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Miike Takashi (三池 崇史) - Parte III: Gli anni '10
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Miike Takashi (三池 崇史) - Parte III: Gli anni '10

Finalmente, a due anni di distanza dalla prima e in occasione del suo 62° compleanno, giunge la terza e (intanto) conclusiva parte del mio 'ambizioso' progetto di retrospettiva-omaggio dedicata al mio Regista preferito in assoluto: Miike Takashi.
In questo terzo atto vado a parlare delle regie del Cineasta giapponese distribuite tra il 2010 e il 2019: rispetto alle decadi precedenti, qui il numero di Capolavori, anche soggettivi 'miei', cala. La stessa follia filmica e iperviolenza per cui l'Autore era principalmente noto sembra lasciare il posto ad un approccio più convenzionale, e anche i titoli che sembrano più vicini alla sua estetica grottesca possono apparire, ad un'osservazione più o meno superficiale, dei simpatici ma tutto sommato fini a sé stessi casi di 'fan service'. Troviamo inoltre la partecipazione, anche piuttosto attiva, alla creazione di serie televisive (da me ancora non viste) destinate ad un pubblico preadolescenziale (e femminile) unite nel progetto chiamato "Girls × Heroine", per il quale Miike oltre a dirigere qualche puntata ha, dopo il 2020, realizzato anche qualche lungometraggio.
Questo sgonfiamento della visionarietà miikeana è, però, a mio avviso più apparente che fattuale: forse è vero che di Cult sensazionali e unici come "IZO" (per citare il mio Titolo preferito), "Koroshiya Ichi" o 'Audition' non se ne trovino più nella recente Filmografia del Cineasta, ma personalmente reputo lavori come "Aku no kyôten" (Il canone del male), "Kamisama no iu tôri" (As the Gods Will) e "Gokudô daisensô" (Yakuza Apocalypse) dei Gioiellini imperdibili o quasi, e per certi versi (più soggettivamente che obiettivamente, lo ammetto) inserirei "Hatsukoi" (pessimamente tradotto in italiano con 'L'ultimo yakuza') nella lista di quelli che reputo essere i Capolavori di Miike. Per gli altri lungometraggi diretti nella decade passata da Miike, di titoli realmente brutti non me ne vengono in mente (cosa che invece accadeva tra gli anni '90 e '00, dove Miike era anche molto più prolifico di oggi, seppur rimanga sempre su ritmi alquanto intensi) e, anzi, diversi mi hanno stupito in positivo alle prime visioni confermando buone impressioni al successivo ripasso nella maratona da me affrontata un paio d'anni fa (trascinandosi fino ad aprile dell'anno scorso).
Chiudo un po' bruscamente questa introduzione, più breve rispetto alle due passate, e vado a ribadire il funzionamento della mia playlist. Avendo finora visto della decade analizzata soltanto i lungometraggi cinematografici di Miike, qui parlerò soltanto di questi con riflessioni dalla lunghezza inferiore ai 3000 caratteri (fatta eccezione, pure qui, per le Opere da me ritenute imperdibili). L'ordine seguito è quello proposto da Imdb, perché rispecchia quello con cui eseguii la mia maratona di revisioni, e si fermerà con il 2019, sperando tra otto anni di poter proporre una quarta parte relativa ai correnti anni '20, da me ancora vergognosamente inesplorati per quanto riguarda Miike. Spero che la lettura possa risultare interessante. 

 

Link alle parti precedenti: 

-Parte I: Gli anni '90

-Parte II: Gli anni 00

Playlist film

Zebraman 2: Attack on Zebra City

  • Azione
  • Giappone
  • durata 106'

Titolo originale Zeburâman: Zebura Shiti no gyakushû

Regia di Takashi Miike

Con Sho Aikawa, Riisa Naka, Tsuyoshi Abe, Masahiro Inoue, Makie Amimoto, Cynthia Cheston

Zebraman 2: Attack on Zebra City

ZEBURÂMAN: ZEBURA SHITI NO GYAKUSHÛ
A sei anni di distanza dal primo "Zebraman" nel 2010 giunge, anticipato da un mediometraggio direct-to-video diretto da Nishiumi Ken'ichirô (che ancora devo vedere), questo sequel, sempre diretto da Miike Takashi su una sceneggiatura di Kudô Kankurô e con Protagonista la Star del V-Cinema Aikawa Shô.
Seppure collegato narrativamente al predecessore, con tanto di flashback ripresi da esso, "Zeburâman: Zebura Shiti no gyakushû" si presenta fin da subito come un lavoro sensibilmente differente. In particolare si accantonano i codici (semi-parodiati) del genere supereroistico in favore di un'ambientazione marcatamente futuristica e distopica, vagamente ricollegabile al mondo rappresentato in "Dead or Alive: Final" ma con una maggiore possibilità (economica) di espressione scenografica.
Ad una visione semi-disattenta il film potrebbe sembrare un delirio camp colmo di cliché da action fantascientifici in salsa giapponese, e forse in (buona) parte questo è vero, ma per me contenutisticamente abbiamo un qualcosa di molto più complesso rispetto a ciò che vuole sembrare. Fondamentale, in particolare, le riflessioni riguardanti l'inscindibilità degli opposti (visivamente esemplificati con il bianco e il nero), ribaltando internamente il sostanziale manicheismo di facciata dell'opera e riassumendo sostanzialmente il Gusto schizzato per le Contrapposizioni interne tipico dell'Autore.
Inoltre, nella caratterizzazione macchiettistica della dittatura 'pop' mostrata nel Film troviamo interessanti spunti su come il potere controlli le masse attraverso i media (televisione, musica mainstream, moda...) e, nell'istituzione dello 'Zebra Time', consistente in 5 minuti di illegalità e violenza impunita, si anticipa "The Purge" di De Monaco con tanto osservazioni spietate sulle disparità di classe (questo tempo di brutalità legalizzata è approfittata soprattutto dalle classi abbienti a spese dei più 'reietti') e lo si supera inserendo nel meccanismo la forza poliziesca contro gli 'sbandati'.
Importanti i numerosi riferimenti all'Oralità, all'Inghiottimento, all'Assorbimento dei 'poteri', all'Unione (anche sessuale, seppure non esplicitata troppo) come Fusione: tutto ciò si collega con l'inscindibilità degli Opposti, oltre che con diverse possibili visioni 'filosofico-spirituali' (con possibile derive eroticheggianti) a quanto pare molto presenti nella Cultura giapponese.
L'inventiva messa in scena di Miike, la fotografia 'sporca' di Tanaka Kazushige, il montaggio ben ritmato (soprattutto nelle scene alternate) di Yamashita Kenji (che sostituisce Shimamura Yosishi come montatore di fiducia di Miike), le musiche di Ike Yoshihiro (al posto del fidato Endô Kôji) con inserti di brani di Riisa Naka (interprete della Zebra Queen) e l'ottimo cast rafforzano tecnicamente le qualità dell'opera, che ora sono convinto essere più intrigante rispetto al già buon capitolo di partenza.

Rilevanza: 1. Per te? No

13 assassini

  • Azione
  • Giappone, Gran Bretagna
  • durata 126'

