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Nessuno

Regia di Francesco Calogero vedi scheda film

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La recensione su Nessuno

di OGM
7 stelle

Silenzio. Per Nico Storchi non parlare è l’unica soluzione. È la resistenza ad una realtà con la quale non si può più colloquiare, perché tutta la verità appartiene al passato. O meglio, a quel sedimento irrisolto che le cose accadute gli hanno lasciato in fondo all’anima, e che continuamente ritornano, a togliere la lucentezza al giorno. Tacere è come vivere sospesi. È una sorta di coma dell’anima, del tutto paragonabile a quello stato vegetativo in cui da qualche tempo si trova sua madre. È chiamarsi fuori dal tempo, quello che è scandito dalle parole, e sempre in maniera incompiuta, verso una direzione sempre incerta. In questo oscuro collage di inquietudine, anche il montaggio fatica a ricostruire il senso. La vicenda resta ripetutamente impigliata nella mancanza di chiarezza, di sincerità, di autenticità. L’amore è una breve e truffaldina seduzione, che crea unioni fragili ed inesorabilmente sbagliate. Nico è figlio di una di queste, che è nata per caso, e per necessità si è sciolta, ricostituendo la normale incoerenza della realtà. La sua storia è un flusso confuso, e senza evoluzione, eppure frenetico ed emotivo, come una sventagliata di musica jazz. Il film di Francesco Calogero soffre per l’instabilità del ricordo. È la lacuna di fondo che costringe i personaggi, i dialoghi e gli eventi ad appiccicarsi sul nulla, ad affondare le radici nella reticenza che lascia ogni cosa indeterminata, o forse semplicemente sottintesa. Nessuno sa niente, e ciò che si dice è solo una consolatoria forma di ipocrisia. Soltanto lui, Nico, si rifiuta di nascondere la propria ignoranza, il proprio di disorientamento dietro una coperta di espressioni scontate. Il navigante smarrito accetta la propria inesistenza agli occhi del mondo: è Ulisse che si fa chiamare Nessuno, per permanere nell’invisibilità, che è l’unica condizione priva di paradossi. Appena si cerca di affondare il dito nella superficie di questa pellicola a sfondo adolescenziale, imparentata tanto con i romanzi televisivi quanto col cinema sperimentale, ci si accorge di toccare il freddo vuoto che sovrasta un abisso. Il racconto ci sfila davanti, ma in effetti non è mai iniziato.  Per narrarlo, si può cominciare solo da ora, da un momento scelto a caso, sapendo che la sua prosecuzione non produrrà alcuna continuità logica,  né alcuna spiegazione razionale. Il dopo sarà soltanto una serie di nuovi interrogativi, tutti ugualmente capaci di sollecitare la memoria, senza mai indicare il bandolo della matassa. La frammentarietà del discorso lo rende sfocato, appannato dal respiro pesante di chi si affanna invano a capire. Il disagio del protagonista stende sulle immagini una patina opaca, attraverso la quale i pensieri si colgono a sprazzi, come brandelli indecifrabili di una riflessione alienata. Nel frattempo la banalità incombe, e ogni tanto riesce a rubare la scena alla poesia dell’incertezza: la visione è disomogenea come uno sguardo che si sposti in continuazione tra il mondo esteriore e quello interiore, con un movimento che apparentemente procede per salti, ma in realtà non fa che riaggiustare il fuoco dell’inquadratura.  Di fronte  a Nessuno, si può rinunciare ad essere lucidi, ad avere sempre sotto controllo la situazione: non è poi così difficile abbandonarsi all’incanto  della sua nebulosa imperfezione, cosparsa di polvere vintage, che è cenere, droga o magia, e si posa sui vecchi libri, come sulle nostalgie mai spente.   

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