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Sulla mia pelle: Intervista esclusiva a Milvia Marigliano
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Arriva oggi nelle sale italiane (qui l’elenco completo) e in contemporanea su Netflix Sulla mia pelle di Alessio Cremonini. Presentato come film di apertura della sezione Orizzonti della 75ma edizione della Mostra del Cinema di Venezia, Sulla mia pelle ripercorre gli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi, riportando l’attenzione su una vicenda giudiziaria della recente storia italiana dai contorni ancora (purtroppo) poco chiari. Accolto favorevolmente da critica e pubblico (qui la recensione), Sulla mia pelle conta sulla magistrale interpretazione di Alessandro Borghi, che nei panni di Cucchi è al centro di una Via Crucis dall’amaro sapore. Lo affiancano Jasmine Trinca nei panni della combattiva sorella Ilaria e Max Tortora e Milvia Marigliano in quelli dei genitori Giovanni e Rita. Per l’occasione, abbiamo intervistato Milvia Marigliano, attrice dall’invidiabile curriculum teatrale che negli ultimi anni ha scelto di avvicinarsi al cinema, trovando la benedizione del premio Oscar Paolo Sorrentino.

 

Milvia Mirigliano

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In questo momento è particolarmente impegnata con le prove teatrali. A cosa sta lavorando?

Con il Teatro Nazionale di Genova stiamo lavorando a Storia di una diversa in cui interpreterò Alda Merini. Faccio la spola tra Genova e Milano, città in cui vivo e in cui a breve sarò protagonista di una maratona teatrale vera e propria. Da anni, con Arturo Cirillo ci interessiamo di drammaturgia americana contemporanea portando in scena dei testi che sono diventati anche film. Abbiamo realizzato in passato Lo zoo di vetro di Tennessee Williams e Chi ha paura di Virginia Woolf? di Edward Albee. Quest’anno è stata la volta di Lunga giornata verso la notte di Eugene O’Neill, per cui ero in nomination anche per un importante premio (il premio Le Maschere del Teatro Italiano 2018, promosso dal Teatro Stabile di Napoli-Teatro Nazionale, ndr). A novembre, per due giorni, metteremo in scena tutti e tre gli spettacoli uno dietro l’altro.

Si tratta di un bell’impegno.

Sì, ma trovo il tempo di pensare al mio amato cinema, che in questo periodo della mia vita mi piace così tanto. Ho recitato per il cinema da poco e a quest’età mi sento pronta per quest’altra avventura.

E ha iniziato in maniera clamorosa con Paolo Sorrentino per poi lasciarsi guidare da giovani registi, alla loro opera seconda, come Duccio Chiarini e Alessio Cremonini. Com’è passare dalle mani di un autore navigato a quelle di chi ha ancora davanti a sé molta strada da fare?

La prima avventura che ho condiviso con Sorrentino non è stata per il cinema ma per la televisione. Si trattava di The Young Pope e, in particolar modo, dell’ottavo episodio in cui interpretavo una suora in Sudafrica, suor Antonia. In quella circostanza, ho goduto di un Sorrentino “veloce”: quell’episodio doveva essere girato nell’arco di 12 – 13 giorni e aveva tempi diversi rispetto a quelli della lunga telefonata con Toni Servillo per Loro 2, posa particolarmente apprezzata. Sorrentino non lavora molto sulla psicologia dei personaggi, come invece fa Alessio Cremonini in Sulla mia pelle perché evidentemente legato a una storia vera e a un dolore universale in cui tutti si possono riconoscere, che poi è il lavoro che si fa anche a teatro ovviamente con altre tecniche. Sorrentino ha talmente un’idea così fantasiosa, visionaria, felliniana, da costruire le scene in maniera del tutto originale: ad esempio, nella scena che nel mio piccolo ho girato per The Young Pope, a lui interessava sì il dialogo della mia suora con Silvio Orlando ma anche disseminare particolari grotteschi e amari. A lui non interessa l’effetto comico: è molto arguto e intelligente. Ed è un bravo scrittore: noi attori teatrali siamo abituati a testi drammaturgici veri e nelle sue sceneggiature c’è una musicalità unica. La serie, inoltre, era scritta e recitata in inglese, una lingua musicale quasi quanto il napoletano. Nei suoi dialoghi, non c’è niente di banale: quando la drammaturgia è alta, un attore non può fallire. Nel caso contrario, con il più banale dei testi, anche il più bravo attore del mondo risulterà inadeguato. Avendo io il padre napoletano e recitando in napoletano, lo vedo un po’ (anche se non lo è) come un aristocratico napoletano dall’aria quasi schifiltosa o altezzosa, un’immagine che mi piace molto.