Titolo originale Jûsan-nin no shikaku

Regia di Takashi Miike

Con Koji Yakusho, Tsuyoshi Ihara, Yusuke Iseya, Takayuki Yamada, Sosuke Takaoka

13 assassini

In streaming su Amazon Prime Video

vedi tutti

JÛSAN-NIN NO SHIKAKU

Nello stesso anno del sequel di "Zebraman", Miike realizza il remake di "Jûsan-nin no shikaku", jidaigeki eida in b/n del 1963 diretto da Eiichi Kudo.
Il film di Miike, tra i pochissimi insieme credo solo a "Chakushin ari" e forse "Yattâman" ad ottenere una regolare distribuzione nelle sale italiane, viene co-prodotto da Jeremy Thomas e alla sceneggiatura ritroviamo Tengan Daisuke, con cui il Regista aveva collaborato in due preziose occasioni: l'Episodio "Imprint" in "Masters of Horror" e il Capolavoro cinematografico "Audition". Proprio con "Audition" diverse recensioni hanno visto un collegamento nella evidente divisione in due parti dell'opera, la prima volta alla preparazione e alla presentazione dei Personaggi e la seconda dominata dalla lunga battaglia finale. In realtà già il Film di Eiichi presentava questa divisione e ad esso Miike e Tengan rimangono piuttosto fedeli, modificando però alcuni elementi soprattutto nella scelta di alcuni ambienti, nella caratterizzazione dell'outsider Koyata e caricando, grazie anche all'uso del Colore, la Violenza.
Miike mette da parte gli aspetti più 'deliranti' del suo Cinema in favore di un approccio più spettacolare e accessibile, smorzando inoltre quasi completamente la sua vena ironica. Non per questo ci troviamo di fronte ad un prodotto impersonale né scadiamo nel mainstream 'puro': lo Stile estetico di Miike è parzialmente nascosto ma riconoscibile mentre le Tematiche, in parte ereditate dal Film del '63, sono in linea con la sua Poetica. In particolare troviamo l'Inquietudine degli Individui per la Morte, cercata dai Personaggi ma poi vissuta con una certa angoscia quando arriva. Importanti sono anche le profonde critiche al Potere e alla sua follia, frutto di tutta quella serie di codici feudali condivisi dalla casta dei samurai: lo scontro ideologico tra l'obbedienza di Hanbei all'istituzione (al padrone) e l'obbedienza di Shinzaemon allo 'spirito' dell'istituzione secondo me vede un'opposizione non tra due ideologie contrapposte ma tra due differenti interpretazioni della stessa ideologia fondata su gerarchie e autoritarismo. Shinzaemon, inoltre, sembra (inconsciamente) usare i nobili propositi etici per cercare auto-affermazione, tant'è che vedendo il corpo mutilato della donna vittima della follia di Noritsugu, dopo un iniziale sconvolgimento, il suo volto 'partorisce' un sorriso di malsana eccitazione.
C'è chi ha visto una specularità tra l'iconoclastia interna al potere di Noritsugu e il nichilismo esterno al potere di Koyata, e personalmente ritengo quest'ipotesi particolarmente interessante.
Chiudendo "Jûsan-nin no shikaku", a parer mio, potrebbe non essere tra le Opere 'più imperdibili' di Miike Takashi, ma comunque, lungi dall'essere un remake sbiadito, è un'Opera particolarmente intrigante all'interno della sua Filmografia, come il successivo "Ichimei" con il quale potrebbe formare una sorta di Dittico.

Rilevanza: 2. Per te? No

Hara-Kiri: Death of a Samurai

  • Drammatico
  • Giappone
  • durata 126'

Titolo originale Ichimei

Regia di Takashi Miike

Con Ebizô Ichikawa, Eita, Hikari Mitsushima, Kôji Yakusho

Hara-Kiri: Death of a Samurai

ICHIMEI
Subito dopo "Jûsan-nin no shikaku" e la sua buona accoglienza a Venezia Miike dirige, sempre prodotto da Thomas e con Yakusho nel cast, "Ichimei", altro remake di un Classico samurai movie degli anni '60, ovvero "Seppuku" di Kobayashi. Il film viene presentato a Cannes (come l'Originale) stabilendo un primato nella sua natura 3D.
Sul piano narrativo il film, sceneggiato da Yamagishi Kikumi, segue piuttosto fedelmente il Film precedente (entrambi comunque sono tratti da un libro di Takiguchi Yasuhiko), ma vengono modificati alcuni dettagli piuttosto significativi, specialmente verso il finale. Per molte recensioni i cambiamenti hanno tolto spessore alla base di partenza, ma personalmente io non ne sono convinto. Oltre a lanciare una frecciatina al potere nelle ragioni che han portato alla caduta della casata del protagonista, vediamo assieme alla consegna del corpo di Motome alla famiglia il pagamento della somma richiesta per le cure di moglie e figlio, quando però ormai è troppo tardi perché il figlio è morto nell'attesa e Miho, moglie del giovane e figlia di Hanshiro, si suicida subito dopo. Inoltre il protagonista affronta i tre samurai responsabili della cruenta morte del genero insieme, ma è soprattutto la Sequenza 'action' dello scontro tra Hanshiro e il gruppo di attendenti del palazzo che vede la modifica più importante: la spada usata dal protagonista infatti è la spada di bambù del genero, e di conseguenza la viltà della massa di avversari è accresciuta da questo dettaglio secondo me. Solo dopo che Hanshiro ha gettato a terra l'armatura del samurai, simbolo vuoto dell'orgoglio esibito e ipocrita della casta (qui ciò viene esplicitato anche a parole), egli viene ucciso, ma sempre con assalti isolati e tentennanti. Come nella trasposizione precedente, il caso viene insabbiato e l'armatura rimessa in ordine: il simbolo è divenuto più importante dei valori rappresentati.
Il 'messaggio' lanciato dal Film di Miike è lo stesso, quindi, lanciato dal Capolavoro di Kobayashi: l'onore vuoto ed esibito e la 'giustizia' guidata da principi dogmatici senza prestare attenzione al lato Umano diventano una mera istituzione e, come tale, si riducono ad un meccanismo freddo e cieco, facilmente suscettibile all'incoerenza e all'ipocrisia.
Sul piano formale, non son riuscito a vedere un'Opera personalissima da parte di Miike, però è presente quella Liricità nella descrizione dei Sentimenti e quel senso di Tragedia dell'Individuo Umano posto di fronte all'incombenza della Morte tipica dell'Autore, ed è qui e non nei brevi momenti di Violenza che a mio avviso si nota maggiormente la sua Mano.
Insomma, "Ichimei" è un remake sicuramente inferiore sia al Capolavoro di Kobayashi sia alle Opere Migliori di Miike, ma resta a parer mio un buon Film.

Rilevanza: 1. Per te? No

Ninja Kids!!!

  • Azione
  • Giappone

Titolo originale Nintama Rantarô

Regia di Takashi Miike

Con Shidô Nakamura, Susumu Terajima, Hiroki Matsukata, Mikijiro Hira, Rei Dan

Ninja Kids!!!

NINTAMA RANTARÔ
Nel 2011, anno di "Ichimei", Miike torna al cinema per (pre)adolescenti con la trasposizione in live action della serie anime e manga "Nintama Rantarô" (Ninja Kids).
Visto il format, l'Autore riduce drasticamente la sua 'vena gore' e inoltre fa affidamento a un tradizionale racconto di formazione con morale alquanto 'buonista' (ma forse non del tutto, considerando il metodo truffaldino con cui si assicura la vittoria finale). Ritroviamo però lo Stile grottesco e assurdo dell'Autore, ereditando probabilmente certe soluzioni bizzarre dalla base di partenza ma comunque in linea con il Gusto esagerato del Regista. Inoltre, anche se il Sangue è praticamente assente, la Violenza è fortemente presente, in una forma decisamente cartoonesca e 'innocua' ma anche in questo coerente con buona parte della Filmografia Miikeiana.
Come detto in precedenza, siamo di fronte ad un prodotto più contenuto e infantile, obiettivamente più dalle parti di "Yattaman" che non del Gioiellino "Yôkai daisensô", e un grosso 'neo' potrebbe essere, per me, la forzatura del passaggio dalla narrazione della quotidianità scolastica all'avventura vera e propria, che va di pari passo ad un'altra forzatura sulla resa del protagonista, non completamente convincente dal mio punto di vista. Però la 'banalità' dei personaggi viene esplicitamente sottolineata, come nel flashback dove si mostra l'inizio della rivalità tra il Preside e il 'Testone', ma anche nel finale, quando Rantaro si dimostra un po' sconsolato per il fatto di non avere realmente ottenuto lui la vittoria.
In linea con Miike abbiamo anche la decostruzione dell'Epicità, la messa a nudo della finzione scenica (come il sentiero montano rotante e le scenografie stracciate dal 'Ninja ex machina'), e la consapevole caduta in trovate 'basse'. Manca forse la costruzione di momenti lirici e tragici, e per questo probabilmente "Nintama Rantarô" è uno dei lavori per famiglie meno riusciti del Regista, se non il meno riuscito in assoluto, ma il risultato complessivo è a mio avviso interessante.
Il cast è molto buono, tra bambini divertiti e personaggi adulti divertenti, i Trucchi e i Costumi sono gustosamente bizzarri, certi ammiccamenti sessuali o meglio pre-ormonali (senza esagerare) non mancano e, alla fine, ci si può divertire anche se si ha superato l'età anagrafica di riferimento.
Insomma, un Miike innegabilmente minore, ma sempre meritevole di una o più visioni, soprattutto se ci si considera suoi 'fan'.

