Dopo il successo rapido e inatteso del Dracula di Tod Browning con Bela Lugosi, Carl Laemmle Jr., figlio del patron della Universal che tanto aveva creduto nell’horror come genere privilegiato per il rilancio dello studio, decise di produrre Frankenstein. Ancora un racconto gotico lo spunto, ovvero Frankenstein o il moderno Prometeo, scritto da Mary Shelley tra il 1816 e il 1817 durante la singolar tenzone tra poeti e romanzieri lanciata da Lord Byron nella sua villa sul lago di Ginevra. Alla base del film, però, come già per Dracula, anche una riduzione teatrale oltre a Il gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene, capolavoro dell’espressionismo tedesco del 1920.

Il primo progetto viene affidato al regista francese Robert Florey, storico aiuto di Josef von Sternberg, che supervisionò il trattamento ma al quale venne chiesto di lasciare la produzione per occuparsi di un altro horror della Universal, Il dottor Miracolo (1932), ispirato a I delitti della Rue Morgue di Edgar Allan Poe. Laemmle Jr. scritturò invece il britannico James Whale, un tecnico eccezionale noto nell’ambiente per essere in grado di seguire in prima persona qualunque aspetto della lavorazione, dalla messa in scena alle luci alla scenografia, con scrupolosa meticolosità. In fondo era la stessa caratteristica di Tod Browning, un perfezionista; la differenza fu che l’autore di Dracula ebbe un rapporto costantemente burrascoso con il produttore, tanto da delegare al direttore della fotografia Karl Freund anche fasi delle riprese (certe fonti riportano ormai il grande operatore tedesco come co-autore del film), mentre Whale ottenne davvero carta bianca. Il risultato è esemplare, magnifico, perché Frankenstein è uno dei migliori film americani degli anni 30, ottenne un successo commerciale internazionale senza precedenti per un horror (oltre a essere il titolo del 1931 più visto in assoluto in patria) e ispirò decine di epigoni, anche parodistici.

James Whale elaborò una personale visione espressionista, aiutato dal direttore della fotografia Arthur Edeson, che contribuirà con Il mistero del falco (1941) a dare al noir cinematografico un’atmosfera definitiva (è anche il DOP di Casablanca, per dire). Meno eterea, più inquietante, carnale, naturalista. Si introduce la figura di Fritz, l’aiutante gobbo del dottor Frankenstein, presente nella pièce teatrale ma non nell’originale di Shelley, e attraverso il suo confronto con la Creatura (un meraviglioso Boris Karloff, iconico quant’altri mai) si sviluppa il tema della deformità, compresa quella “psicologica” del mad doctor. Il momento della rivitalizzazione è stupefacente e andrebbe sempre proiettato nelle scuole di cinema. Nello studio del dottore pieno di alambicchi tra l’arcaico e l’avveniristico, giace il corpo dell’essere fatto di pezzi di morti (l’uomo-massa). Oltre allo scienziato sono presenti la sua fidanzata, il suo antico mentore e il suo migliore amico.

«Una bella scena, non è vero?» dice il Doc, «un pazzo furioso come me e tre spettatori sani di mente». Di fronte a loro uno spettacolo di impareggiabile potenza, quello della carne che prende vita tra tuoni e fulmini, la sfida dell’uomo all’Onnipotente (il moderno Prometeo) ma anche il meccanismo del cinema (dispositivo pazzo pronto a contagiare noi spettatori sani) che celebra il trionfo di sua madre, la scienza, e della sua matrigna, la magia. Per rispettare i parametri autocensori imposti dal codice Hays, il film è introdotto dal voice over di Edward Van Sloan (il mentore dottor Waldman, in Dracula era Van Helsing) che in originale recita così: «Mr. Carl Leammle feels it would be a little unkind to present this picture without just a word of friendly warning...». Notate bene come l’“amichevole avviso” fosse del produttore, non del regista, che in tempi di studio system contava molto meno.
Il film
Frankenstein
Horror - USA 1931 - durata 71’
Titolo originale: Frankenstein
Regia: James Whale
Con Boris Karloff, Colin Clive, Mae Clarke, John Boles, Edward Van Sloan, Frederick Kerr
in streaming: su Apple TV Amazon Video
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