Espandi menu
cerca
PARDO NEWS 2014: We "Lav" Diaz....tutto il resto è solo contorno, almeno per ora.
di alan smithee ultimo aggiornamento
post
creato il

L'autore

alan smithee

alan smithee

Iscritto dal 6 maggio 2011 Vai al suo profilo
  • Seguaci 315
  • Post 214
  • Recensioni 6424
  • Playlist 21
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi
 
Sono le sette e trenta di mattina del nostro settimo giorno a Locarno, ma da oggi sarò solo. Sto accompagnando l'amico Port Cros in stazione perché, come da programma, per lui l'esperienza festivaliera è terminata ieri notte. Qualcuno di voi maliziosi potrebbe collegare la sua partenza al fatto che oggi è il giorno più lungo, ovvero il "Lav Diaz day" e che il mio caro amico e collaboratore se la stia svignando finché è in tempo. Pur alludendo scherzosamente io stesso spesso, i giorni scorsi, a questa curiosa circostanza che può non apparire casuale, e ironizzando sulla fuga del mio amico, sul fatto che io sia riuscito a consumarlo con la mia foga e fame cinefila da ricovero immediato, saluto l'amico prezioso sapendo che mi mancherà anche per l'aiuto pratico generosamente devolutomi e a me davvero indispensabile in questi giorni concitati. Ed anzi approfitto tardivamente di queste righe per ringraziarlo (in luogo di tutte le volte che ho dimenticato di farlo) per questo suo concreto e prezioso sostegno tecnico-pratico-umano che certamente mi verrà a mancare in queste mie ultime giornate ticinesi.
Ma ora passiamo al cinema, cercando di essere quanto meno concreti, visto che concisi proprio non ci riesce di esserlo e la sintesi rimane una virtù ancora lontana dal caratterizzarci. 
E' prematuro fare bilanci proprio in occasione di questo fine giornata, tenendo conto che mi mancano ancora 5 film del concorso, e, in questo ambito, autori noti e lodati come Vecchiali o Pedro Costa, nonche' ben due coreani, che suscitano, in quanto tali, sempre una irresistibile acquolina ed aspettativa in noi cinefili.
Ma dalle 13 ho finalmente visto, ed in una sala cinematografica per di più, l'ultima fatica di Lav Diaz: per questo motivo oggi è decisamente un gran giorno.
Infatti nel film fluviale, affascinante, stordente, alienante del gran maestro filippino, riconosco ed ho gia' trovato il mio Pardo d'oro 2014, almeno in una sua forma provvisoria, perché non posso escludere altri innamoramenti ed anzi li auspico per davvero.
Ma andiamo con ordine, proviamoci almeno,  e cominciamo dall'inizio di questa lunga giornata vissuta in sala. 
 