Rilevanza: 1. Per te? No

Ace Attorney

  • Commedia
  • Giappone
  • durata 135'

Titolo originale Gyakuten saiban

Regia di Takashi Miike

Con Hiroki Narimiya, Mirei Kiritani, Takumi Saitô, Rei Dan, Shunsuke Daitô, Akiyoshi Nakao

Ace Attorney

GYAKUTEN SAIBAN
Chiuso il 2011 (secondo imdb) con un episodio della serie "Q.P." (che non ho visto), Miike inizia il 2012 con "Gyakuten saiban", un'altra trasposizione, dopo "Ryû ga gotoku: Gekijô-ban" di 5 annetti prima, di un videogioco, il primo della serie 'Ace Attorney', di cui ho giocato le parti trasportate dal film.
Il Regista, usando una sceneggiatura curata da Takeharu Sakurai (firmato Takeshi Iida) e Sachiko Ôguchi, rielabora la fonte proponendo una messa in scena alquanto inventiva e caratteristica. In linea con il proprio Stile, Miike rifiuta un approccio 'realisticheggiante' ma, pur non replicando integralmente il formato originario, richiama un'estetica videoludicheggiante rielaborando elementi tipici del materiale di partenza, ad esempio concretizzando i coriandoli post-vittoria e inserendo schermi oleografici per la presentazione delle prove durante i processi. Si enfatizza, inoltre, l'Atmosfera sospesa nel Tempo evocata dai videogiochi, tra tecnologie iper-moderne e costumi suggestivamente bizzarri, il cui sapore cartoonesco e di conseguente realtà distorta è a mio avviso in linea con passate Opere miikeane. Altre distorsioni del realismo presenti nel film si trovano in situazioni come gli interventi spiritici e le simpatiche esagerazioni, soprattutto nelle reazioni con la corte risponde a plot twist sconvolgenti o a sorprendenti 'cazzate legali' compiute/dette dal protagonista nel corso dei vari processi. La struttura 'investigativa' è ben congegnata grazie a flashback introdotti in modo spesso molto interessanti (anche graficamente) e nel Finale abbiamo delle ellissi (o jump cut) alquanto intriganti.
Il film punta soprattutto all'intrattenimento e nei contenuti 'incidentali' tende a proporre morali piuttosto tradizionali, ma nello scontro tra l'ideologia giustizialista del fermare il crimine ad ogni costo e l'idea opposta del voler innanzitutto difendere la verità avverto dei richiami a "Touch of Evil". Questo dilemma ideologico si avverte già nelle contrapposizioni tra il protagonista avvocato Ryuuichi Naruhodou/Phoenix Wright e l'(ex)amico procuratore Reiji Mitsurugi/Miles Edgeworth, ma si esplica nel confronto conclusivo con il procuratore 'massimo' Gou Karuma/Manfred von Karma, in cui tra l'altro assistiamo ad una significativa mutazione rispetto alla trama dei videogiochi per quanto riguarda il movente. Anche la scelta di Reiji/Miles di diventare procuratore invece di seguire le orme del padre avvocato morto sono cambiate (e rese più profonde) nel film, dove s'inserisce una vergogna nei confronti del padre, che il ragazzo credeva di aver visto manipolare le prove la notte della sua uccisione.
Ottimi effetti speciali, musica funzionale con diversi riarrangiamenti di brani presenti nei videogiochi e Cast molto buono contribuiscono a rendere "Gyakuten saiban" un film, per quanto minore nella Filmografia Miikeiana, alquanto interessante ed egregiamente realizzato, nonché decisamente godibile.

Rilevanza: 2. Per te? No

For Love's Sake

  • Drammatico
  • Giappone
  • durata 134'

Titolo originale Ai to makoto

Regia di Takashi Miike

Con Satoshi Tsumabuki, Tsuyoshi Ihara, Masachika Ichimura, Emi Takei, Seishirô Katô

For Love's Sake

AI TO MAKOTO
Nel 2012, tra "Gyakuten saiban" e "Aku no kyôten", Miike realizza anche questo "Ai to Makoto", adattamento live action dell'omonima serie manga di Kajiwara Ikki e Nagayasu Takumi già più volte trasposta negli anni '70 tra televisione e film.
Ancora una volta l'Autore riesce a spiazzare, ribaltando le impressioni avute (parlo a titolo personale) dal trailer e altro materiale promozionale. Lungi dal seguire passivamente i codici del musical romantico con magari qualche briciolo di botte qua e là, il Film di Miike propone un folle Mix di Musical, Action, dramma sentimentale per teenager e Violenza scolastica à la "Crows Zero" (ma non dimentichiamo 'The Way to Fight') con un inserto semi-animato (il flashback di un personaggio semi-principale) e una cornice (prologo ed epilogo) totalmente animata, il tutto messo in scena in modo estremamente personale, con una fortissima dose di Auto-ironia (e parodia interna dei generi affrontati) senza togliere quel tocco di Tragicità sociale che rende il Cinema miikeano non solo una divertentissima immersione nell'Esagerazione volontaria ma anche un oceano di Poesia in cui si nascondono spunti di riflessione non banali.
La storia d'amore tra Ai e Makoto (letteralmente "Amore e Verità") non è infatti la tipica favoletta 'alla Grease' dove lei borghese impara a vivere la vita e lui 'bulletto' si 'converte' e diventa un bravo ragazzo. Già dall'inizio Makoto non è presentato come un ragazzaccio 'da raddrizzare', anche se la sua violenza è palesemente sintomo di una profonda Inquietudine. Ai, invece, si presenta subito come un'ingenua, ma non gliene viene fatta una colpa: il suo modo di aiutare Makoto, inizialmente, sa di '(pater)maternalistica' superiorità borghese, ma poi la vediamo rinunciare alla propria dignità e al proprio futuro accademico pur di cercare di riparare il torto che (egocentricamente ma anche dolcemente) crede di aver causato al giovane.
Makoto, che non pare mai davvero interessato ad Ai ma cercando comunque sempre di salvarla dalle situazioni pericolose in cui si caccia, un po' forse forzatamente potrebbe essere visto come una specie di egoista-nichilista stirneriano che pensa spesso per sé senza però interessarsi a nessun tipo di carriera, ha un rapporto estremamente scontroso con ogni tipo di autorità eppure (ma forse proprio per queste caratteristiche) alla fine dimostra di avere un profondo senso etico che lo spinge a dare una mano alle persone innocenti e/o in difficoltà.
Il Finale è alquanto amaro: Makoto, accoltellato per strada da un insegnante picchiato in precedenza, giunge a confortare Ai in ospedale, lasciandosi dietro una scia di sangue. Abbracciato alla ragazza, lo vediamo perdere drasticamente le forze, lasciando intendere la sua morte.
Un film forse minore se confrontato al vero 'meglio' del Regista, "Ai to Makoto" è, a parer mio, un'Opera estremamente interessante che meriterebbe una maggiore considerazione.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Lesson of the Evil

  • Thriller
  • Giappone
  • durata 129'

Titolo originale Aku no kyôten

Regia di Takashi Miike

Con Hideaki Ito, Fumi Nikaidô, Shôta Sometani, Kento Hayashi, Takayuki Yamada, Jab

