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Jeanne

Regia di Bruno Dumont vedi scheda film

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La recensione su Jeanne

di mck
9 stelle

“Obbedisco!”, anzi no.

 

Non appena ha terminato, in “Jeannette, l'Enfance de Jeanne d'Arc”, di dettare le regole per la propria entrata nel grande gioco, ora le tocca giocarci davvero, alla guerra. Ed ecco che "Jeanne" inizia, in medias res, così come il film precedente "non" terminava.

 


Momento, cinematograficamente parlando, à la “Full Metal Jacket”:
- Non sembrate molto soddisfatto, Signor Maresciallo, di tutte queste battaglie.
- Vede, Monsignore, di questo passo in sei mesi la guerra sarà finita. Dopo, come ci divertiremo?

Successivamente alla disfatta di Azincourt del 1415, quando Jeanne d’Arc-Romée (1412-1431) aveva 3 anni, ecco la liberazione di Orléans dall’assedio anglo-borgognone, guidata nel 1429 da una ragazza, che di anni adesso ne ha 17, a capo di 4.000 soldati: la prima vittoria francese nella Guerra dei Cent’Anni da tempo immemore. Ne seguiranno altre: per la ragazza e per la Francia. Sino a quando il ritorno di un cavallo scosso da Compiègne, a nord di Parigi, sancirà, dopo 45 minuti di film, il preambolo della fine per l’una e un temporaneo ripiegamento per l’altra. Basta battaglie in armi, per Santa Giovanna.

 


“Non trovate glorioso che la nostra Chiesa sia universale e ignori la distinzione tra inglesi e francesi?”

Ora tocca lottare contro la tortura, utilizzando le parole. Che a nulla valgono di fronte al fuoco, appiccato dalla sentenza già scritta (esempio principe: un tentativo di fuga le viene ritorto contro in qualità di tentativo di suicidio) dalla Real Politik degl’inglesi e della clerical-borgognona Università di Parigi, la Sorbona (e da quellateneo oggi proviene il linguista Jean-François Causeret, che qui interpreta Pierre Cauchon, lorganizzatore del processo), la cui esecuzione è demandata pilatescamente al Braccio Secolare dello Stato (dellaltro processo, poi, quello francese e postumo di nullificazione - ovvero di riabilitazione e santificazione - in questa sede poco importa).

- Avete dei buoni attrezzi, ma è un lavoro sporco.
- Lo so bene.
- Perché hai scelto un lavoro così? Perché non hai fatto il fabbro? Apprendistato, cinque anni. Praticantato, cinque anni. E poi sei pronto per fare il fabbro.
- Non è colpa mia.
- Perché, allora?
- Perché... l'apprendistato costa troppo. Gli altri artigiani non mi vogliono intorno. Mia madre voleva che avessi un lavoro e mi ha trovato questo, di apprendistato.
- Scusami, non volevo offendere.

 


Bruno Dumont chiude il suo dittico musical rendendolo al contempo più (per merito di Christophe: magnifico) e meno (per la mera quantità tangibilmente minore di parti cantate) musicale, ma soprattutto, e sempre al contempo, tanto più normalizzato e risolto quanto altrettanto profondo, m’ancor più…semplicemente/profondamente “bello”, e solo in parte perché più “adulto”, là dove all’umano si sostituisce l’inumana Storia, anche se è la gente, che la fa, ma ne è disfatta.

- Pare che dei briganti abbiano saccheggiato due o tre villaggi. Ma villaggi ricchi. Ci devono essere sfuggiti, eppure non erano molto lontani.
- Dove, mio Signore?
- Due o tre giorni di marcia lungo la Senna. È stato terribile! Hanno bruciato uomini, donne e bambini...
- Dobbiamo andarci domani, mio Signore, dopo la presa di Parigi. Oh mio Dio, questi inglesi criminali!
- Vi sbagliate, Signora Jeanne, non sono stati gli inglesi a fare ciò, ma i francesi.
- Ah, bene. Capisco.
- Gli inglesi non sono così efferati e stupidi. Per prima cosa non avrebbero bruciato le donne*. A cosa servono da morte?

*D'altronde la Magna Carta libertatum non era mica carta da culo, eh. 

E in questo processo evolutivo, da Straub e Huillet in versione Jacques Tati e Quentin Dupieux al Roberto Rossellini di “Francesco, giullare di Dio” traslato verso Bresson/Rohmer, Alain Resnais e Terrence Malick, la (in)fedeltà storica assoluta è l’ultimo dei cortocircuiti di cui pre/post-occuparsi: da Lise Leplat Prudhomme, che ritorna, sempre con quella ingrugnata...

