti toccano i ‘90!

* * * ¼ - 6½         

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