Lesson of the Evil

AKU NO KYÔTEN
Sempre nel 2012 Miike Takashi realizza un altro adattamento, questa volta di un romanzo (di Kishi Yûsuke).
"Aku no kyôten", tradotto a quanto pare fedelmente in inglese con 'Lesson of the Evil', è uno slasher d'ambientazione scolastica diviso sostanzialmente in due parti. La prima serve come presentazione del ProtAntagonista Hasumi Seiji, professore brillante ed estremamente carismatico assai abile nel risolvere i problemi della scuola e di alunni e alunne varie ma in realtà serial killer sociopatico ricolmo di contraddizioni morali. La seconda parte invece vede lo sviluppo della narrazione prettamente 'di Genere' con la strage operata nella scuola dal Professore ai danni di una classe fermatasi nella notte per preparare le scenografie di un evento.
Il Film ha debuttato il 9 novembre 2012 alla Festa del Cinema di Roma ma da lì in poi mi è parso non essere stato più molto preso in considerazione, e ho l'impressione che per diverse persone questa pellicola sia, nei casi più benevoli, una sorta di divertissement e nulla più.
Per me invece con "Aku no kyôten" Miike realizza una delle sue Opere più interessanti del passato decennio, fingendo di seguire i canoni tradizionali (e occidentali) dello slasher e/o la geniale formula cattiva del "Battle Royale" di Fukasaku per proporre qualcosa di molto più personale (il fatto che abbia firmato, eccezionalmente, anche la sceneggiatura parrebbe deporre a favore di questa impressione) e profondo.
Tra i numerosi rimandi alla Cultura occidentale e in particolare tedesca (Goethe e il suo "Die Leiden des jungen Werthers", la canzone "Mack the Knife"), il Film mette in scena un Personaggio lucidamente folle, un predatore umano mimetizzato da insegnante ideale che però già in questa maschera tradisce la presenza di un qualcosa di oscuro e terrificante. Hasumi è un professore troppo perfetto sia dal punto di vista del corpo insegnanti sia da quello degli studenti e delle studentesse, ma questa perfezione si declina in un sostanziale doppiogiochismo e, soprattutto, ogni sua azione 'benevola' sembra rispondere a mere logiche utilitaristiche volte soprattutto a nascondere la propria natura omicida ma anche finalizzate ad ottenere piaceri personali, anche se ciò che davvero muove il Personaggio è un istinto di violenza fine a sé stesso che egli maschera, soprattutto ai propri occhi, inventandosi delle morali vuote. Interessante notare come le elaborate e coloratissime scenografie del 'tunnel degli orrori' nella scuola amplifichino la perversa Gioia omicida del Protagonista, mentre l'interno della sua abitazione è totalmente spoglia, come il Personaggio quando vi è dentro, e priva di stimoli diversi dai due Corvi 'odineschi' che scrutano l'uomo.
Chiudendo il flusso di pensieri (si potrebbe parlare anche dell'a-nazionalità del Protagonista, il quale ha trascorso diversi anni in Usa: questo si riaggancia a parecchi Film iniziali dell'Autore), "Aku no kyôten" per me è tra i 'Cult imperdibili' di Miike Takashi, il quale unisce la sua vena più (apparentemente) mainstream friendly al 'Carnevale di Violenza' cui vengono associate le sue Origini cinematografiche, ribadendo però la profondità estetica e tematica del suo Cinema.
Probabilmente non un Capolavoro, ma comunque un'Opera da studiare con attenzione. Esisterebbe anche una miniserie, credo prequel.

Rilevanza: 1. Per te? No

Shield of Straw - Proteggi l'assassino

  • Thriller
  • Giappone
  • durata 125'

Titolo originale Wara no tate

Regia di Takashi Miike

Con Tatsuya Fujiwara, Nanako Matsushima, Takao Osawa, Tsutomu Yamazaki, Masatô Ibu

Shield of Straw - Proteggi l'assassino

In streaming su Amazon Prime Video

vedi tutti

WARA NO TATE
Il 2013 per Miike si apre con "Wara no tate", thriller poliziesco ispirato ad un omonimo romanzo di Kazuhiro Kiuchi e supportato finanziariamente dalla major hollywoodiana Warner Bros., finito poi in concorso a Cannes.
Salta immediatamente agli occhi l'approccio decisamente più posato e 'normalizzato' rispetto ad altri Lavori (anche tra quelli minori) del Regista solito. Vista la materia trattata, l'assenza di derive folli e assurde è giustificata e forse potrebbe essere vista come un punto di contatto con Film come "Araburu tamashii-tachi", però dopo una seconda visione non posso non notare una certa impersonalità stilistica, soprattutto sul piano estetico: infatti i codici del thriller 'con morale' vengono seguiti senza particolari guizzi 'sovversivi', e per me la quasi inesistenza di piani-sequenza e riprese fisse, con cui solitamente il Regista controbilancia i momenti frenetici, è indice di un parziale abbandono della propria autorialità da parte di Miike.
Ciò nonostante, il lavoro tecnico svolto da Miike e dalla sua crew, dove troviamo collaboratori assidui, e dal cast è valido.
Nei contenuti, pur adeguandosi 'su carta' a certe morali tradizionali, non manca un'affascinante messa in discussione dei valori dei personaggi e degli individui spettatori. L'idea stessa di proteggere un assassino terribile che quasi certamente verrà condannato a morte mette in luce un 'bug etico' delle istituzioni penali e rende il compito della scorta un futile esercizio di dovere, mentre il pullulare, tra civili e poliziotti, di tentativi di uccisione del killer, motivati dalla lauta ricompensa promessa dal magnate nonno dell'ultima vittima, getta discredito sulla popolazione e sulle cosiddette forze dell'ordine. Il fatto che, verso il finale, si spieghi come le persone tentate dalla ricompensa siano tutte sostanzialmente incoraggiate da questioni economiche se non addirittura altruistiche, pur smorzando la critica all'avidità, per contro manifesta una denuncia alle diseguaglianze economiche del sistema capitalistico (nello specifico giapponese). La stessa taglia messa in piedi dal ricco Ninagawa evidenzia le disparità classiste della società, dove chi ha soldi ha potere su chi soldi 'non ha' (o comunque ne ha di meno), piegando queste ultime persone a compiere atti altrimenti impensati. Inoltre, una vittima con famiglia più umile non avrebbe avuto la stessa attenzione mediatica, creando così un'ulteriore dimostrazione dell'iniquità sociale.
Chiudendo, "Wara no tate" non è un film imperdibile di Miike ma è in ogni caso molto più interessante di quanto possa sembrare ad un'osservazione 'superficiale'.

Rilevanza: 1. Per te? No

The Mole Song

  • Azione
  • Giappone
  • durata 120'

Titolo originale Mogura no uta

Regia di Takashi Miike

Con Tôma Ikuta, Takayuki Yamada, Riisa Naka, Ken'ichi Endô, Ren Ohsugi, Shin'Ichi Tsutsumi

The Mole Song

MOGURA NO UTA: SENNYUU SOUSAKAN REIJI
Dall'omonima serie manga di Noboru Takahashi, "Mogura no uta: Sennyuu sousakan Reiji" (tradotto pare rispettosamente in 'The Mole Song: Undercover Agent Reiji') è palesemente uno dei lavori più 'mainstream' e spensierati di Miike Takashi.
Seppur meno estremo e radicale rispetto alle sue Opere migliori, fin da subito capiamo che nemmeno stavolta l'Autore ha rinunciato alla propria personalità, optando per un'adesione fedele (stando a quel che ho letto) all'estetica della fonte che così genera uno Stile visivamente cartoonesco assai affine al Tocco miikeano, improntato sul Gusto per l'Esagerazione e il Mix di Generi, dal poliziesco alla commedia, dallo yakuza movie al demenziale, inserendo anche elementi appunto da anime parodistico, fantascienza robotica e senza scordare la Poesia (la Farfalla che vola dopo il ferimento di Papillon), ovviamente accompagnata dal Camp, passando inoltre da Toni frenetici e virate tamarre a Momenti di Quiete e di Riflessione.
Nonostante i codici del 'genere predominante' rendano inevitabile una distinzione piuttosto marcata tra 'bene' e 'male' con tanto di allineamento morale legalitario e anti-droghe, non esiste un vero e proprio manicheismo, e questo è in linea con la Poetica del Regista, come anche la caratterizzazione pittoresca ma unica di ogni personaggio, comparse incluse. Emblematico il rapporto tra Reiji, il protagonista, e Papillon: il primo è uno sbirro-infiltrato dai modi stravaganti, anti-ortodossi, anche rozzi; il secondo invece è uno yakuza mezzo pazzo, ossessionato dalle farfalle (da cui il soprannome) e sempre pronto a simpatizzare fortemente per chiunque si dimostri folle e divertente. Entrambi i personaggi danno fortissimo peso all'Amicizia, soprattutto quella Fraterna (la loro), e sono intensamente legati ai propri ideali e ai propri valori che, per quanto sostanzialmente 'sistemisti', vedono nell'aiuto del prossimo un centro morale.
La messa in scena è strettamente legata ad un'estetica digitale e contemporanea ma viene piegata dalla Mano inconfondibile di Miike, il Cast è ottimo nell'interpretare Personaggi sempre molto fumettistici (e per certi versi anche caricaturali) ma al contempo estremamente Umani, la Fotografia di Nobuyasu Kita è molto curata nei Colori e nelle Luci, il Montaggio di Yamashita Kenji è in linea con il Gusto mai totalmente lineare del Regista, le Musiche del fidatissimo Endô Kôji, infine, sono come sempre azzeccatissime.
Chiudendo, "Mogura no uta: Sennyuu sousakan Reiji" sicuramente non rientra tra le Opere 'assolutamente' imperdibili di Miike Takashi ma, personalmente, non posso non consigliarne caldamente la visione.