 

 

...cazzimma lì, nei panni di Jeanne d’Arc con sempre quel lustro più che abbondante di anni in meno rispetto al personaggio reale (qui 11-12 rispetto ai 18-19) alle casematte tedesche della Seconda Guerra Mondiale a guisa di glaciali massi erratici che spuntano (come le costruzioni in calcestruzzo e cemento armato trafitte dai tondini in ferro nello stile dell’Incompiuto Calabro nel “Noi Credevamo” di Mario Martone) come dinosauri...

 

 

...insabbiati sulle dune interne della normanna Côte d'Opale (già da sfondo-protagonista per “P'tit QuinQuin”, “Ma Loute” e “CoinCoin et les Z'inhumains”, oltre che per “Jeannette”, dove come qui fa da set per la rappresentazione della valle della Mosa, in Lorena) che in uno stacco di montaggio impietrente vengono sostituite, abbandonando il plein air, dalla mole...

 

 

...della pathsofgloryana (per il labirinto in B/N del pavimento) Cattedrale di Amiens messa ad interpretare prima la Cattedrale di Reims (dove Jeanne d’Arc incontra il nemmeno trentenne ex Delfino di Francia ed ora Re, Carlo VII (1403-1461), interpretato dal quasi...

 

 

...settantenne Fabrice Luchini) e poi il Castello di Rouen, luogo del processo. E la mattina di domenica 8 maggio 1429, così bucolicamente amena, è l’epitome alla trasfigurazione operata dal regista nei confronti della realtà, che verrà ricondotta alla sua essenza nel quadro finale, in campo lungo, pudico, annichilente.

"Domani ci direte se volete andare dove maestro Evrard vi manderà o se volete ricominciare la vostra vita umana, iniziare una nuova vita. Una vita tutta nuova. Non avete nemmeno vent'anni, Jeanne. Avete ancora molto tempo per donare la vostra vita a Dio. Sarà quasi una vita intera, una vita… una vita nuova, un'altra vita. Di tutto quello che facciamo, figlia mia, solo di lacrime e preghiere possiamo essere sicuri di non sbagliare mai. Andiamo, figlia mia… abbiate pietà di voi... e di noi."

E poi, la messa in abisso del voice over extra diegetico mai così diegetico - sopra, dentro, oltre - di Daniel Bevilacqua, in arte Christophe, sopravvissuto a Sanremo (Modugno gli preferì un altro secondo interprete), ma non alla CoViD-19 (13 ottobre 1945 - 16 aprile 2020), che canta e mette in musica Charles Peguy, in un caso immergendosi, e con lui lo spettatore, negli occhi (non più in estasi infantile, ma in furia politica) di Lise Leplat Prudhomme, con quel magnifico carrello/zoom in avanti che lentamente, con sovrimpressioni di (imago di) assalti, battaglie e cariche, procede impercettibile, ma…

 

 

…inesorabile, verso uno dei più potenti sguardi ex machina del cinema degli ultimi anni, immergendosi in esso con una emersiva plongée divinamente umana, e in un altro disvelandosi esso stesso, nella figura di Guillaume Évrard, come giudice inquisitore, dalla “eloquenza prodiga”, e che - come dice l’infido canonico Nicolas Loyseleur (Fabien Fenet), modello, cliché e stereotipo dell’uomo per tutte le stagioni, e qui nomen omen: l’Oiseleur, l’uccellatore, il più meschino e pavido fra i bracconieri - “con le parole è più convincente di me, molto più forte di me, capite? Molto più forte di me con tutti gli attrezzi [di tortura; NdR], a guisa di coro greco moralizzante.

 


"È un mercato morente. Si sentono certe cose al giorno d'oggi... Ci sono torturatori che rovinano il mestiere. Sciocchi imbranati che uccidono gli eretici invece di salvare la loro anima... Se sai solo uccidere la gente, non diventare un torturatore. Fai il soldato o il boia. Ci sono tante scelte. Non scegliere un lavoro in cui devi tenere in vita una persona il più a lungo possibile."

E i pochi uomini “buoni” [come dice imprudentemente allo stesso Loyseleur il frate Mathieu Bourat (interpretato da Valério Vassallo, dall’inconfondibile accento italiano, e che come molti dei giudici al processo nella vita reale non fa l’attore, ma il professore universitario, in questo caso docente di matematica presso la Facoltà di Scienza e Tecnologia di Lille), “Devo ammettere che non ci capisco nulla, ma nulla di nulla, di quello che stiamo facendo in questo processo!”] rimangono dietro le quinte: ben ascoltati e quindi resi inascoltati, azzittiti, isolati.

 

(Jeanne la Pucelle, semi-analfabeta, firma con segno di spada.)


“Obbedisco!”, anzi no.

 

* * * * ¼/½ - 8.75    

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