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Conchiglie ciprea e cioccolatini avvelenati
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Un austriaco? Detto con voce vellutata e suadente potrebbe accompagnare l'offerta di un lussurioso cioccolatino, una Palla di Mozart per esempio. Le stesse parole pronunciate mentre si decide che film guardare sono diventate a casa nostra una minaccia. Che suona più o meno così: vogliamo passare le prossime due ore in tensione aspettando la stilettata improvvisa e poi il male interiore e poi una notte di pensieri ossessivi? L'ultima volta che abbiamo risposto sì c'era ancora il sole e il mondo sembrava un luogo vivibile, a volte persino divertente. Poi abbiamo premuto il tasto play ed è iniziato Il settimo continente.

La camera segue molto da vicino tutte le operazioni compiute da una normale famigliola composta da padre, madre, figlia di circa 8 anni: la sveglia puntata alle 6, la mano che mette i tappi per le orecchie nell'apposita scatolina, le espadrillas vicino al letto, le accurate operazioni di igiene personale, la colazione, l'accensione dell'automobile, l'accompagnamento della figlia a scuola, l'arrivo al lavoro, la pausa, la giornata che finisce, i riti della cena.
Una famiglia normale che fa tutte le cosine normali e che dopo neanche 60 secondi, trattandosi di Haneke, finissimo cioccolatino austriaco, cominciano a puzzare di terrore. Le scene si ripetono, ossessive, identiche, e vanno a comporre quella che si potrebbe definire una tipica routine borghese. Se di Haneke conoscete Funny Games sapete benissimo che quella routine, alto borghese in quel caso, verrà devastata dall'arrivo dei due angeli del male vestiti da tennis. Qui invece Haneke si diverte un bel po' e per quanto dissemini di piccoli indizi la prima ora di pellicola - la figlia cerca di attrarre l'attenzione delle compagne di scuola affermando di avere perso la vista, la madre scoppia a piangere all'interno di un autolavaggio - si può tranquillamente affermare che non succede un tubo. Semplicemente il gelo con cui le operazioni di vita della famiglia vengono raffigurate e lo scarso spazio dedicato alle interazioni tra i componenti della medesima cominciano a stringere lo stomaco, la milza, il fegato, anche se i più sgamati potrebbero iniziare ad innervosirsi un po'. Eppure Haneke, bastardo navigato sebbene qui sia al suo esordio, tiene agganciato lo spettatore sulla base di un tòpos cinematografico infallibile: dietro la facciata della borghesia si nasconde sempre un mostro.

Poi nella nebbia Haneke fa filtrare una spiegazione: la famiglia vuole trasferirsi in Australia, i due genitori lo annunciano a scuola, al lavoro, vanno in banca e ritirano i risparmi di una vita davanti agli sguardi increduli, ma più che altro indispettiti, del bancario di turno, si liberano dell'automobile, scrivono una bella lettera ai nonni annunciando la grande notizia, si fanno arrivare a casa una quantità assurda di pietanze prelibate e champagne, non prima di avere fatto un passaggio al Leroy Merlin e avere comprato diversi set di attrezzi anche piuttosto pesanti per l'edilizia. Poi si rinchiudono in casa. E...

E se siete sensibili agli spoiler, anche se si tratta di un film del 1989, dovreste sospendere la lettura in questo preciso momento.

Perché infatti la nostra famiglia comincia a distruggere tutto. Con metodo. Come se volesse cancellare le tracce del proprio passaggio su questa terra. Anzi di più come se volesse rinnegare la sua stessa esistenza. Decine e decine di vestiti ridotte a striscioline di tessuto. Camicie, cravatte, scarpe, pantaloni: a pezzi. Una intera vita di oggetti accumulati negli armadi, veri e propri silos esistenziali, vengono distrutti ed eliminati. Poi si passa agli elementi di arredo: niente può essere risparmiato dalla metodica furia nichilista e autodistruttiva: tende, armadi, tavoli, sedie. E i risparmi di una vita? Chiaramente no, non serviranno a godersi il sole australiano, finiscono nel water, a mazzette. Perché questa famiglia ha deciso di annullarsi portando con sé tutti i simboli di una vita votata all'accumulo, come il finale di Zabriskie Point, ugualmente ideologico ma ribaltato in una sorta di implosione anti-spettacolare.

In un'intervista Haneke ha affermato che la scena dei soldi scaricati nel water ha prodotto negli spettatori di tutte le sale in cui la pellicola fu proiettata la stessa reazione: l'abbandono indignato della sala. Come se la distruzione del denaro fosse il più grande tabù della cultura occidentale, anche in confronto all'autodistruzione della famiglia, bambina inclusa.

