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Sophia Antipolis

Regia di Virgil Vernier vedi scheda film

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La recensione su Sophia Antipolis

di OGM
4 stelle

Il nome di un parco tecnologico, sede di ricerca, formazione, sviluppo. Un titolo suggestivo ed ambizioso per un film che, purtroppo, lascia l'indagine a metà.

Ma cosa succede in questa città. Adolescenti che chiedono di rifarsi il seno, donne sole finita in preda alle sette, ronde notturne di vigilantes. I mali del nostro presente, si sa. Vederli riuniti in una storia un po’ così, ambientata nel teatro informe delle retrovie della Costa Azzurra, è come acconsentire, più per compassione che altro, all’ennesimo omaggio all’invisibilità: la nostra coscienza collettiva accetta, ancora una volta, di essere additata come parzialmente sporca, colpevole di partecipare impassibile ad una società che vive tranquilla in mezzo al marciume di strada e accanto ad un’emarginazione che trova sbocchi fatali.  L’intreccio fra le vicende non c’è, o forse è solo mediocre, in ossequio al generale sfilacciamento. Lo stesso contesto ci si sfalda tra le mani. È un tutto che avvolge il buio, senza una logica, senza connessioni, a meno che il collegamento non si debba ridurre al semplice stare nello stesso luogo, a condividere gli stessi futili o rabbiosi desideri, le stesse inutili o pericolose follie, lo stesso anonimo od ostile disinteresse. Davanti a questo film, che sembra camminare a caso, per poi perdersi nella notte, ci si chiede se il cosiddetto disagio meriti davvero di essere assunto come un mero, confuso dato di fatto, incapace di raccontarsi, se non attraverso i fumi del suo disperato bisogno di sfogo ed i suoi irrimediabili errori. A sostituire l’analisi e la denuncia interviene qui la prospettiva di un osservatore a sua volta disorientato, il cui affanno di obiettività e realismo non fa che accentuare la tiepida frammentarietà della narrazione. Mentre tutto il resto sfugge, rimane una sola verità, semisommersa, che al momento giusto decide di sgusciare fuori, all’improvviso, per invadere, pur nei suoi limiti, la scena: d’un tratto scopriamo che qualcosa di tragico è accaduto alla povera, giovane Sonia. E forse quel che abbiamo visto c’entra per intero, anche se l’abbiamo capito solo adesso, quando è ormai troppo tardi. Eppure abbiamo seguito dall’inizio lo spettacolo, ignari e magari distratti da altri pensieri, da altre curiosità. Tipo quella di sapere se davvero quella madre tanto strana e addolorata ha poteri da veggente. O se  quel ragazzo di colore, ex marinaio, riuscirà infine a integrarsi nel gruppo. Correndo dietro ai fenomeni segnalati dalla cronaca dimentichiamo i lati più taciti e oscuri della nostra realtà. Magari il piano è proprio questo: si vuole che usciamo dalla visione del film con quella convinzione, con quello scrupolo tinto dei colori foschi della violenza consumata di nascosto. Ma il concetto sfuma nella nebbia. Il contrasto fra la superficie e il fondo non è abbastanza netto.  Il messaggio, qui, non è il solito urlo che rimane inascoltato: è, invece, un silenzio che, nel farsi discorso, finisce per balbettare e mancare il bersaglio. Peccato per una potenza espressiva che, forse indecisa tra l’evidenza e l’allusione, ha finito per trascurare la sintassi.

 

scena

Sophia Antipolis (2018): scena

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