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Il gioco dei rubini

Regia di Boaz Yakin vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il gioco dei rubini

di pippus
8 stelle

Casualmente sono venuto in possesso di questo VHS  del ’99, e la lettura della presentazione con relative immagini sul frontespizio è stata fin da subito di stimolo per visionare il film e leggerne eventuali opinioni disponibili in rete.

Stranamente non ho trovato granché, e quel poco mi è parso piuttosto lacunoso mancando totalmente (a parte un breve parere della redazione di Film Tv) il commento a uno degli aspetti fondamentali della vicenda.

Il titolo originale ”A Price above Rubies”  cioè  “Un prezzo al di sopra dei rubini” (avrebbe avuto maggior attinenza) ma è stato tradotto incomprensibilmente in “ Il Gioco dei Rubini”. Sceneggiatura e regia sono di tal Boaz Yakin, relativamente giovane regista newyorkese di origini ebraiche che, in quest’opera, ha avuto il coraggio e l’intraprendenza di esporre palesemente “gli scheletri nell’armadio” di una tra le comunità più ermetiche in àmbito religioso, al pari dei Mormoni e degli Amish: quella chassidica

(o hasidica).

 

La regia, non accennando a una seppur minima introduzione, presenta il contesto optando per un' oggettiva interpretazione da parte dello spettatore che non sempre potrebbe essere sufficiente per una chiara comprensione della vicenda; quindi, com’è mia consuetudine in tali circostanze, apro una brevissima parentesi per illustrare molto sinteticamente in cosa consista il Chassidismo (o Hassidismo) detto anche ( ma con una forzatura non corretta) ebraismo ultra ortodosso.

 

Indispensabile premessa è la peculiare situazione che si era venuta a creare in buona parte della comunità israelitica, in particolare nel nord-est dell’Europa in seguito a due ragioni:

1) la difficile accettazione della cosiddetta Controriforma (reazione del Cattolicesimo alle teorie del Protestantesimo) nei territori russi e polacchi dove l’ebraismo, pur non essendo maggioritario, rappresentava una consistente percentuale della popolazione.

2) Ancor di più, il paradossale epilogo del falso Messia Sabbatai Zevi (la cui storia lascio all’eventuale iniziativa del lettore), il quale, dopo essere riuscito (un secolo prima) a convincere mezzo Israele della sua effettiva soprannaturalità, per una serie di vicende finì con il convertirsi all’Islam dalle parti di Costantinopoli nel 1666. La conseguenza fu un generale “irrigidimento” nell’interpretazioni delle scritture da parte dell’ebraismo rabbinico (le cui specificità erano riservate agli studiosi della Torah) per contrastare il quale emergono nuove forme interpretative che prendono il nome di Chassidismo.

Questa corrente dell’ebraismo, nata all’incirca nella metà del XVIII secolo nell’attuale Ucraina (e rapidamente estesasi in Lituania, Russia e zone limitrofe), deve le origini al polacco Israel Ben Eliezer, meglio conosciuto come il Ba’al Shem Tov oppure più semplicemente Besht che significa guaritore itinerante, il quale con I suoi discepoli sviluppò la conseguente filosofia e gli aspetti peculiari del pensiero chassidico. Questo, sintetizzando macroscopicamente, enfatizza lo studio della Bibbia (quindi della Torah e del Talmud) in maniera meno criptica e quindi più comprensibile e accessibile per tutti gli ebrei, anziché, com’era stato fino ad allora, riservato a una ristretta cerchia di studiosi (della Torah). Queste della “ comprensione semplificata”, ovviamente oltre a una nuova filosofia di studio e di vita, furono le basi che permisero al movimento di sedurre il cuore delle masse e, contemporaneamente, date le profonde e avvincenti nuove teorie divulgate, buona parte dei grandi maestri rabbinici.

Oggi ritroviamo comunità chassidiche in Europa, in Israele e negli Stati Uniti, e, in una di queste ultime, quella di New York, è ambientato il film di Boaz Yakin.

 

Tema del film è la vicenda personale di Sonia, una giovane cresciuta nella comunità ebraica americana che - in linea con i progetti che i suoi genitori avevano predisposto - sposa il giovane e colto Mendel, docente presso la locale scuola yashiva (particolari istituzioni ebraiche per lo studio prevalentemente del Talmud, della Torah oltre ad altre discipline filosofiche) della comunità chassidica di Brooklyn.

Lontana dalla sua famiglia di origine, Sonia ben presto si rende conto che l’ermetico stile di vita del nuovo contesto si addice ben poco alla sua indole libera e scarsamente incline alle inevitabili imposizioni. Norme che, dal nostro punto di vista, qualcuno potrebbe definire autentici fanatismi religiosi.

La sua è ormai una famiglia allargata a cognati e cognate con relativa prole. Le sue giornate, come peraltro quelle delle altre donne della comunità, sono limitate alle mere attività di conduzione famigliare e di preghiera nella sinagoga di un quartiere popolato esclusivamente da ebrei ortodossi.

L’ottima sceneggiatura (dello stesso Yakin) ha il merito di non esporsi mai in messaggi di critica o condanna sul modo di vivere della comunità, anzi, si limita a renderci partecipi di quelle che sono le contraddizioni, le convinzioni, e quindi gli “obblighi” del farne parte immergendoci virtualmente e obiettivamente in un quadro di cui potremmo aver visto, letto e sentito di tutto ma, difficilmente in termini così espliciti.