In effetti, da spettatore, quando la distruzione sistematica del nido familiare si esaurisce e i soldi iniziano vengono buttati nel gabinetto mi son detto Okay, è finita. Come se quel gesto rappresentasse già l'epilogo di tutto, un punto di non ritorno, un tagliare definitivamente i ponti con il mondo, un'anticipazione simbolica del togliersi fisicamente la vita. Non sono del tutto sicuro che questa sensazione mi sia arrivata addosso perché la distruzione del denaro rappresenta un tabù della nostra cultura. Forse il tabù risiede altrove, nel valore simbolico che il denaro ha rappresentato fin dall'inizio, da quando l'homo sapiens ha iniziato a sentire il bisogno di trovare un sistema per scambiare beni in una rete più ampia e con una forma più efficace rispetto al baratto. All'inizio di tutto c'è stata una conchiglia, la conchiglia ciprea, la prima moneta del mondo. Fino a quel momento l'uomo era un semplice raccoglitore-cacciatore, passava le sue giornate all'aperto, industriandosi per sperimentare e decodificare i segnali dell'ambiente nel quale viveva. Ogni giorno usava la totalità delle sue facoltà e intelligenze per sopravvivere, era capace di vivere con poco perché era necessario doversi spostare spesso e l'accumulo non poteva assolutamente far parte della sua vita. Poi avvenne una rivoluzione, ben prima di quella agricola e tantomeno industriale: quella cognitiva. E l'uomo iniziò a pensare al di là della propria esistenza, al di là del proprio luogo fisico, in sostanza nacque il futuro. E con il futuro iniziò a formulare idee astratte: religioni, potere, denaro. Che accompagnarono la nascita di sistemi più complessi: tribù, città, imperi, civiltà. Una storia affascinante, magnificamente raccontata nel primo dei tre libri che compongono la trilogia di Harari Yuval Noah (ancora grazie a Giovenosta), una lettura imperdibile per tutti coloro che si baloccano con domande tipo: da dove veniamo, chi siamo, dove andiamo. Dalle misure di grano, alle conchiglie di Ciprea, fino alle attuali criptovalute, insomma, il denaro ha fin dall'inizio rappresentato e incarnato non solo il mezzo per procacciarsi semplicemente dei beni di sostentamento, ma soprattutto l'esistenza di un collegamento con altri esseri umani, la possibilità di far lavorare uomini distanti tra loro per un progetto comune, per un progetto futuro, un futuro che per esistere ha avuto bisogno di un tuffo con triplo avvitamento chiamato fiducia. La distruzione del denaro taglia questo ponte di connessione con l'umanità, rinnega la fiducia e con essa il concetto di futuro, compiendo di fatto una specie di reboot e riportando l'homo sapiens alle impostazioni di fabbrica, pre-rivoluzione cognitiva. Più che un tabù, la distruzione del denaro, rappresenta l'abbattimento di un totem.

A fare compagnia a Michael Haneke nella mia scatola di cioccolatini avvelenati austriaci ci sono il micidiale Ulrich Seidl con Canicola e la sua trilogia, il cupo Gotz Spielmann di Antares e Revenge, Markus Schleinzer con il suo asettico e claustrofobico Michael e perfino Hubert Sauper che, con il suo allucinato documentario L'incubo di Darwin, è riuscito nell'impresa di rendere anche l'acquisto di un filetto di pesce panga un gesto politico pieno di rimorsi. Gli amanti del cioccolato austriaco saranno, infine, felici di sapere che l'elegante scatola di cioccolatini accoglierà nel 2019 anche la serie distopica Kelvin's Book sulla quale Michael Haneke sta lavorando da qualche mese. Lussuria pura.

Se volete segnalarmi altre leccornie avvelenate, se volete semplicemente indagare più da vicino i titoli dei film e dei libri che ho segnalato, se vi state chiedendo con quale spirito adesso andrete a scambiare le conchiglie di ciprea faticosamente risparmiate con una manciata di regali e se volete insultarmi perché ritenete che questo sia stato un pessimo modo per augurarvi buon natale, potete farlo nello spazio commenti qui sotto. A tutti gli altri, per coerenza, auguro direttamente un fantastico 2019.

Link utili:

La scatola con i migliori cioccolatini austriaci
Neanche un filetto di panga
Claustrofobia gelida
Proprio tutto Ulrich Seidl
La stella cupa di Antares
L'implosione del settimo continente


La trilogia di Harari Yuval Noah su Feltrinelli

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