Rilevanza: 1. Per te? No

Over Your Dead Body

  • Horror
  • Giappone
  • durata 111'

Titolo originale Dare ni mo agenai: Shin Yotsuya kaidan

Regia di Takashi Miike

Con Kô Shibasaki, Ebizô Ichikawa, Hitomi Katayama

Over Your Dead Body

KUIME
Nel 2014 Miike torna ad un Horror 'horror' partendo da una sceneggiatura di Kikumi Yamagishi, con il quale aveva lavorato nella pellicola in costume "Ichimei" (con cui condivide anche il protagonista Ebizô Ichikawa, a quanto pare attore kabuki discendente di una stirpe, non sempre di sangue, di celebrati interpreti del settore) e nell'esplosione di delirio "Katakuri-ke no kôfuku".
La storia, non 'nuova' ma sempre intrigante, ruota intorno ad una coppia attrice-attore (Miyuki e Kousuke) impegnata nelle prove di uno spettacolo teatrale, nello specifico "Yotsuya Kaidan" (racconto piuttosto popolare in Giappone e più volte adattato al cinema, e c'è chi vede la sua influenza anche in Opere come i "Ju-on" di Shimizu). Le vicende della finzione e i problemi reali della coppia si intrecceranno gradualmente fino a sovrapporsi sul Finale, dove Realtà e Surreale si compenetrano rendendo arduo discernere i confini tra le due sfere.
Quest'Atmosfera di mescolamento tra realtà e finzione, insieme alla fusione di Orrore e Dramma sentimentale, non possono non ricordare "Audition", fra i Capolavori sicuramente più celebri e celebrati del Regista: l'impressione è che Miike e/o la produzione abbia(no) esplicitamente voluto creare questo parallelismo, ma poi i due Film prendono strade differenti.
In particolare, mentre il Capolavoro del 1999 giocava con lo spostamento di alcune rivelazioni del passato della Protagonista per creare una scissione piuttosto netta tra una prima parte 'sentimentale' e una seconda 'da Horror psicologico para-surreale', il Film del 2014, oltre a fondere due narrazioni differenti, fin da subito alterna la vicenda provata a teatro con le vite degli interpreti. Nel corso della pellicola la separazione 'sintattica' tra le due storie sfuma gradualmente mutandosi vicendevolmente per poi risolversi in un epilogo all'apparenza 'normalizzato' ma che in realtà sancisce la definitiva ibridazione onirica dei due Mondi. Nella costruzione meta-narrativa, possiamo trovare interessanti spunti di riflessione, oltre che sulla contaminazioni tra Arte (teatrale e cinematografica) e la Vita di chi la mette in scena (attori e attrici, registi…), sui rapporti tra i generi in particolare all'interno di una coppia legata sentimentalmente, sull'innata immoralità del potere (feudale in "Yotsuya Kaidan", inerente il mondo del Teatro nella vicenda di Miyuki e Kousuke), senza dimenticare il leitmotiv miikeano della Morte. Abbiamo anche un'importante presenza dell'Infanzia, con un bimbo pupazzo 'vivente' che attraversa le due vicende, ma anche in un'impressionante scena di auto-aborto che, in un film altrimenti concentrato sull'Horror d'Atmosfera, riporta alla mente il Miike più 'sadico' ("Imprint" in primis).
Il risultato complessivo è inferiore certamente ad "Audition" ma la visione è comunque da me consigliata vivamente e, anzi, mi consiglio di rivederlo altre volte (ancora) per poterlo analizzare meglio.

Rilevanza: 1. Per te? No

As the Gods Will

  • Horror
  • Giappone
  • durata 100'

Titolo originale Kamisama no iu tôri

Regia di Takashi Miike

Con Ryûnosuke Kamiki, Shôta Sometani, Sôta Fukushi, Hirona Yamazaki, Nao Ohmori

As the Gods Will

KAMISAMA NO IU TÔRI
Nel 2014 Miike ritorna, per il terzo anno di fila, al Festival del Film di Roma con un quarto film (nel 2013 infatti portò due titoli, il primo "Mogura no uta" aka 'The Mole Song', e "Chikyu kyodai" aka 'Blue Planet Brothers', mediometraggio di 60' da me ancora non visto e per qualche ragione assente su imdb).
L'Opera in questione è "Kamisama no iu tôri", ennesima trasposizione per Miike di una celebre serie Manga, di Fujimura Akeji e Kaneshiro Muneyuki. Non avendo ancora letto la base di partenza non posso confermare né smentire 'affinità e divergenze' tra i due lavori, però posso dire che il soggetto del Film è visibilmente nelle corde dell'Autore di "Koroshiya Ichi", con uno spunto narrativo che in parte può ricordare "Battle Royale" per il tema degli studenti e delle studentesse massacrate (e in alcuni momenti in conflitto tra di loro, con esiti potenzialmente letali), ma qui si tira in ballo un oscuro volere di divinità misteriose che utilizzano le forme di giocattoli tradizionali giapponesi per spingere moltitudini di adolescenti a sadici giochi 'sociali' mortali. Anche se la sostituzione di una legge distopica umana (come nei Film dei Fukasaku) con un piano divino può essere visto come una differenza politicamente marginale (in ogni caso sempre di autorità si parla), la delineazione più 'metafisica' e l'insolubilità delle ragioni di queste entità conferiscono al Film una dimensione 'spirituale' intrigante.
La diversa natura dei giochi e degli 'arbitri' invece replica uno schema videoludico nell'evoluzione delle sfide: ogni competizione con relativa 'mascotte' risulta interessante e in ciascuna la capacità di ragionare al di fuori degli schemi si rivela fondamentale nel raggiungimento della salvezza. Il 'livello' che a me, nelle due visioni finora 'totalizzate', ha sempre colpito maggiormente è la partita contro l'orso bianco Shirokuma, il quale interroga il gruppo superstite su vari argomenti personali uccidendo un membro del gruppo in caso di menzogna (la soluzione apre, secondo me, una brillante critica anti-autoritaria).
Anche se i Personaggi principali sono più di uno, Shun è evidentemente il Protagonista 'ufficiale' dell'Opera: egli passa dal desiderare una vita avventurosa al rimpiangere la noia della normalità, una volta assaporato il pericolo e soprattutto il reiterarsi di tragiche morti di compagne e compagni vari, arrivando a sviluppare una sorta di senso di colpa. Opposto a lui abbiamo Takeru, un suo compagno di scuola che invece esprime una folla gioia per il nuovo corso di eventi in fase di sviluppo, spinto da una specie di fede superomistica in sé stesso ma anche da un 'amore' (omosessuale?) per il suo avversario.
Pur essendo, come diverse (quasi tutte?) le Opere di Miike focalizzata soprattutto sull'Intrattenimento 'folle', di spunti di riflessione intriganti in "Kamisama no iu tôri" ne troviamo parecchi secondo me, dal Contrasto tra la giocosità infantile delle creature 'aguzzine' e la letalità dei loro giochi alla Gioventù minacciata nella propria innocenza da un mondo spietato, dal Sacrificio di vittime adolescenziali al rapporto tra videogiochi e realtà, dal Senso della Vita e della Morte al Mistero di dio eccetera.
Insomma, l'ennesimo Gioiellino da vedere e rivedere.

 

KAZE NI TATSU RAION
Nel 1987 il cantante giapponese Sada Masashi ottiene un certo successo con il brano "Kaze ni tatsu Lion", ispirato alla storia vera di un dottore che decise di lasciare il Giappone per lavorare in una missione umanitaria nel Kenya in guerra e con diverse parole, nel testo della canzone, riprese da stralci delle lettere inviate dal medico ad una donna lasciata 'in patria'. Un paio di decenni dopo l'attore Osawa Takao (protagonista di "Wara no tate") sprona Sada ad adattare il pezzo in un romanzo da cui poi Saitô Hiroshi trarrà una sceneggiatura messa infine in scena da Miike Takashi e distribuita nelle sale (soprattutto giapponesi) nel 2015.
Fin da quando appresi dell'esistenza di questo titolo nella Filmografia miikeana (e forse era da poco stato annunciato/distribuito) fui colto da un certo stupore: infatti, pur avendomi l'Autore abituato a svariate tipologie di film, incluso il Dramma sentimentale, l'idea di un biopic su un medico in missione umanitaria non era mai stata da me contemplata come probabile progetto del Cineasta. Il trailer, pur assicurandomi una buona qualità tecnica, mi creò un'aspettativa 'debole', temendo qualcosa di melenso, poco o per nulla nelle corde del Regista e un pelino 'razzista buono'.
La visione (e revisione) del film, più vari miei ripensamenti, confermano alcune di questa criticità, in particolare il 'nippocentrismo' della narrazione che in alcuni momenti crea delle situazioni (per me) eticamente fastidiose perché potenzialmente paternalistiche. Inoltre il dramma in diverse occasioni tocca troppo il melenso e il retorico, e l'interpretazione di Osawa mi pare troppo 'agiografica'.
Detto ciò, sia alla prima sia alla seconda visione "Kaze ni tatsu raion" ha, come molti altri lavori di Miike, superato le mie aspettative. Nonostante i difetti sopra esposti, e forse anche altri, il film riesce a non essere davvero impersonale, non solo e non tanto per le brevi apparizioni di violenza (comunque drammatica e ridotta al minimo indispensabile), ma proprio per l'intensità di quelle scene in cui il dramma evita di scadere nel melenso per entrare in intimità coi Sentimenti dei personaggi. Un altro Tema miikeano, oltre alla Morte, che qui torna è l'Incontro tra Popoli e Culture diverse, declinato in questo caso nel Giappone espatriato (in Kenya). Molto intrigante e vicina allo Stile di Miike è la struttura non lineare del racconto, con la linea temporale principale (nel passato) alternate a domande varie poste a narratori e narratrici presenti, in uno stile simil-documentaristico, e all'arrivo di Ndung'u adulto in Giappone.
"Kaze ni tatsu raion" è un'opera probabilmente minore di Miike ma, secondo me merita di essere vista.

