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Accattone

Regia di Pier Paolo Pasolini vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Accattone

di omero sala
8 stelle

 

 

locandina italiana 2020

Accattone (1961): locandina italiana 2020

La trama

La storia è elementare: Vittorio Cataldi, detto Accattone, è un ragazzotto della periferia romana; un nullafacente (lazzarone, non disoccupato) spensierato e fanfarone (vedi la scommessa del tuffo nel Tevere dall’alto del ponte); un bulletto strafottente (proprio come come quelli frequentati da Pasolini e raccontati nei suoi primi romanzi Ragazzi di vita, del  1955, e Una vita violenta, del 1959). Un sottoproletario, per dirla con un termine politichese.

Vegeta pigramente seduto davanti allo squallido bar o fra le strade polverose della borgata (un non-luogo fatto di palazzi sorti in mezzo al nulla tra fango e sterpi) aspettando “occasioni”, ingannando il tempo in perenni partite a carte, sfottendo amici e passanti (lanciando compiaciuto quelle pittoresche provocazioni tipiche dei bulletti che, non solo nelle periferie romane, fanno sempre a gara nello spararle più fantasiose e pare acquistino prestigio quando riescono ad avere l’ultima parola nei bisticci fatti di insulti bislacchi, battibecchi offensivi e creativi, canzonature fantasiose). 

Come tutti i suoi compari, vive di piccoli espedienti, organizzando senza impegno dei furterelli e facendo il magnaccia (con una sola donna!) a tempo perso e senza troppa convinzione.

Ma ha negli occhi e nello sguardo schivo un’ombra, qualcosa di indefinito ci dice che è un’anima in pena, senza la voglia di vivere.

Quando arrestano Maddalena, la sua fonte di guadagno, prima tenta di recuperare la ex moglie (e viene cacciato a suon di pugni da suo cognato) poi prova a “instradare” una nuova conoscenza, l’ingenua Stella che presto si dimostra inadeguata al ruolo, forse per candore, forse per intrinseca onestà. 

Se ne innamora e, per amore, per quella tenerezza che prova - cosa per lui insolita - decide lì per lì di cambiare vita (ma prima ruba una catenina al figlio per regalare le scarpe alla sua nuova amata). La conversione è ovviamente precaria e i buoni propositi hanno vita breve (una giornata di lavoro!): quando si presenta l’occasione, tenta di derubare il carico di un camion, viene colto sul fatto, scappa su una moto, inseguito dalla polizia, muore durante la fuga. (“Ah, mò sto bbene!”)

 

L’opera

Per Accattone Pasolini ha fatto quasi tutto: ha messo l’idea, ha scritto il soggetto e la sceneggiatura, ha curato la regia, ha scelto il cast e le ambientazioni. 

Si può dire che il film è interamente suo. E si vede. Infatti lo stile è grezzo, incerto, stonato, candidamente immaturo. Ma questa ingenuità primitiva, da non professionista, è la forza del film. Se non altro perché rispecchia perfettamente la ingenuità-genuinità del mondo rappresentato. E anche perché è scevra di quelle artificiose patinature che spesso i mestieranti danno alle loro opere.

A un incontro del ’64 con gli studenti del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, Pasolini dice: “sono arrivato effettivamente ad Accattone con una grande preparazione intima, una grande carica di passione cinematografica, ma con una totale impreparazione tecnica, che era però compensata dal mio modo di vedere le cose”.  Se l’operatore gli suggeriva una “panoramica” o il direttore della fotografia consigliava il “flou”, Pasolini non capiva di cosa parlassero.

Perfino la colonna sonora è decisa dal regista, e risulta indovinatissima, per la verità: niente più della “Passione” di Johann Sebastian Bach con le sue solennità sacrali può fare da sfondo a vicende così profane, eretiche, squallide e tristi.

Gli unici apporti esterni li troviamo nella splendida, cruda fotografia dal grande Tonino Delli Colli e - in parte - nei dialoghi, per i quali Pasolini accetta suggerimenti dagli stessi attori non professionisti presi dalle strade in cui è ambientato il film (si dice che Pasolini abbia soprattutto ascoltato i suggerimenti di Sergio Citti, fratello maggiore di Franco, il protagonista, che ha reso i dialoghi più autentici e meno impolverati di letteratura).

A proposito della scelta degi attori - presi dalla strada - c’è da dire che la decisione tutta di Pasolini ci offre quella particolare genuinità (da inchiesta sociologica) che nessun trucco e nessuna abilità recitativa può dare; anche se porta con sé il rischio di una recitazione innaturale, forzata, artificiosa. E così è, con spiazzante evidenza. Ma il risultato è sorprendentemente straordinario, in Accattone come in altri film di Pasolini (compresa la trilogia Decamerone, Mille e una notte e I racconti di Canterbury), al punto che si può dire che Pasolini abbia inventato una nuove tecnica cinematografica e un linguaggio vagamente  iperreale: i dialoghi hanno dei toni talmente innaturali da provocare imbarazzo e irritazione, ma danno alla scena una patina di verginale sacralità, ne fanno un epos proletario, quasi un rito ancestrale, antropologicamente incontaminato, non incrostato da birignao attoriali e da superfetazioni culturali.

 

Conclusioni

Lo sguardo di Pasolini (che diventa nostro) è insieme di amore e compassione, di nostalgia e di pietas per la sorte di questi ragazzi che inconsapevolmente vanno incontro a irrimediabili destini. Dopo la morte di Cristo e di Marx, non c’è scampo per gli esclusi e per le vittime della povertà, soprattutto per quelle che non vogliono piegarsi alle convenzioni borghesi e si ribellano caparbiamente all’etica ipocrita del lavoro-sfruttamento. Non c’è scampo per gli emarginati del pianeta, per l’umanità disprezzata di tutto il mondo, di cui i sottoproletari delle periferie sono una metafora.

"Quando me metto 'n testa 'na cosa io, deve da esse quella! O il mondo ammazza a me, o io ammazzo a lui."

 

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