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Frances Ferguson

Regia di Bob Byington vedi scheda film

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La recensione su Frances Ferguson

di gaiart
7 stelle

Forse il 90 per cento degli studenti maschi in terza liceo ha sognato di farsi la professoressa di latino. Ma anche in quarta o in seconda. E anche di matematica o disegno tecnico fa lo stesso. Alzi la mano chi non è d'accordo.

Forse il 90 per cento degli studenti maschi in terza liceo ha sognato di farsi la professoressa di latino. Ma anche in quarta o in seconda. E anche di matematica o disegno tecnico fa lo stesso. Alzi la mano chi non è d'accordo.
Nella spumeggiante pellicola di Frances Ferguson a firma del simpatico Bob Byington, che ho avuto la fortuna di conoscere, il caso è capovolto. E' una bella biondina venticinquenne che decide di farsi il suo studente più figo, anche se minorenne e molto adulto sia nei modi che fisicamente, forse anzi sicuramente più maturo e self aware della povera e infelice professoressa Fran.
Da li si abbattono una serie di sciagure, peraltro già esistenti nella sua vita, al di la del baldo giovane. Una madre stordita, invidiosa, inappagata e frustrata che, anzichè aiutare e condividere con la figlia le da sempre contro, sintomo della classica indivia delle brutte verso le più belle e realizzate, dove nemmeno i gradi di parentela seppur primari, riescono ad arginare la tipica cattiveria femminile.
Un marito poi definito "idiot", dove l'eufemismo si spreca e il vuoto cosmico che lo pervade rende la solitudine di Frances una certezza.
Una piccola bambina, la figlia che non riesce a gestire o forse non le interessa perchè non è frutto di un amore vero, ma della copula con un imbecille che le ha rovinato metà dei geni.
Un siffatto corollario famigliare non idilliaco e cupo,  semina ovviamente una noia, un disagio esistenziale  che spinge la protagonista  come la locomotrice di un treno in corsa, a buttarsi altrove, a ricercare un pò di amore fuori dal nido o a firmare la sua sentenza in modo consapevole pur di provocare la sua dipartita da quel nido a cui ha preferito un accogliente carcere.
La narrazione è fluida, divertente, con dialoghi originali e netti, fantasiosi e, cosa più importante di tutte, mai moralizzanti, liberi e privi di giudizio. Una voce fuori campo aiuta a raccontare, ma comicamente confusa lei stessa a a volte non sa che pesci pigliare quasi solidale con la protagonista e il suo destino a discapito di tutta la piccola comunità americana, dove nel "little village" tutti sanno tutto di tutti e la colpa si estende macchia d'olio in un batter d'occhio. Questo genera una sensazione di solitudine e emarginazione verso Fran, nonostante il carcere e la rieducazione avessero avuto il decorso deciso gia dal giudice.?Tutto si annaffia con musichette sincopate, comiche e perfette per evocare ironia, mancanza di giudizio, stupore sia in chi compie sia in chi osserva. L'eleganza, la bravura iconocalstica di quest'attrice che non sembra nemmeno presente, al dilà di se stessa e della sua anima, perfetta nella sensualità, nella bellezza, nel distacco, nelle facce "scazzate",  un talento veramente autentico o forse perfettamente diretto e costruito da Ben. ?i costumi, la fotografia, tutto si staglia con eleganza e un immagine di annebbiatura visiva come fossero frame ricoperti di nebbia, quella che rimane nella testa di Fran e del futuro che le spetterà. ?Infine piccola postilla utilissima sui carceri, la rieducazone, il senso civile e l'attenzione in America verso i detenuti e i loro reati anche attraverso un processo di colloqui, psicoanalisi e terapia di gruppo, utile a far rifelttere sul compiuto e a far recuperare stima e autoaccetazione al povero caduto in errore, volente o nolente.?

 

 

 

 

 

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