Rilevanza: 1. Per te? No

Yakuza Apocalypse: The Great War of the Underworld

  • Azione
  • Giappone
  • durata 105'

Titolo originale Gokudô Daisensô

Regia di Takashi Miike

Con Yayan Ruhian, Hayato Ichihara

Yakuza Apocalypse: The Great War of the Underworld

In streaming su MIDNIGHT FACTORY Amazon Channel

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GOKUDÔ DAISENSO

Nel 2015, dopo il particolare "Kaze ni tatsu raion", Miike torna nelle sale, partendo da una capatina al Festival di Cannes, con questo "Gokudô daisensô", la cui sceneggiatura è affidata, forse da Miike stesso, all'assistente alla regia Yamaguchi Yashitaka.
Diverse recensioni han notato una specie di 'ritorno al passato' per l'Autore, ed egli stesso lo ha dichiarato in un'intervista presente in un making of. Per certi versi ciò è vero: oltre che tornare infatti a due dei Generi che l'han reso celebre, ovvero il gokudô eiga e l'Horror, Miike si libera per un attimo dai lavori più mainstream friendly dell'ultimo periodo per costruire un qualcosa di folle e sperimentale.
La forte libertà creativa di Miike però non si accontenta di adagiarsi su un fan service nostalgico, ovvero non cerca di imitare il proprio stesso Mito, limitando anche qui l'esasperazione della Violenza in favore di una sua rappresentazione più cartoonesca.
Ci son diversi scontri e sono pure molto ben coreografati (dall'indonesiano Yayan Ruhian), ma non sono l'Elemento in assoluto principale del Film e si ha l'impressione che Miike intenda demistificarne, anti-epicizzarne l'impatto, come ben si evince dal Duello Conclusivo tra il Protagonista Kageyama (Hayato Ichihara) e Mad Dog (Ruhian), forse non erroneamente associato a "They Live" (ma la posta in gioco e le modalità della lotta sono differenti).
L'Assurdo, incarnato in maniera significativa dall'evocativa Rana-Pupazzo, interviene a ridicolizzare il Pathos, ma al contempo rafforza un Brivido d'Inquietudine nell'Individuo Spettatore, perché la 'peggio' Demenzialità è sovente mescolata con la Violenza Brutale. Ugualmente, la Demistificazione più assoluta va di pari passo con la 'Figaggine' più spettacolarmente sbruffona.
La patina digitale non soffoca la Personalità di Miike ma, anzi, ne accompagna l'Evoluzione lasciando ben salda l'Impronta del suo Stile; inoltre, non si abusa di effetti digitali, ma anzi sembra quasi che si voglia adottare soluzioni estremamente anti-mainstream in questo senso, con Pupazzi e Maschere piuttosto evidenti.
Nei contenuti ho sentito un'istigazione a prendere in mano il 'potere' direttamente, come Individui (e/o come popolo), togliendo la violenza e la protezione dalle mani dei potenti (in questo caso la Yakuza). Se gli yakuza (fatta eccezione, in un paradosso squisito, per il Boss Vampiro), ma in generale i potenti, hanno metaforicamente 'bevuto il sangue' (cioè sfruttato) la gente 'innocente' (nel senso di lontana dalle lotte e dagli scontri tra i contendenti del potere, ma anche tra il potere e chi vuole distruggerlo), ora la gente si riprende autonomamente il Sangue minacciando il potere. Significativo il folle sogno della nuova leader yakuza (che secerne 'latte' dalle orecchie) di coltivare nuovi 'civili' per nutrire il potere della gang).
Non manca il Discorso tipicamente Miikeiano sul Rapporto tra gli Individui e la Morte.
Ci sarebbe molto altro da dire a riguardo di questo Film (e mi scuso per l'aspetto forse un po' 'elencativo' di questa mia riflessione) ma chiudo dicendo che, pur non trovandoci forse di fronte ad un Capolavoro (ma penso che qui sia necessario aspettare qualche anno per confermarlo/confutarlo), "Gokudô daisensô" è l'ennesimo Instant Cult del grandissimo Miike Takashi e una delle sue Opere per me migliori in assoluto dell'ultimo decennio passato.

Rilevanza: 1. Per te? No

TerraFormars

  • Fantascienza
  • Giappone
  • durata 108'

Titolo originale Terra Formars

Regia di Takashi Miike

Con Rinko Kikuchi, Rila Fukushima, Kane Kosugi, Emi Takei, Shun Oguri, Takayuki Yamada

TerraFormars

TERRA FORMARS
Il 2016 si apre per Miike con "Terra Formars", trasposizione in live action dell'omonimo manga di Sasuga Yû e Tachibana Ken'ichi, di cui già era stata realizzata una prima serie anime (poi proseguita dopo l'uscita del film). In particolare Miike e lo sceneggiatore Nakashima Kazuki, per evitare (giustamente) di dover condensare troppo materiale, si concentrano sul primissimo volume, di cui era uscito un OVA.
Già prima di vederlo, avendo guardato la serie animata e letto il primo volume del manga (proprio per prepararmi alla pellicola di Miike), mi aspettavo un lavoro minore e piuttosto impersonale: nonostante infatti tematiche come mutazione e reietti in cerca di redenzione (oltre alla Violenza) su carta avrebbero dovuto sposarsi magnificamente con la Poetica del Regista, il tono della serie mi è parso più tradizionale, 'militaresco' e serioso rispetto allo Stile sperimentale, 'anarchisteggiante' e auto-ironico di Miike. Inoltre, quasi andando contro sé stesso, l'Autore decide di togliere in buona parte la multinazionalità dei personaggi originali pur conservando un certo multilinguismo, portando quindi ad un'(apparente?) omogeneità nipponica.
Una volta visto ho confermato buona parte dei miei timori e, riguardandolo, ho rafforzato la sua evidente inferiorità artistica rispetto alla (per me) maggioranza della Filmografia dell'Autore. Come se non bastasse, da metà film in poi l'attenzione (dell'Individuo Spettatore) e la tensione (del Film) calano, paradossalmente proprio quando l'azione inizia ad accumularsi, sfociando però spesso in qualcosa di mainstream.
Comunque, rispetto al peggiore dei miei timori, non ci troviamo di fronte ad un brutto film: gli Echi a Cronenberg, "Alien" e "Blade Runner" sono gustosi, alcuni Tocchi tipici del Cineasta qua e là si trovano, in sostanza il suo approccio cartoonesco resta intatto e la scena della falena umana è a suo modo poetica.
Non mancano, seppur molto più annacquati del solito e strettamente collegati alle citazioni sopra elencate, alcuni spunti di riflessione esistenziale e sociale, dal rapporto tra Individuo e Morte alla critica (satirica) del potere, qui rappresentato dal Personaggio Ko Honda (interpretato da Shun Oguri, che non mi ero accorto essere il Gengji dei "Kurôzu zero"), la cui estetica mi ricorda il bizzarro villain del secondo Zebraman.
Chiudendo, "Terra Formars" è sicuramente tra i film meno imperdibili del grande Miike Takashi, ma tutto sommato lo considero carino e piacevole da vedere (e rivedere).