È ovvio poi che lavorare con lui mette tensione ma è anche giusto così. Noi teatranti, del resto, siamo abituati a lavorare per ore sulle parole, sulle intonazioni e sui significati, e a vivere in tensione. È sarcastico, ironico, crudo, cinico e anche un po’ misogino, diciamolo. Ma sa anche come essere caro con i suoi attori e, soprattutto, con quelli di teatro, fino a qualche tempo fa messi inspiegabilmente da parte. Sorrentino, invece, adora lavorare con gli attori di teatro con cui può spingere verso quella dimensione grottesca che ha già impresso sulla carta. Basti pensare alla mia suora lesbica, brutta, cattiva, con l’alitosi e con un registratore musicale sempre dietro. Se si è intelligenti, si entra subito nel suo mood, termine che va tanto di moda oggi.

Con Duccio Chiarini per L’ospite e con Alessio Cremonini per Sulla mia pelle abbiamo affrontato storie vere, realmente accadute.

L’ospite racconta di quello che è accaduto realmente a Duccio, giovane trentenne di oggi che, come spesso accade, non riesce a trovare famiglia e a relazionarsi. È chiaro che la vicenda è più sentimentale, dimensione che Sorrentino fino a oggi non ha ancora abbracciato. Gioietta, la mamma che interpreto, aveva bisogno di pianto, umanità e un po’ di retorica.

Sulla mia pelle va oltre il sentimentale e si prefigura come una piccola tragedia. Sul set, si era tutti più consapevoli di ciò che si andava a fare, dall’ultimo dei macchinisti al direttore della fotografia. Il protagonista assoluto è ovviamente Alessandro Borghi ma chiunque ha lavorato al film aveva come la percezione di far parte di una famiglia. Io, Max Tortora, Jasmine Trinca e Alessio Cremonini, ci sentivamo veramente una famiglia quando ci ritrovavamo a girare all’interno della casa scenica dei Cucchi, un ambiente lugubre e angosciante già di per sé. Abbiamo messo in scena sentimenti puri e dolore: io non so come affronterebbe il dolore Sorrentino, che sì strazia i suoi personaggi ma da un punto di vista intellettuale. Sulla mia pelle ricorda il cinema di Ken Loach: è verità. Per il pianto della signora Cucchi ho dovuto elaborare un dolore mio e sui miei sentimenti.

Ha avuto modo di incontrare la signora Rita Cucchi?

No, purtroppo no. A Venezia ho incontrato solo Ilaria, la sorella di Stefano. Ma c’è una ragione che va al di là del cinema: i genitori di Stefano ancora adesso non se la sentono di vedere il film.

Rispetto alla sorella Ilaria, sono quasi sempre rimasti un po’ nell’ombra, come se avessero una sorta di contegno del dolore che li lascia ai margini della vicenda.

Cremonini racconta i cinque giorni che vanno dall’arresto di Cucchi al suo riconoscimento in obitorio. Quando ho dovuto fare il provino per il film (una novità per me, un nuovo modo di mettermi in gioco: avventura anche di frustrazioni ma mi piace molto riuscire a costruire il personaggio entrando nell’ottica che ne ha il regista e togliendo molto nella recitazione rispetto al teatro), ho visionato alcuni video inerenti al processo e alcuni estratti della trasmissione Rai Un giorno in pretura in cui i genitori sono presenti. Su YouTube sono anche visibili in filmati di quel periodo, in cui partecipavano a conferenze o a incontri in cui raccontavano la vicenda. Negli anni seguenti si sono visti via via sempre di meno, come se si fossero rifugiati nell’oblio. Si diceva che sarebbero venuti a Venezia ma non erano pronti.