Jonathan Pryce, Jason Schwartzman

Listen Up Philip (2014): Jonathan Pryce, Jason Schwartzman


Lo statunitense Listen up Philip, dell'indipendente Alex Ross Perry, e' una commedia parlatissima arguta e sapida in stile Sundance (infatti proprio da li proviene), incentrata sulle ambizioni, la logorrea, le meschinerie, le paure di chi vive la propria esistenza sempre e costantemente alla ricerca di un successo, basato su un talento, letterario in questo caso, che e' tutto da verificare, e che dipende strettamente da una massa di fruitori che si pretende possa santificarti, ma in realta' si odia e si considera meschina ed inferiore, ignorante e mai all'altezza del proprio sofisticato ego. 
Il confronto/scontro tra un famoso scrittore da anni in crisi creativa, e forse per questo segregato in un poco conosciuto e tranquillo luogo di villeggiatura/campagna, ed un aspirante scrittore di successo trentenne anche docente universitario scostante e poco collaborativo, gia' forte di un suo primo romanzo piuttosto ben considerato da critica e pubblico, tira fuori cinismi e cattiverie spontanee con cui ognuno dei due elementi cerca di approfittare dell'altro per lanciarsi o rilanciarsi: scoprendo che ognuno dei due ha bisogno dell'altro, giocando ognuno la propria partita a scacchi fondamentale e cercando di approfittare del suo compare e delle relative debolezze, per intraprendere la strada del successo, o ritrovarla. 
Nel contempo per il logorroico Philip, la sua ascesa, o pseudo tale, corrisponde ad un suo continuo isolarsi col resto del mondo, con le sue donne o ex-donne, tutte decise a lasciarlo da parte o a lasciargli intraprendere da solo la scalata al successo, che fa solo rima con possesso, inteso come arrivismo e consapevolezza di propria superiorità. 
Per l'anziano Ike Zimmerman invece, il suo carattere corrosivo e ferito gli ha gia' fatto creare barriere invalicabili col resto del mondo: un confino inevitabile tra la quiete della campagna, che serve solo a inacidirlo ancora di piu' persino nei confronti dell'unica figlia, che egli stesso non rinuncia a definire una grandissima "rompicoglioni". 
Parlato, parlatissimo di dialoghi ironico-brillanti dove la cattiveria e l'insensibilita' regnano sovrane in due esseri disumanizzati dal cinismo e dall'arrivismo, la commedia ossessiva ed antipatica, gioca le sue carte migliori sugli interpreti: e se Jason Schwartzman e' viscido ed antipatico come richiede il ruolo e come siamo adeguatamente abituati ad incontrarlo, cosi' costantemente nervoso, egocentrico e viziato e compiaciuto di sé da pensare che lo sia pure nella vita privata, apparira' forse scontato, ma Jonathan Pryce e' davvero grande nel disegnare con arguzia un gran figlio di puttana roso dall'invidia e desideroso piu' di ogni altra cosa di tornare sulla breccia dopo decenni di confino ed anonimato.
VOTO *** 
 

locandina

From What Is Before (2014): locandina


FROM WHAT IS BEFORE mi consente di affrontare per la prima volta finalmente in sala un'opera del filippino celebratissimo Lav Diaz. Opportunita' oggettivamente complicata considerata la durata media delle sue opere e la scarsa commerciabilita' delle stesse, anche non volendo considerare il fattore durata.
Comunque, a proposito di durata, il film si sviluppa in 5 ore e 38 minuti, circostanza che costringe gli organizzatori del festival a fissare una sola proiezione (salvo poi prevedere una ripresa considerati i tumulti di cui leggerete tra poco) oltre a quella della press, che ho dovuto saltare in quanto non ancora in loco. Conoscendo almeno un po' le dinamiche dei festival, mi tengo dunque quasi due ore di tempo libero per accedere senza contrattempi alla sala: arrivo per primo in assoluto, pensando di aver anche esagerato con la prudenza. Ma mentre spendo l'attesa a preparare, in piedi o appoggiato ad una parete, il post di questa notte sulla giornata precedente, ecco che la folla pian piano arriva e la coda aumenta in modo via via impressionante, uscendo fino in strada: la saletta del cinema Rialto che ospita la proiezione contera' appena 140 posti e se per me entrare e' semplice, per chi si trova indietro, ha inizio una vera e propria lotta per assicurarsi il posto. Assitero' anche, durante la proiezione, ad una staffetta di spettatori: chi non resiste (e sono parecchi, magari chi più sgomitava per entrare) e lascia la sala, magari dopo due ore, magari pure prima, viene prontamente sostituito da alcuni irirducibili che non si smuovono dalla coda dei primi esclusi. E tutto cio' dura fino all'ultima ora di proiezione. Lav Diaz evidentemente non si cura molto di piacere al pubblico e di vendere il proprio prodotto con le ragioni del profitto che le più scontate regole di marketing suggeriscono: in sala giunge una piccola delegazione del cast, formata da tecnici e due/tre attori, ma il regista non si trova: pare sia andato a prendere un caffe', e gira voce che passera' a salutare il pubblico alla fine...ma si tratterà invero solo di una mera illusione. 
Ancora a livello di marketing il film e' nudo e puro: nessuna locandina affissa sui muri, musica completamente assente. Regole dogmatiche essenziali, spartane, contraddistinguono da tempo, forse da sempre, il cinema del gran maestro: un bianco e nero da brividi in cui il verde prepotente e denso della foresta pluviale, che tutto inghiotte tranne il mare e la suggestiva scogliera del regolamento dei conti e delle coscienze, pare comunque riuscire a trapelare fuori, percepirsi tra le differenti tonalita' di un grigio che non ci sembra nemmeno piu' grigio. Diaz piazza la macchina sempre e costantemente fissa in un punto per sequenze lunghe anche mezz'ora in cui non è la macchina che segue il suo epicentro, ma è quest'ultimo, cosa animata, uomo o anche animale, che si prodiga a centrare l'inquadratura, magari per gradi, provenendo da distante, guadagnandosi poco per volta il centro dell'obiettivo o il primo piano: un pò come la montagna che va da Maometto anziché viceversa.
 
