Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Philophobia: or the Fear of Falling in Love

di undying

4 stelle

Debutto dietro la macchina da presa per un regista di certo talento che sa trattare brillantemente la commedia. Commedia, non horror: non si capisce infatti il motivo di metamorfosi d'immagine (titolo e locandina) verso un genere che qui non viene neanche lontanamente sfiorato.

Dopo sette mesi di fidanzamento, Damien (Aaron Burt) subisce un ultimatum dalla sua ragazza Danielle (Emily Pearse): partecipare ad un brunch -trovata americana che consiste in colazione + pranzo, attuato usualmente a metà mattinata- durante il quale sono presenti i genitori della ragazza. Motivo per cui, non volendo presentarsi, il loro rapporto va in frantumi. Damien cade in uno stato depressivo e nemmeno il supporto di Alan (David Lengel), vecchio amico dai tempi del liceo, contribuisce a risollevare il suo animo. Offuscato dall'alcol e sempre più affranto per la rottura della relazione, Damien inizia ad avere strane allucinazioni.

Filofobia: paura persistente e ingiustificata d'innamorarsi di un'altra persona. È su questa patologia psicologica (non si sa quanto e in che misura accertata) che Tyler Cole sviluppa una commedia dai toni brillanti. Coloratissima, con immagini spesso proposte in gradazioni cromatiche blu e viola, Philophobia: or the fear of falling in love si sviluppa per tutta la durata con movimentata ironia, impreziosita dalle interpretazioni di un cast davvero professionale (motivo di una valutazione non troppo negativa). Considerato anche il lieto fine, come film per tutta la famiglia, da visionare una domenica pomeriggio compromessa da maltempo, funziona benissimo. Funziona molto meno se ci si aspetta di trovarsi di fronte a un horror.

"Lascia che te lo dica oggi quanto ti voglio bene, quanto tu sei stato sempre per me, come hai arricchito la mia vita. Tu non puoi misurare ciò che significhi. Significa la sorgente in un deserto, l’albero fiorito in un terreno selvaggio. A te solo debbo che il mio cuore non sia inaridito, che sia rimasto in me un punto accessibile alla grazia." (Hermann Hesse)