Mendel si dimostra un marito buono e rispettoso ma con la mente eccessivamente e perennemente immersa nei testi sacri; la sua vita di credente osservante è costantemente monitorata dal timore di Dio, anche il suo modo di approcciarsi alla sessualità non soddisfa le esigenze della moglie, per cui alle parole di quest’ultima “io vorrei qualcosa di più bello”, o peggio, “ami me più di quanto ami Dio?” rimane interdetto e senza risposte permettendo quindi che, grazie all’esperienza maturata nell’oreficeria dei genitori, Sonia inizi un rapporto di lavoro nel negozio del cognato Sender, anche lui commerciante di preziosi.

Quest’ultimo è lontano dalla correttezza e purezza d’animo del fratello e, ben presto, subdolamente approfitta della situazione psicologica della cognata iniziando con lei un’angosciante (per quest’ultima) relazione adulterina.

La situazione condurrà Sonia, dopo alcune drammatiche vicissitudini famigliari, a dover decidere se optare per una libertà che le permetta di affrancarsi dai tabù della comunità, oppure di sottostare accettandone tutti gli obblighi e le imposizioni.

 

Accennavo inizialmente a un aspetto fondamentale, e alludevo proprio alla figura di Sender vista dalla particolare angolazione di chi, come Yakin, della Comunità ha fatto parte. Il regista senza alcuna remora mette in evidenza, (quasi confessa potrei dire), come anche nelle realtà ultra ortodosse si evidenzino comportamenti che nulla hanno in comune con il credo paradossalmente ostentato e praticato. La sceneggiatura ci presenta un Sender abietto e opportunista, agli antipodi del fratello, il quale ,seppur ai nostri occhi esaltato oltre ogni limite, è persona corretta e coerente con ciò in cui crede e professa. Nell’offrire un lavoro alla cognata, Sender intuisce come da quest’ultima possa trarne benefici per soddisfare Ie sue infime pulsioni sessuali attraverso incontri clandestini nel retro del negozio, per poi, poche ore dopo, senza esitazione confortare il morale distrutto dell’ignaro fratello con ipocriti e infidi dialoghi eticamente privi di ogni ritegno. Yakin quindi sottolinea come in qualsiasi contesto possano coesistere personalità all’apparenza simili (Sender, come il fratello, ottempera a tutte le incombenze, religiose e non, previste dalla comunità) ma ben diverse nel loro intimo. In tal modo ci conferma le potenziali possibilità a largo spettro dell’essere umano, e come queste non si possano acquisire in quanto congenite nell’individuo: la moralità, la correttezza e la coerenza.

Sonia dapprima accetta, seppur riluttante, le avances del cognato per un mero tornaconto pratico che, attraverso le frequentazioni conseguenti il lavoro, le permetterà di conoscere altre persone al di fuori del contesto nel quale fino ad allora era vissuta. Sarà proprio una di queste che le permetterà di trovare il coraggio per reagire all’ennesima proposta ricattatoria di Sender (l’utilizzo di un appartamentino di sua proprietà  in cambio della sua disponibilità sessuale):

Sonia: “ Perché dovrei accettare?”

Sender: “ Perché così sei libera da Mendel, potrai fare un lavoro che ti piace e vivere la vita come credi”.

Sonia:” E di te, mi sono liberata di te ?”

Sender:” La libertà ha sempre un prezzo, un prezzo più alto della tua virtù, ma molto inferiore a quello dei rubini”.

Ultima, definitiva e coraggiosa frase di Sonia all’indirizzo del sussiegoso cognato: “ Guardo gli uomini e mi chiedo come Dio possa aver creato degli esseri tanto ripugnanti a cui le donne si aggrappano, ma tu sei il più ripugnante di tutti”!

 

Attraverso quest’opera, Boaz Yakin ha saputo, senza retorica, trasmetterci questo essenziale messaggio: se si vive con convinzione quello in cui crediamo, sia per appartenenza dalle origini, sia per subentrato convincimento o conversione, abbiamo il diritto/dovere di perseverare ma, al contempo, se pur appartenendo alla stessa comunità, le convinzioni e gli obblighi che ne conseguono non li sentiamo “nostri”, ovvero, recepiamo il loro adempimento imposto e coercitivo, allora abbiamo lo stesso diritto/dovere di cambiare. Anche se questa decisione comporta  traumi e rinunce.

La bella sequenza finale, relativa alla parola bisbigliata all'orecchio di Sonia dalla moglie dell’anziano rabbino durante il funerale di quest’ultimo, è la conferma della bontà di tale filosofia. Il pover’uomo, normalmente dispensatore di norme, consigli e giudizi per tutta la comunità, per un’ultima volta aveva riscoperto sentimenti a lui ormai sconosciuti, causa/effetto di una dipartita inaspettata ma felice, in primis per lui ma non di meno per l’incredula moglie.

Concludo sottolineando ancora l’audacia della regia nello sviscerare temerariamente i tabù di un contesto fino ad oggi ermeticamente riservato e protetto; aiutata in questo dalle superlative performances della Zellweger nel ruolo di Sonia, Christopher Eccleston nel ruolo di Sender e di Glenn Fitzgerald nel ruolo di Mendel, nonché della ex infermiera di E.R. ( Medici in Prima Linea) Julianna Margulies nel ruolo di Rachel (sorella di Mendel e di Sender).

Valida fotografia di Adam Holender che ha saputo ottimizzare I toni attenuati e soft idonei al tema trattato nelle sequenze girate al 90% in interni.

Unico neo, almeno a me è parso tale, le sequenze di pura illusione con quelli che ritengo inutili flashback del fratellino di Sonia annegato in tenera età; sequenze senza le quali avrei forse optato per una valutazione di mezza stella in più ma che globalmente non inficiano un esito mediamente eccellente.

 

 

 

 

 

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