Il finale di Rocco e i suoi fratelli (1960), contenuto nell’ultima sezione del film intitolata a “Luca” il fratello più piccolo, è classicamente inteso come l’esposizione del punto di vista del regista Luchino Visconti. Attraverso un dialogo col piccolo Luca il penultimo fratello, Ciro, rappresenta la visione critica della società e del progresso, lontana sia dalla nostalgia di un edenico (inesistente) passato paventata da Rocco, sia dal conformismo di Vincenzo, sia dalla fascinazione per le luci della città che hanno condotto Simone prima alla nevrosi e poi alla follia omicida.
Ciro è l’intellettuale (ha preso la licenza media alle scuole serali), è la classe operaia dalle cui braccia si pensava allora (o pensavano i comunisti come Visconti) sarebbe sorta la società del futuro, priva di ingiustizie e diseguaglianze. E infatti l’inquadratura finale schiaccia Ciro in mezzo ai colleghi mentre entrano all’Alfa Romeo, salutato dalla fidanzata milanese, lontana (lo si vede nella breve sequenza col padre di lei) dalle chiusure, gli atavismi, gli exploit melodrammatici delle donne lucane (si pensi all’inizio con la famiglia della sposa di Vincenzo).
Visconti nel finale prende quindi le distanze sia dalla cattiveria e dalla rabbia di Simone sia dalla “santità” di Rocco. Ma in cosa consiste questa santità? In occasione della scomparsa di Alain Delon credo sia il caso di riflettere sul suo personaggio più celebre proprio a partire non dal finale effettivo del film ma dalla sequenza immediatamente precedente, meno didascalica e programmatica del monologo conclusivo di Ciro.
Ciro sale sul motorino per andare a denunciare il fratello Simone per l’omicidio della prostituta Nadia, e Rocco lo insegue disperato nel tentativo di scongiurare la disgregazione della famiglia. Poi la mdp stringe sul suo (angelico) volto, che neanche la disperazione e l’assunzione delle colpe altrui riescono a scavare, abbrutire, demolire, e Rocco pronuncia le parole: “tutto è finito adesso”.
Lo scoramento finale di Rocco non avviene davanti allo stupro, alla truffa, all’omicidio ma davanti all’azione moralmente e legalmente corretta di Ciro. La santità di Rocco, manifestata anche dal volto glaciale e al contempo leggiadro di Delon, quei tratti mascolini incastonati su una armonia femminile, gli occhi cristologici ad assumersi tutte le colpe dei peccati altrui, pagarne lo scotto e portarne il peso, è una santità “antica”, anti-moderna.
Una idea di società in cui gli uomini non sono in grado di giudicare (solo a Dio spetta, come fa capire urlando contro Ciro nel loro ultimo colloquio) e devono solo supinamente subire, in nome della sacralità della famiglia (Rocco è il figlio che più di tutti assume la visione tradizionale, medievale, della madre); una civiltà fondata sui concetti di terra e sangue, nell’ipotesi di un ritorno a un passato ancestrale più “puro”.
La santità di Rocco, così simile al Myskin dell’Idiota dostoevskijano, è assolutamente incomprensibile nel mondo attuale, ostacola il progresso civile e immoralmente ritarda l’assunzione delle proprie responsabilità (se Simone fosse andato in galera per debiti non avrebbe ucciso Nadia). Il vecchio detto per cui La strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni si adatta perfettamente alla figura angelicata, irreale e alienata di Rocco, di un’alienazione di segno opposto a quella del fratello bruto ma altrettanto immorale, irrisolta e nevrotica.
Il film
Rocco e i suoi fratelli
Drammatico - Italia, Francia 1960 - durata 180’
Regia: Luchino Visconti
Con Alain Delon, Renato Salvatori, Annie Girardot, Roger Hanin, Katina Paxinou, Nino Castelnuovo
Al cinema: Uscita in Italia il 07/03/2016
in streaming: su Apple TV Amazon Video Rakuten TV Google Play Movies Rai Play
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