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

The Mole Song - Hong Kong Capriccio

  • Azione
  • Giappone
  • durata 128'

Titolo originale Mogura no uta: Hong Kong kyôsô-kyoku

Regia di Takashi Miike

Con Tôma Ikuta, Eita, Tsubasa Honda, Nanao, Arata Furuta, Ken'ichi Endô

The Mole Song - Hong Kong Capriccio

MOGURA NO UTA: HONG KONG KYÔSÔ-KYOKU
Sempre nel 2016 Miike realizza un altro adattamento di manga che però, rispetto a "Terra Formars", si dimostra molto più dentro le sue corde: si tratta di "Mogura no uta: Hong Kong kyôsô-kyoku", sequel di "Mogura no uta: Sennyuu sousakan Reiji" e sempre tratto dall'opera di Noboru Takahashi.
Analogamente a quel che accadeva con "Kurôzu zero" e "Kurôzu zero II", anche qui il Film si apre con un esplicito richiamo al prologo del Capitolo precedente, ovvero col Protagonista Reiji nudo (con un fortuito foglio di giornale a coprirgli le parti intime) sballottato in giro per la città, questa volta sopra una gabbia piena di uakuza seminudi trasportata da un elicottero guidato da Crazy Papillon. Un altro fondamentale collegamento scenico con il predecessore è costituito dall'esposizione, sempre cantate dai colleghi-superiori nella polizia, di regole aggiuntive dell'Infiltrato, giustificando così il titolo del film che infatti in questo momento, pur essendo avviato ormai da decine di minuti, appare sullo schermo.
L'impressione avuta, sia alla prima sia alla seconda visione, è di un aumento della Follia e dell'Esagerazione già presenti nel primo Capitolo, e questo per me è un fatto positivo.
Pur non ritenendola, personalmente, una delle Opere migliori dell'Autore, egli riesce comunque a divertire mescolando ingredienti diversi, dal poliziesco alla fantascienza, dall'azione al 'sentimentale-erotico soft' con la figlia del boss che intende perdere la verginità col protagonista mentre questi, pur eccitato, rifiuta, un po' per etica e un po' per paura delle conseguenze. Il tutto è virato in Commedia dai toni grotteschi che sfociano in un finale delirante con scontri tra cyborg e una tigre in libertà.
I Personaggi sono tutti molto cartooneschi ma al contempo approfonditi, rendendo umani anche i 'cattivi'. Tecnicamente significativo il personaggio nichilistoide di Kabuto, il nuovo capo della polizia (seguono SPOILER): dietro l'intrigo di traffico della prostituzione, infatti, si cela lui, spinto da un odio per gli sbirri infiltrati (a causa della morte del padre, ucciso da uno di questi) ma soprattutto da una visione del mondo cinica e avversa all'idealismo. Reiji invece gli oppone un ottimismo (per me forse un po' troppo fideistico) e una fiducia nell'Umanità riuscendo a vincere sull'avversario, che rifiuta nuovamente di uccidere. Molto interessante, anche se obiettivamente appena abbozzata e in un contesto 'moderatizzato', la critica alla mercificazione delle donne, con tanto di asta internazionale partecipata anche da ricchi magnati occidentali.
Il finale lascia la porta aperta ad altri sequel, concretizzatosi nel 2021 con "Mole Song Final": pur non essendo, come detto, il mio Miike preferito, son curioso di vedere come questa trilogia va a chiudersi. In ogni caso, consiglio la visione dii questo secondo capitolo.

Rilevanza: 1. Per te? No

L'immortale

  • Azione
  • Giappone
  • durata 140'

Titolo originale Mugen no jûnin

Regia di Takashi Miike

Con Chiaki Kuriyama, Kazuki Kitamura, Erika Toda, Takuya Kimura, Min Tanaka

L'immortale

In streaming su Netflix

vedi tutti

MUGEN NO JÛNIN
Nel 2017, dopo aver diretto almeno due episodi della serie "Idol × Warrior: Miracle Tunes!", Miike torna al Cinema con "Mugen no jûnin", pubblicizzato e presentato a Cannes come il 100° film dell'Autore.
Trasposizione live action, sceneggiata da Oishi Tetsuya, dell'omonimo manga di Samura Hiroaki già adattata in anime nel 2008 (e poi nel 2019), guardando la prima serie anime avevo notato delle possibili affinità con la Poetica del Regista, in particolare per la Tematica del rônin immortale, che in parte sembra ricordare "IZO", pur dirigendosi verso un territorio stilistico più convenzionale e vicino al remake di "Jûsan-nin no shikaku" (citato in alcune locandine). La prima visione del Film aveva confermato queste mie previsioni di felice compatibilità tra racconto specifico e Poetica del Regista, e la seconda visione ha rafforzato le positive impressioni.
Non ci troviamo di fronte ad una delle migliori Opere di Miike Takashi, però la sottile tragicità della storia riesce a sposarsi molto bene con il suo Spirito.
La Violenza è un altro aspetto sicuramente nelle corde di Miike ma essa è veicolo di domande drammatiche sulla Morte, Tema miikeano qua affrontato (apparentemente in paradosso) nell'Immortalità, e sulla Crudeltà.
Non mancano contenuti sessuali, qui meno insistiti rispetto ad altri Lavori di Miike (e all'anime): significativamente, lo stupro della madre di Rin resta fuori campo ma un altro tentato stupro (ai danni di una donna pagata dall'Itto-ryu per depistare la coppia protagonista e un gruppo a loro temporaneamente alleato) è messo in scena più esplicitamente, anche se poi viene sventato da Manji. Fondamentale distacco dall'anime è la scelta di far rivedere a Manji, in Rin, la sorella uccisa, portandolo a rifiutare le avance della ragazza.
Altri Temi interessanti si trovano nella rappresentazione assai critica del Potere e interessante è il fatto che Rin non diventa mai completamente 'forte': il suo carattere si approfondisce e consolida man mano che sporca la propria innocenza maturando però una propria coscienza. Il finale qui è ancora tronco ma, più che lasciare la vicenda aperta all'Indefinito, è vicino alla convenzionalità del cliffhanger, tant'è che lo scontro grosso è concluso ormai.
Le sequenze di battaglie sono dirette e montate (con l'aiuto del fidato Yamashita Kenji) con grandissimo gusto preferendo l'artisticità delle coreografie alla tronfia spettacolarizzazione della lotta, risparmiando così anche i ralenti per i momenti giusti e senza gonfiarli di cgi. La fotografia di Kita Nobuyasu è magnifica e regala colori suggestivi. Molto in parte è tutto il Cast, col Protagonista azzeccato pur non essendo un 'veterano' di Miike. Le Musiche di Endo sostengono Spirito del Film senza prevaricare, i Costumi e le Scenografie sono accurate e visivamente d'impatto, con colori forti (senza dar l'idea di essere pesantemente ritoccati in post-produzione) e nel complesso il film funziona.

Rilevanza: 1. Per te? No

Jojo's Bizarre Adventure: Diamond is Unbreakable

  • Azione
  • Giappone
  • durata 119'

Titolo originale JoJo no kimyô na bôken: Daiyamondo wa kudakenai - dai-isshô

Regia di Takashi Miike

Con Kento Yamazaki, Nana Komatsu, Ryûnosuke Kamiki, Mackenyu, Jun Kunimura, Yûsuke Iseya