Jasmine Trinca, Max Tortora, Milvia Marigliano

Sulla mia pelle (2018): Jasmine Trinca, Max Tortora, Milvia Marigliano

 

Come si è quindi preparata alla parte? Psicologicamente, trovandosi nei panni della mamma, sarebbe facile immaginare un’esplosione di rabbia. Invece, ci troviamo di fronte ad atteggiamenti quasi di rassegnazione. Come ha messo da parte le sue emozioni per vestirsi di quelle di Rita?

Io mi sarei incazzata. Ovviamente, c’era un regista che dava delle indicazioni. Noi conosciamo bene il dopo della vicenda ma non quei cinque giorni: nessuno di noi saprà mai cosa è avvenuto realmente dentro le mura di casa. Ciò che è messo in scena è frutto del racconto fatto a Cremonini o a Borghi ma non direttamente agli altri. Durante le riprese, alcuni momenti, situazioni o battute, mi spingevano verso il pianto ma Cremonini mi bloccava. Avendola frequentata, sosteneva che la signora Cucchi non piangeva mai, a eccezione della sequenza dell’obitorio. Io ho dovuto trattenere il dolore. Sarebbe stato facile virare verso il retorico ma, se ci si pensa, si doveva restituire il subire degli eventi a cui tutta la famiglia è andata incontro. Ai nostri occhi, sembra strano che i genitori non facciano nulla, che gli arrivi tutto addosso. Cremonini ha preferito tagliare, limitare: è come se avesse istillato gocce di angoscia attorno al grande racconto di questo Cristo in croce. Quello dei Cucchi, non dimentichiamolo, è come se fosse un dolore trattenuto, a cui erano assuefatti: per anni, hanno subito la tossicodipendenza del figlio e sono quasi rassegnati ai guai. Ingenuamente, hanno sottovalutato la situazione e si sono rimessi nelle mani della legge, considerandolo quasi protetto dai pericoli esterni. Un evento dopo l’altro ha fatto sì che tutto prendesse una piega al limite dell’inspiegabile per chi guarda.

Sulla mia pelle esce in contemporanea nelle sale cinematografiche grazie a Lucky Red e sulla piattaforma Netflix. Non sono mancate a proposito di tale scelta distributive alcune polemiche soprattutto da parte degli esercenti. Cosa ne pensa?

A Milano una sala ha deciso di non programmarlo più. Sulla mia pelle non sarebbe stato di certo un film programmato per molto tempo nelle sale. Si tratta pur sempre di un film d’autore, genere che in Italia fatica a richiamare pubblico. Non si tratta di una commedia, potrebbe avere una seconda vita grazie al tam tam, alle rassegne e ai vari circoli culturali. Poiché non si tratta di un film da buttare via ma è un’opera importante e girata bene, è opportuno che lo veda più gente possibile. Le luci, le inquadrature, la recitazione, il montaggio e così via, lo rendono un film da non sottovalutare: Netflix lo porta in tutto il mondo e ne ha riconosciuto il valore universale. Parla di qualcosa che potrebbe accadere a qualsiasi latitudine e in cui tutti possono identificarsi. La denuncia sociale non ha nazionalità o confine. Cremonini non mostra la violenza, le polemiche anche dalle alte sfere appaiono sterili: interessa più l’angoscia scandita quasi minuto per minuto piuttosto che il pestaggio in sé. Nel mio piccolo, mi auguro che il film possa essere d’aiuto anche al processo e a tutta la vicenda, non ancora del tutto chiusa.

Guardando il suo curriculum, non possiamo non notare una sua partecipazione in Ti piace Hitchcock? di Dario Argento.

Che avventura… Parliamo di tanti anni fa e di un prodotto sicuramente non all’altezza del regista che è stato in passato Argento. Facevo molto poco e ricordo però Elio Germano, attore molto bravo ma che all’epoca non era ancora nessuno. È stata un’esperienza di due o tre giorni a Torino e interpretavo la morta ammazzata che si vede nelle prime scene. La cosa impressionante è stata vedere dietro le quinte, in sala trucco, un manichino con il calco della mia testa (spaccata) e la mia faccia. Ricordo anche gli attrezzisti e i tecnici che arrivavano con le boccettine di sangue da Roma! Morivo per un colpo di mazza, dato ovviamente dal regista stesso: è un vezzo a cui tiene scaramanticamente quello di infliggere il colpo fatale. Non so nemmeno come ci sia capitata ma Argento nel suo è stato un maestro ma non in quel caso: il film era destinato a Rai 1 e il risultato è stato disastroso.

