Adattare The Long Walk di Stephen King per un film era, per molti, un’impresa impossibile. Un gruppo di ragazzi che cammina per ore, giorni, fino all’inevitabile collasso non sembrava materiale da cinema. Ma Francis Lawrence, già regista del ciclo di Hunger Games, e lo sceneggiatore JT Mollner hanno dimostrato che si sbagliavano. Il risultato è un film brutale, claustrofobico nonostante gli spazi aperti, dove la tensione non esplode, ma si accumula metro dopo metro. Al cinema dall’11 settembre grazie ad Adler Entertainment.

Una premessa senza via di fuga
In un’America alternativa e militarizzata, ogni anno cinquanta adolescenti vengono selezionati per partecipare a The Long Walk, che dà il titolo al film. Le regole sono semplici e spietate: mantenere una velocità minima di tre miglia orarie. Chi rallenta riceve un avvertimento. Al terzo, arriva l’eliminazione. Nessuna sosta. Nessuna via di fuga. Solo un vincitore: l’ultimo in piedi.
Tutto viene trasmesso in diretta. Un evento nazionale, celebrato e temuto, dove spettacolo e morte coincidono. Un gioco perverso in cui i partecipanti si sono iscritti volontariamente, attratti da una promessa vaga e assoluta: “tutto ciò che desiderano”.
Il protagonista: Raymond Garraty
Raymond, interpretato da Cooper Hoffman, è il cuore silenzioso della storia del film The Long Walk. La sua decisione di partecipare è una contraddizione in sé: legato profondamente alla madre, segnato dalla figura paterna ormai assente, Ray non è un ribelle, ma nemmeno un ingenuo. È un ragazzo alla ricerca di un significato, di un posto nel mondo. Il cammino che intraprende non è solo fisico: è un processo di demolizione interiore, in cui le certezze crollano e le alleanze diventano essenziali per resistere.

Un gruppo che diventa specchio della società
Ogni partecipante alla gara al centro del film The Long Walk riflette una sfumatura diversa della gioventù sacrificata.
Peter McVries (David Jonsson), il carismatico, diventa l’anima del gruppo. La sua presenza è una forma di resistenza morale. Stebbins (Garrett Wareing), quasi una macchina biologica, porta nel gruppo una logica fredda e impersonale. Ma dietro la facciata si nasconde altro.
Arthur Baker (Tut Nyuot) e Hank Olson (Ben Wang) formano con Ray e Peter il nucleo affettivo del film. “I Quattro Moschettieri”, come si definiscono, non sono eroi, ma ragazzi aggrappati a una solidarietà fragile quanto necessaria.
Curly (Roman Griffin Davis), il più giovane, mente per entrare e si ritrova presto a lottare contro i propri limiti. Gary Barkovitch, provocatore compulsivo, porta lo scontro all’interno del gruppo, sottolineando come la violenza non venga solo imposta dall’alto ma anche generata dalla disperazione.
Richard Harkness (Jordan Gonzalez), aspirante giornalista, crede di poter documentare tutto. Ma il cammino non tollera testimoni passivi.
Non mancano personaggi secondari che danno profondità al contesto: i Garraty (Josh Hamilton e Judy Greer), genitori segnati dalla guerra e dalla perdita, e il Maggiore (Mark Hamill), figura oscura e simbolo del potere che orchestra tutto il gioco. Un’icona del controllo, freddo e impenetrabile, che osserva senza empatia.
Scelta e sacrificio
The Long Walk è un film che parla di scelta, sacrificio, trauma e condizionamento sociale. Ma soprattutto, è una riflessione sul controllo e sulla spettacolarizzazione della violenza. Ogni passo è osservato, ogni crollo viene trasformato in contenuto.
È anche una parabola sulla crescita. L’adolescenza, qui, è rappresentata come un processo spietato in cui solo uno può sopravvivere. L’idea della “competizione” si spinge all’estremo: o sei il primo, o non sei niente. In questo senso, la marcia diventa una metafora del mondo adulto che questi ragazzi stanno cercando di raggiungere ma che forse è già marcio prima ancora di entrarci.
La sceneggiatura di JT Mollner riesce a tradurre in immagini l’ossessione e la spirale della resistenza. Non punta sul ritmo o sul colpo di scena, ma su una tensione costante, quasi documentaristica. La camminata è reale: il cast ha effettivamente percorso centinaia di chilometri sotto il sole, contribuendo a restituire un senso di fatica tangibile.
Il lungo cammino del film
La storia produttiva del film The Long Walk è essa stessa un piccolo miracolo. Scritta da King negli anni Sessanta, pubblicata nel 1979 sotto lo pseudonimo Richard Bachman, The Long Walk ha attirato l’interesse di registi come George A. Romero e Frank Darabont, che però non sono riusciti a portarla sullo schermo. Troppo statica, troppo psicologica, troppo difficile da “vedere”.
Francis Lawrence ha trovato una chiave visiva: far vivere la fatica, l’usura, il tempo. Non c’è montaggio frenetico. Ci sono i piedi, la polvere, le ustioni, la luce che cambia, le gambe che tremano. E c’è un cast giovane, sconosciuto al grande pubblico, che si cala pienamente nella parte. Il risultato è una discesa collettiva nella resistenza fisica ed emotiva.
The Long Walk non è un film di azione. È un film sull’inerzia che uccide. Sul sistema che ti chiede tutto e non ti offre nulla in cambio, se non una promessa. Su una generazione che cammina perché non ha alternative. Né spettacolare né didascalico, tenta l’impresa di rendere cinematico l’invisibile: la paura, la speranza, il dolore. Camminare, qui, non è movimento. È l’ultima forma di sopravvivenza.
Filmografia
The Long Walk
Horror - USA 2025 - durata 108’
Titolo originale: The Long Walk
Regia: Francis Lawrence
Con Garrett Wareing, Mark Hamill, Judy Greer, Charlie Plummer, Ben Wang, David Jonsson
Al cinema: Uscita in Italia il 30/11/-0001
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