 
Diaz non porta vanti una storia singola, ma la vicenda corale di un gruppo di abitanti di un "barrio" (ovvero distretto-quartiere) ad inizio anni '70, quando la dittatura imposta dal presidente Ferdinand Marcos dispose in tutto il paese la corte marziale per timore di rivolte clandestine, di fatto accesesi dalle ceneri incandescenti di movimenti di protesta formatisi ad opera di associazioni clandestine studentesche e di insegnanti o altri appartenenti alla classe piu' culturalmente evoluta e per questo non disposta a farsi dominare da una dittatura assoluta e totalitaria di stampo ottusamente e biecamente militare.
Seguiamo le vicende ordinarie e quotidiane di un pescatore e contadino a cui e' stato affidato un nipote ancora bambino da parte di un fratello sposato e con altri due infanti, ma con poche possibilita' economiche per mantenerlo; il calvario della giovane Itong, detta anche Pacita, alle prese con il dramma di una sorella Joselina, gravemente handicappata nel fisico e nella mente: uno stato vegetativo che non consente alla donna sana di allontanarsi di casa, se non per brevi circostante, fino a scoprire che la sorella, in sua assenza, viene regolarmente violata da un giovane vicino, produttore di liquore. Poi ancora l'odissea di un prete animato dalle migliori intenzioni, che sceglie scientemente la via della menzogna per salvaguardare equilibri ancora piu' delicati di quelli a sfondo prettamente religioso/morale. Inoltre le prime vittime cadono a terra tra gli oppositori del regime, e ciò ci dà modo di ascoltare tutto per intero il percorso funebre cantato da una infinita litania da parte di una anziana madre che apprende della morte del suo unico figlio maschio.
Come d'abitudine Diaz non ha fretta di procedere con gli eventi, e le sue vicende maturano e sbocciano nella loro piu' acuta e stordente drammaticita' quasi nello stesso momento, una dietro l'atra dopo una sospensione magica e mistica di oltre tre ore di visione, dando vita nella seconda parte ad in una concatenazione di eventi (tra cui anche il bestiame trovato morto per le campagne con i pericoli di contagio) che il realismo di sottofondo rende ancora piu' drammatici e dolorosi. 
MULA SA KUNG ANO ANG NOON (questo il titolo originale) e' il capolavoro di questo Festival: magari non l'unico, ma il film forte e stordente che ci ha distolto da un torpore preoccupante che fino ad ora pareva stagnare in questa valle cinematografica sognante e forse fino ad oggi lievemente sonnolenta, anche a causa della pioggia incessante ed insistente che ci affligge da giorni, quasi come avviene nelle Filippine umide e grondanti di Lav Diaz.
VOTO ***** 
 

