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24 Frames

Regia di Abbas Kiarostami vedi scheda film

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La recensione su 24 Frames

di OGM
8 stelle

Il cinema come (ri)nascita della fotografia.

Kiarostami ha ragione: il fotogramma non è altro che un immobile scenario. È solitario e immobile, muto e impotente. Diventa una storia, una immagine da guardare, un oggetto per i sensi, nel momento in cui vi irrompe il movimento, quel divenire che distingue il personaggio dallo sfondo. Che stacca il discorso dal contesto. Sono 24 gli istanti catturati, negli anni, dallo scatto di una fotocamera. Sono rimasti inerti ad aspettare che qualcuno capisse il loro desiderio di esistere, di entrare a far parte della vita del mondo. Il regista li ha estratti dal cassetto, per dare loro la vera luce, che non è quella dei flash e dei riflettori; è quella del dettaglio che inizia a fremere, a rompere il silenzio e la geometrica simmetria della composizione, per diventare visibile, per essere il centro dello spettacolo. Tutto può cominciare con un frullo d’ali, uno zampettio nella neve, il fruscio di una fronda. Qualcosa si sposta, e quell’attimo dà avvio a una danza, così improvvisata, incerta e spontanea da farsi subito opera d’arte. Coppie di uccelli, cavalli, leoni si corteggiano, dentro la cornice di una finestra, al di là del buco di una roccia, in mezzo alla neve, dietro un intreccio di rami. Le loro movenze sono arabeschi selvaggi che innervano l’originaria fissità del paesaggio come pulsazioni sanguigne, battiti cardiaci, sottili brividi di primitive emozioni. Gli animali raccontano  il loro essere, correndo, annusandosi, contenendosi il cibo, urlando, respirando, dormendo. La natura ci parla con il suo linguaggio discontinuo e disordinato, con il suo viavai che incanta mentre confonde, con il suo nonsenso, la sua mancanza di direzione, il suo voler partire e restare, che tanto ricorda la circolarità del ciclo vitale. Manca quasi completamente l’uomo, che compare solo due volte, fermo, e di spalle, circondato da un buio che lo estrania dalla realtà, oppure incollato al quadro di una città che si fa conoscere per le musiche, i rumori, i fuochi d’artificio, le forme espressive che precedono e sostituiscono la parola nella manifestazione della gioia, del dolore, della sorpresa, del timore per la potenza del creato.  Amore, morte, abbandono: sono le fasi in cui si suddivide l’esistenza, nel suo insieme,  ma anche nella successione dei minuti e dei giorni, perché gli eventi sono scanditi dal senso del proseguire, del finire, dell’incontrarsi, del perdersi. Sono queste le modalità fondamentali mediante le quali si definisce tutto ciò che accade, ossia il flusso delle cose e delle persone in cui ci troviamo immersi, che ci trasporta, ci mescola, ci separa, ci unisce in maniera del tutto casuale al suo turbinare senza meta. L’esistenza è quello che succede mentre noi non vogliamo, o non ci rendiamo conto. È il riflesso di un istinto cosmico che si articola nel tempo, e delimita la nostra identità, nel suo modo unico di vibrare, in mezzo a tutto il resto.  Questo noi siamo, mentre qualcuno ci osserva: soggetti animati che seguono ognuno il proprio destino irripetibile, nel moto browniano della realtà. Abbiamo tutti un ruolo assegnato, nella coreografia collettiva. La regola di base è disallinearsi, con immeditata originalità: come restare indifferenti nel dramma, o affacciarsi curiosi sulla monotonia.

 

scena

24 Frames (2017): scena

 

scena

24 Frames (2017): scena

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