Jojo's Bizarre Adventure: Diamond is Unbreakable

JOJO NO KIMYÔ NA BÔKEN: DAIYAMONDO WA KUDAKENAI - DAI-ISSHÔ
Tratto da una nota serie manga già trasposta in un anime a quanto pare parecchio popolare, "JoJo no kimyô na bôken: Daiyamondo wa kudakenai - dai-isshô" è tra gli ultimi lavori di Miike, in un'ottica cronologica (comunque, dal 2018 al 2021, sono usciti 6 film, 7 episodi di 3 serie e 1 segmento di un film antologico da lui diretti) ma purtroppo anche in ordine 'qualitativo' della Filmografia dell'Autore.
Non conoscendo, se non molto superficialmente, il materiale di partenza sicuramente non avrò colto la maggioranza dei riferimenti, ma preso così com'è il film con i suoi spunti narrativi non mi è parso, almeno alla prima visione (e senza particolari ribaltamenti di prospettiva alla seconda), molto nelle corde del Regista.
Innanzitutto troviamo un eccesso, per me, di 'tamarraggine', a cui in realtà Miike non è mai stato forse estraneo ma che qui ha il sapore troppo convenzionale delle 'figate' giapponesi più sdoganate tra il pubblico mainstream occidentale e non sublimate nel Grottesco e nell'Assurdo come consuetudine dell'Autore. Inoltre si avverte una morale filo-poliziesca per me dura da digerire. Per chiudere questa veloce carrellata di 'critiche', aggiungo che il co-protagonista (e narratore), come il protagonista nel successivo "Rapurasu no majo", mi è risultato alquanto fastidioso, rovinando anche un buon momento verso il finale (quando il padre-mostro dell'antagonista piange guardando la foto ricomposta della sua famiglia) esplicitando a parole osservazioni a mio parere egregiamente espresse dalle immagini, dalle interpretazioni e dagli sguardi degli attori.
Insomma, caso raro, Miike ha qui rischiato seriamente di deludermi, pur avendo appositamente abbassato le mie aspettative per evitare ciò, ma fortunatamente alcuni elementi, soprattutto nella parte conclusiva, hanno sfatato in parte questo pericolo.
L'aspetto positivo principale è lo scardinamento, nel finale, del sostanziale manicheismo su cui si sosteneva il film nel minutaggio precedente: i fratelli villain, infatti, rivelano le proprie complessità umane e le ragioni drammatiche delle loro azioni, oltre alla capacità di riconoscere il valore dell'avversario cambiando pure idea e di sacrificarsi per le persone a sé care. Lo stesso Jojo dimostra di avere sfaccettature e di non essere uno stereotipato eroe dominato dalla certezza di essere sempre nel giusto.
Non mancano, infine, trovate sufficientemente 'folli', anche se non saprei dire se merito di Miike o del Manga, e in ogni caso tecnicamente la Regia resta su livelli alti.
Un Miike minore dunque ma non da buttare.

Rilevanza: 1. Per te? No

Laplace's Witch

  • Drammatico
  • Giappone
  • durata 115'

Titolo originale Rapurasu no majo

Regia di Takashi Miike

Con Shô Sakurai, Suzu Hirose, Sôta Fukushi, Rei Dan, Lily Franky, Tao Okamoto, Eriko Satô

Laplace's Witch

RAPURASU NO MAJO
Nel 2018, dopo aver diretto almeno un episodio di "Maho × senshi majimajo pyuazu!", Miike Takashi torna al Cinema con la regia di "Rapuraso no majo", tratto da un romanzo di Keigo Higashino.
Il protagonista Shô Sakurai, oltre a non essere caratterizzato (il suo personaggio) in modo convincente nello script, non ha un volto e una personalità impattanti come gli individui attori più caratteristici dell'entourage del Regista, la trama si risolve essenzialmente in un thriller medio con inserto 'sovrannaturale' (ma in chiave fantascientifica con riferimenti alla teoria matematica del demone di Laplace) e la follia creativa dell'Autore qua, a differenza del successivo "Hatsukoi", è tenuta vistosamente sotto chiave, rendendo a tratti difficile riconoscere la Mano del Cineasta.
Però, forse per via delle aspettative medio-basse influenzate dalla negatività con cui il film è stato accolto dalla critica e credo anche da diversa gente più o meno fan dell'Autore, anche con questo film Miike è riuscito a stupirmi in positivo. Seppure molto meno personale e intrigante rispetto alle sue Opere migliori o anche solo mediamente riuscite, la pellicola propone interessanti trovate visive, a partire dall'arcobaleno lunare (importante nella caratterizzazione dei personaggi). Intrigante la struttura non lineare adottata per la narrazione, con un buon uso dei flashback che spezzettano la storia approfondendo i retroscena e spesso ripetuti man mano che le indagini si ampliano ottenendo effetti diversi in base alle nuove informazioni raccolte nel frattempo. Miike inoltre tratta in modo convincente Temi come l'inutilità della Vendetta (più volte affrontata nella sua Filmografia), l'importanza di ogni Individuo in contrasto al delirio di onnipotenza del Potere e l'assurdità della vanità anche in chiave artistica. È molto interessante inoltre il modo in cui l'attenzione venga gradualmente spostata dal non particolarmente accattivante protagonista ai due Personaggi con i poteri 'di Laplace' ovvero Madoka, figlia dello scienziato responsabile della 'mutazione profetica', e Kento, in cerca di giustizia personale contro il padre regista folle: i loro drammi famigliari danno al film un motivo in più per essere visto nonostante la sostanziale piattezza della trama principale.
Degna d'apprezzamento, per me, è anche la sottotrama metacinematografica, così come sono suggestive in alcuni punti le musiche del fidato Kôji Endô.
Ricapitolando, "Rapurasu no majo" è un titolo sicuramente minore nella sterminata Filmografia miikeana ma, soprattutto se si ama l'Autore, è a parer mio possibile trovare elementi interessanti e, nel complesso, la visione risulta tutto sommato godibile.

Rilevanza: 1. Per te? No

L'ultimo yakuza

  • Thriller
  • Giappone, Gran Bretagna
  • durata 108'

Titolo originale Hatsukoi

Regia di Takashi Miike

Con Becky, Masataka Kubota, Nao Omori, Sakurako Konishi, Seiyo Uchino, Shôta Sometani

L'ultimo yakuza

In streaming su Amazon Prime Video

vedi tutti

HATSUKOI
Ultimo lungometraggio diretto in solitaria da Miike negli anni '10 (ad ottobre dello stesso anno, il 2019, esce il film a episodi "That Moment, My Heart Cried", mentre in precedenza l'Autore aveva diretto almeno 5 puntate di "Secret × Heroine Phantomirage!"), "Hatsukoi", prodotto da Jeremy Thomas e presentato a Cannes nel Quinzaine des Réalisateurs, è un one crazy night gangsteristico dove Violenza e Sentimenti si intrecciano alternando Dramma e Ironia.
La trama ruota intorno a Leo, un pugile promettente ma con una diagnosi di tumore cerebrale: imbattendosi nella fuggitiva Yuri, una ragazza tossicodipendente costretta a prostituirsi col nome di Monica, d'istinto il giovane decide di aiutarla sferrando un pugno al suo inseguitore, ma così facendo si ritrova coinvolto in un folle scontro tra yakuza e mafia cinese.
Forse non ci troviamo di fronte ad un Capolavoro e/o a delle Opere migliori in assoluto del Cineasta giapponese (più lo guardo però e meno ne sono convinto, e in ogni caso Miike di Cult imperdibili per me ne ha realizzati un oceano), ma con "Hatsukoi" Miike, ancora una volta, ha soddisfatto e forse superato le mie aspettative. L'idea della Morte incombe sul nostro Protagonista (Kubota Masataka come interprete si è rivelato migliore di quanto pensassi) e il legame che crea con la travagliata Yuri è costruito in modo credibile e senza scadere in una rappresentazione retoricamente falsata di un 'amore a prima vista': non mi pare, tra l'altro, che i due si bacino mai nel Film, e questo aumenta la credibilità del tutto.
Miike trattiene un attimo la sua visionarietà delirante per concentrare la sua attenzione sui Caratteri dei vari Personaggi, però non perde completamente il suo lato grottesco dosandolo in situazioni funzionali e coerenti con l'atmosfera dell'Opera, come nelle allucinazioni di Yuri sul proprio padre in mutande (indimenticabile il ballo sul treno) o nell'acrobazia automobilistica animata nel finale, ma anche il cane robot che tira la cordicella per accendere un incendio ha un lato surreale (e, in almeno un'intervista, l'Autore sembra alquanto affezionato al pupazzetto).
Si può parlare molto della rappresentazione, tipicamente miikeana, al contempo iconica e ironica della Yakuza, dell'alternanza tra comicità cartoonesca e drammaticità nella Violenza, delle Musiche jazzeggianti del fidatissimo Kôji Endô, delle scelte cromatiche nella Fotografia (con una buona abbondanza di giallo) di Nobuyasu Kita, del superbo montaggio di Akira Kamiya che presenta diversi intriganti flashback e del magnifico lavoro svolto dal Cast, ma per ora mi fermo qui.
Chiudo dicendo che con "Hatsukoi" Miike mi ha ancora una volta colpito profondamente e, se già alla prima visione l'avevo considerato un instant Cult, alla seconda e ancor di più alla terza esperienza la mia adorazione si è ulteriormente consolidata tanto da considerarlo ora (forse) un Capolavoro soggettivo, nel senso che lo rivedrei in continuazione e che dovevo avere nella mia videoteca personale: mi piace pensare che questo rafforzamento di gradimento sia scattato soprattutto dopo aver notato il dettaglio di un ratto camminante sullo sfondo quando il poliziotto Otomo rinviene dopo il pugno di Leo.

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