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Campo Thiaroye

Regia di Ousmane Sembene, Thierno Faty Sow vedi scheda film

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La recensione su Campo Thiaroye

di OGM
8 stelle

Nel 1944 Camp Thiaroye era un accampamento militare nei pressi di Dakar, destinato ad ospitare temporaneamente, al loro ritorno dal fronte franco-tedesco, i reparti di fanteria dell’esercito francese formati da soldati reclutati nelle colonie. Per gli uomini che vi alloggiavano, doveva essere il primo lembo di pace strappato ad un mondo ancora in fiamme, ed un anticipo dell’aria di casa e del calore della famiglia. Sotto lo sguardo di Ousmane Sembène, al contempo ironico e doloroso, quello sperduto angolo di deserto appare invece, innanzitutto, come un luogo  di riflessione sull’esperienza del campo di battaglia (o di prigionia) europeo, su quella “guerra dei bianchi” che tanti giovani neri hanno dovuto combattere loro malgrado e che li ha posti di fronte ad un orrore a cui mai avrebbero pensato di poter partecipare. Alcuni sono feriti nel corpo, molti nell’animo, per le atrocità a cui hanno assistito, e che parlavano le lingue sconosciute delle armi da fuoco, degli ordini impartiti in tedesco, dei proclami della retorica nazifascista.  L’umiliazione peggiore è, però, quella che, dopo tanta sofferenza vissuta sulla loro pelle, si vedono infliggere al loro rientro sul suolo africano. I fanti delle truppe coloniali scoprono, improvvisamente, di essere gli ultimi degli ultimi, maltrattati dai superiori, malvisti dalla popolazione bianca, e persino dagli afroamericani dell’esercito statunitense. Il razzismo di cui sono vittime è il disprezzo nei confronti di chi, provenendo da villaggi rurali, è considerato rozzo, primitivo, privo di cultura e quindi senza alcuna voce in capitolo. L’immane sacrificio a cui sono stati costretti, indossando la divisa dei loro dominatori, non ha cambiato di una sola virgola la loro condizione di soggetti senza diritti, che nulla contano agli occhi del cosiddetto mondo civile. Per lo stato maggiore francese, ancora in mano ai sostenitori del deposto governo di Vichy,  essi sono e rimangono soltanto carne da macello, a cui si può somministrare cibo immangiabile e dimezzare la paga. Per il capitano Labrousse, a nulla vale l’evidenza che quelli che si trova davanti non sono dei selvaggi, ma uomini che in trincea o nel lager sono cresciuti anche intellettualmente, magari imparando a parlare l’idioma dei loro nemici, ed acquisendo, in ogni caso, piena coscienza del loro intrinseco valore di esseri umani.  Alla loro maturità interiore ed al coraggio di lottare per la propria dignità corrisponde, sul versante opposto, solo il miope militarismo degli ufficiali, che credono di governare un branco di marionette messe al loro servizio. Sembène ridicolizza il loro atteggiamento, ma senza alcuna simpatia,  rendendolo amaro come ogni pretesa di grandezza che provenga da un arrogante sempliciotto: un copia in piccolo della megalomania e del complesso di superiorità - di singoli individui o di intere nazioni – che, da sempre, accende la miccia dell’odio.  E, intanto,  con il suo realismo semplice e nitidissimo, descrive da dentro il travaglio di chi, essendo stato sottomesso a logiche e forze crudeli ed estranee, deve faticosamente ricostruire la propria identità di africano,  legata ad una terra e ad una memoria,  amalgamandola con la consapevolezza di ciò che ha visto, che ha fatto ed ha subito in un continente non così lontano nello spazio, ma infinitamente diverso nell’anima.
 
La vera motivazione del film risiede nell’evento storico narrato nel finale, accaduto il 1 dicembre 1944, e che tutti dovrebbero conoscere. Ciononostante, l’effettivo protagonista della storia è l’Uomo, ed, in particolare, l’esempio incarnato dalla figura del sergente capo Pierre Diatta: un personaggio “trasversale” alle culture, che sfida ogni distinzione e divisione basata su criteri etnici o geografici. Nato e cresciuto nel villaggio di Effok, Pierre ha studiato a Parigi ed è sposato ad una donna francese, da cui ha avuto una bambina. E ritornerà da loro, a vivere in mezzo ai bianchi, perché, malgrado tutto, non ha nulla contro il colore della pelle di coloro che, due anni prima, vestendo le uniformi dell’esercito francese, hanno raso al suolo il suo paese e barbaramente ucciso i suoi genitori, i suoi parenti, i suoi amici.
 
Il film matura dall’esperienza personale di Sembène, arruolato come combattente nella seconda guerra mondiale.  

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