E come ogni fine/inizio anno mi trovo a fare il bilancio dei film che ho gustato nei dodici mesi precedenti alla data di "giudizio". Ricco è stato l'anno trascorso di visioni che hanno ampliato la mia cultura e placato (almeno sempre e solo in parte) la mia sete di cinema. Vi propongo l'elenco de I MAGNIFICI SETTE.
La sensazione che si prova quando lo schermo diventa buio, al termine della proiezione, è paragonabile come intensità, alla soddisfazione che si prova nel vedere un quadro finito. La stessa, suppongo, che un artista prova quando si rende conto che la sua mano sta accompagnando l’ultima pennellata prima che la sua opera possa definirsi compiuta.
Un film coinvolgente. Un mondo colorato che ti avvolge subito, fin dalle prime sequenze, accompagnati da una musica vivace e da un calore familiare, che si rispecchia attraverso il linguaggio semplice dei protagonisti. Non ci sono buchi di trama, i dialoghi sono coerenti, la storia dalle molteplici sfaccettature, presenta tratti comici, spunti riflessivi e misteri che infittiscono la trama rendendola ancora più interessante.
John Krasinski, alla sua terza prova da regista, si avvale della bravura indiscutibile di Emily Blunt e si pone egli stesso nel ruolo di attore e regista di se stesso. Riduce il cast al minimo indispensabile, oltre ai due coniugi (tali anche nella vita reale, sarà anche questo il merito della sintonia che riescono a trasmettere davanti alla macchina da presa?) e ai tre loro pargoli, solo due comparse e nessun altro, e concentra l’obiettivo (quello della macchina da presa) sugli eventi che coinvolgeranno la famiglia.
L’ambientazione anonima di una periferia di città, che potrebbe essere ovunque, rende il tutto ancora più intimo. Il merito è pienamente della fotografia scura di Nicolaj Brüel che riesce quasi a trasferire sulla pellicola la malinconia dei personaggi, come nemmeno Marco Onorato in "Gomorra" e "Reality" c’era riuscito, pur andandoci molto vicino. Matteo Garrone riesce a dare ancora una volta la convinzione di essere un regista per tutti. I suoi film sono capaci di ricreare l’animo umano. Le sue immagini ti entrano dentro e ti scombinano. Ti modificano e sai che dopo non sei più lo stesso.
Nonostante i temi capaci di inanellare una serie di reazioni dell’anima, il film emozionalmente parlando non lascia molto. Resterà la performance intensa della McDormand e quella folle e profonda di Sam Rockwell; l’esecuzione perfetta della messa in scena, con uno sviluppo della sceneggiatura capace di arrivare a tutti. Da Oscar!
Avere la possibilità di guardare questo film in lingua originale, naturalmente sottotitolato, credo sia stato per me, un grande privilegio. Ho avuto la possibilità di individuare non solo la passione che Bergman mette nelle sue opere, senza l’alterazione che ne consegue dal doppiaggio, ma anche di godere dell’originalità di un’opera così maestosa. Bergman, ci trascina nelle viscere del nostro essere e, pur non placando gli enigmi della nostra esistenza, ci dipinge il quadro di quelle nostre emozioni che oscillano tra la vita e la morte.
L’esecuzione quindi risulta ben articolata ed è notevole la cura del dettaglio. Nota di merito, come già detto sopra, per la fotografia e per l’ambientazione necessaria a percepire fino in fondo l’ostilità verso la diversità che gli americani perseguivano o piuttosto quanto la Guerra Fredda abbia inasprito i rapporti con la Russia che ancora oggi cercando in parte di sanare. Manca quel “qualcosa in più” che servirebbe allo spettatore per sentirsi parte della storia e non solo testimone; per non permettere alla pellicola di scivolarti addosso ma di entrarti dentro come in passato Del Toro ha saputo fare e che qui ahimè non si riesce a recepire.
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