Di maestro in maestro, è impossibile non ricordare la tua partecipazione negli anni Ottanta a Trasmissione forzata del premio Nobel Dario Fo e Franca Rame.

Con loro feci in teatro delle farse comiche, non politiche. Vennero a vedermi a teatro e mi scelsero. Passai dei giorni con loro, ci siamo divertiti e più che un’avventura televisiva è stata un’avventura teatrale. La trasmissione era accompagnata da spezzoni teatrali che lo stesso Fo sceglieva e mandava in onda. È stata un’avventura divertente anche dal punto di vista umano: ci si ritrovava tutti insieme a mangiare, a vedere la trasmissione, a ridere. Oltre che con loro ho avuto la fortuna di lavorare con altri grandi maestri del teatro, personalità eccezionali, da Tino Carraro a Piero Mazzarella.

A teatro, oltre che della recitazione, si è occupa anche di regia.

Non proprio. Ho diretto su richiesta di Alessandra Faiella, attrice comica, una riduzione di alcuni testi di Franca Valeri, che ho anche incontrato. Mi piace più dire di avere aiutato una mia amica meno esperta di teatro a mettere in scena un testo ironico ma non stupido. L’ho aiutata ad approfondire una forma di comicità che viene più dallo strazio, come accadeva con Totò o Eduardo De Filippo. Noi attori di teatro siamo abituati ad approfondire tutto! (ride, ndr). Con la regia bisogna avere pazienza e io non ne ho. Mi piace aiutare, soprattutto i giovani, ma non ho la pazienza di fare come i registi e tenere sotto controllo tutto. È stata però una bella esperienza, con critiche molto positive per Alessandra.

Stupisce la sua versatilità.

Quando ho iniziato io a far l’attrice, la versatilità era normale. Un attore doveva saper far tutto e poteva far tutto, cimentandosi in cose tra lor molto differenti. Vittorio Gassman, Rina Morelli o Paolo Stoppa, per esempio, passavano da un genere all’altro. Oggi, soprattutto il cinema, ha la tendenza a portare gli attori a ripetere sempre la stessa parte. Mi terrorizza l’idea che possano offrirmi sempre un ruolo da mamma drammatica!

Un’ultima domanda: come ha iniziato a far l’attrice? Cosa l’ha spinta verso la recitazione?

Da ragazzina ho praticato per tanti anni danza classica. Ciò mi ha permesso di prendere confidenza con il palcoscenico. Ho fatto anche tanto sport e lo sport in sé comporta l’idea della competizione. Finite le scuole superiori, prima di iniziare l’università, sono andata a lavorare per quattro mesi in un villaggio vacanze, dove si faceva di tutto, dal sistemare gli ombrelloni al mattino al recitare negli spettacoli serali. Quando mi sono accorta di essere seguita dal pubblico e di provare gioia nell’esibirmi, ho capito che la recitazione era la mia strada: avevo un corpo e un viso in grado di comunicare qualcosa. A Milano, con un maestro giapponese, ho poi seguito tutto il percorso di Jacques Lecoq, fondatore di una delle scuole di teatro internazionali più valide al mondo. Poi è venuta la selezione all’Accademia dei Filodrammatici e il conseguente abbandono dell’università: finalmente mi sono sentita realizzata. Come dice Michael Caine, quella degli attori non è una passione ma un’ossessione! Ho avuto la fortuna di lavorare sempre, di non aver ceduto a compromessi e di avere stata parte di opere dignitose. In definitiva, devo tutto allo sport: gara, competizione, dedizione, esibizione, impegno. Noi attori siamo degli atleti: disciplina, fatica e sacrificio. Il teatro, in particolar modo, ti impegna in maniera totalizzante e ti isola dal mondo. Il teatro è gelo, come diceva De Filippo: gelo nell’anima… e poi soddisfazioni, gioie e dolori, porte aperte e porte chiuse, rifiuti e accettazioni. Il bilancio è però positivo tanto che, oltre al teatro, voglio far adesso far cinema e vincere una mia ulteriore sfida: ho la maturità per farlo e voglio andare oltre le maschere.

Il cast di Sulla mia pelle a Venezia

 

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