scena

The Princess of France (2014): scena


Uscire da quasi sei ore di cinema per rituffarsi in sala: indispensabile (ma non obbligatorio) per non perdere l'ultima proiezione de LA PRINCESA DE FRANCIA, altro film(ino) non si sa come e perché  finito in concorso, che con i suoi scarsi 70 minuti di durata ci pare una passeggiata...ma anche un'altra delusione. Un altro film a nostro avviso poco adatto al concorso principale, figlio di un progetto composito ad opera di un giovane regista argentino volenteroso ed appassionato shakespeariano, tanto da dedicarsi quasi esclusivamente, almeno fino ad ora, ad un programma cinematografico giunto con questo ad una trilogia dedicata o incentrata sul celebre drammaturgo, a cui ne seguiranno ben altri due. Qui si racconta la storia di una ragazzo studente che torna a Buenos Aires dopo essere stato afflitto da gravi problemi di famiglia, deciso a riprendere un progetto di adattamento radiofonico dell'opera Pene d'amor perdute. Ad attenderlo un gruppo di donne toste e caratteriali, quasi tutte note, che daranno del filo da torcere o comunque di che pensare al mite e paziente protagonista. 
Difficile pensare di indovinare a chi possa essere rivolto (in termini di pubblico) un simile progetto radiofonico che ci sembra devastantemente pesante anche solo a concepirlo. Fatto sta che il filmetto costruito attorno a ciò e' tutto una ripetizione di illustri versi, per carità, ma sin troppo insistita tra prove, scaramucce di gelosia e boutade da prima donna da parte delle ben 5 petulanti muse del povero protagonista, per questo motivo validamente avviato sulla strada della santita' o della serialita' omicida, senza possibilita' di mezze misure. 
VOTO **1/2
 
Meglio allora tornare al passato, a celebrare ancora una volta la storica Titanus, questa volta con un esperimento quasi unico: il peplum associato al fantasy nel curioso gioiellino che odora naftalina Antinea, l'amante della città sepolta, coproduzione italo francese del 1961 diretta da Edgar G. Ulmer: un progetto avveniristico per quell'epoca, con effetti speciali magari ora risibili, ma notevoli per l'epoca ed entusiasmanti probabilmente per i ragazzi di allora come lo fu per me, ad inizio anni '80, il Flash Gordon di De Laurentis. 
Tre geologi sorvolano in elicottero una zona nel deserto africano per predisporre un esperimento nucleare, ma una tempesta li costringe ad un rovinoso atterraggio di fortuna. Li soccorrono dei tuareg (uno è Amedeo Nazzari, un altro Gian Maria Volonté) che li condurranno fino al cuore di Atlantide, tra pietre preziose grandi come pentole a pressione e una crudele regina con cui fare i conti. Girato in inglese (e proiettato in sala Ex-Rex senza alcun sottotitolo, ma la vicenda ed i relativi dialoghi sono così elementari che la cosa non crea particolari problemi di comprensione), il film è interpretato da un cast internazionale piuttosto nutrito e variegato, tra cui spicca il francese Jean Luis Trintignant.
VOTO *** 
 
Doveroso, ma soprattutto necessario a questo punto, concludere la serata mantenendosi in leggerezza, distendendosi un po' e per questo affidandosi alle magie del 3D, questa volta opportuno e ben sfruttato grazie all'abilità di un grande regista orientale come lo è Tsui Hark, qui col suo adrenalinico YOUNG DETECTIVE DEE - RISE OF THE SEA DRAGON. Un regista  che sa essere grandioso anche quando vola basso in termini di scelte autoriali, mantenendo, con questo prequel del suo Detective Dee, la capacita' di stupirci con la grandiosita' di riprese che riescono ancora a farci sobbalzare, anche ora che siamo abituati e smaliziati verso ogni tipo di emozione e tecnica di ripresa più sofisticata. I voli di macchina, i tuffi in mare per riemergere come agili delfini,  ci rendono parte integrante di un inizio sontuoso e divertente tra una regata di navi militari distrutte una ad una da una misteriosa ed enorme presenza marina, la cui identità ci verrà chiarita nel finale nuovamente mozzafiato. 
Ma il motro marino non è l'unica minaccia per l'impero cinese nel 665 d.C., epoca di regno della ostinata e severa imperatrice Wu: ci sono complotti sanguinosi, donne misteriose anelate uomini deformi e confinati in paludi acquitrinose. L'ambizioso e giovane capo della polizia Yuchi riuscirà, superati i sospetti e la naturale ostilità rivale, a far conto sul giovane detective Dee in un prequel divertente e baraccone, dove le agilità dello wuxia, ormai un pò demodè, ammettiamolo, fa sin ridere nel mostrarci agilità di uomini sgambettanti come galline mentre saltano come gatti da un tetto all'altro. 
VOTO ***1/2
Per oggi è tutto ed è sin troppo. Appuntamento a domani, se vorrete.

 

Ti è stato utile questo post? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati