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Uranus

Regia di Claude Berri vedi scheda film

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La recensione su Uranus

di hupp2000
9 stelle

In Francia come in Italia, il 1945 fu l’anno della Liberazione, ma anche della resa dei conti per chiunque fosse sopravvissuto alla guerra. In una piccola città di provincia, ancora segnata dalle distruzioni, la gente tenta di riprendere il normale corso dell’esistenza, è animata dalla speranza ma anche da tensioni vendicative dopo la tragedia che si è appena conclusa. Archambaud (Jean-Pierre Marielle), tipico Francese medio di buona cultura, nasconde presso la sua abitazione un ex-collaborazionista braccato dai membri della Resistenza e in particolare dai militanti del partito comunista. Non lo fa per convinzione politica, ma solo per senso di umanità, ritenendo inutili e sterili gli intenti di rivalsa, che non fanno altro che aggiungere violenza alla violenza. Intorno a lui gravitano personaggi di varia natura, da Léopold (Gérard Depardieu), gestore del bistrot del paese, sede provvisoria della scuola locale, all’insegnante Watrin (Philippe Noiret), disilluso e in attesa di recuperare un’abitazione decente, passando per Monglat (Michel Galabru), un cinico affarista arricchitosi sfruttando le disgrazie altrui e facendosi ben volere dagli occupanti nazisti, Gaigneux (Michel Blanc), modesto padre di famiglia e partigiano dell’ultima ora, Jourdan (Fabrice Luchini), borghese e piccolo intellettuale di sinistra che sogna a tavolino un’improbabile rivoluzione del proletariato. Il desiderio di vendetta si alterna a quello del quieto vivere, spesso vanificato da improvvisi scatti di rabbia che cova sotto le ceneri.

 

Nel fotografare questa realtà, Claude Berri alterna momenti drammatici a situazioni pittoresche, potendo contare sulle prestazioni di attori di grandissimo livello, ognuno dei quali ha diritto al suo momento di centralità, potendosi lanciare in una serie di monologhi scritti in punta di penna, che da soli assicurano l’alta godibilità della pellicola. Lo spirito che la anima rimanda a capolavori come “Il corvo” di Henri G. Clouzot (1943) o “La traversata di Parigi” di Claude Autant-Lara (1956), anche se il regista sembra voler privilegiare il lato spettacolare della vicenda e la presenza di mostri della recitazione, rispetto alla tensione drammatica che forse avrebbe meritato. Allo spettatore resta comunque il piacere di una narrazione spedita e stracarica di virtuosismi attoriali. Gérard Dépardieu è un fiume in piena. Il modesto gestore del bistrot adibito a scuola, che si scopre poeta e inventore di versi alessandrini, alcolizzato perso e incapace di contenere le sue emozioni, lascia un segno indelebile nella memoria di chi lo ascolta. Philippe Noiret si produce in considerazioni filosofiche pacate e rassegnate con la gravità e l’ironia che ben gli si conoscono. Alta classe e disincanto malinconico caratterizzano l’aristocratica interpretazione di un Jean-Pierre Marielle in forma più che mai smagliante. L’ancor giovanissimo Fabrice Luchini lascia intravedere il futuro re dell’oratoria che ancora oggi continua ad essere. Cosa dire poi di Michel Galabru, tonitruante e volgare approfittatore, di Michel Blanc, meschino e pauroso, di Daniel Prévost, vile e strisciante delatore? E’ una gara a chi si immedesima meglio nella parte e ne escono tutti vincitori.

 

Che questo film sia restato sconosciuto in Italia è un peccato, certo, ma con una attenuante: la sola idea di un doppiaggio, per quanto accurato, di attori di cotanta levatura, avrebbe certamente rovinato la festa.

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