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Un mercoledì da leoni

Regia di John Milius vedi scheda film

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La recensione su Un mercoledì da leoni

di Antisistema
9 stelle

La vastità del mare sferzata dai venti, finisce con il creare in successione onde gigantesche che diventano metafora della lotta quotidiana nel superamento degli ostacoli quotidiani posti innanzi al cammino dell'uomo. La razza dei surfisti ha molta incoscienza ma tanto coraggio nell'affrontare queste onde alte svariati metri, senza potersi permettere nessun attimo di distrazione, pena essere sbalzati dalla tavola e sprofondare sotto l'acqua, dove la violenza dell'onda successiva ti impedisce la risalita sbalzandoti ancora più sotto. Chi riesce a restare in piedi sulla tavola dominando l'onda, può affrontare nella vita i successivi ostacoli sempre più grandi e difficili da superare, ma approcciandosi ad essi con spirito combattivo e volontà di mettercela tutta per superarli. 

John Milius in gioventù fu un surfista, si narra che i suoi genitori dovettero spedirlo nell'entroterra americano, perchè trascorreva tutto il tempo con i suoi amici a mare in cerca delle onde giuste, arrivando a disinteressarsi dello studio e delle volte a scappare da scuola non appena gli giungesse una soffiata sul mare agitato e quindi adatto ad essere cavalcato con la propria tavola da surf. Il regista nelle foto in bianco e nero che aprono i titoli di testa di Un Mercoledì da Leoni (1978), ha uno sguardo di sfida, tipico della gioventù ribelle, ma oramai adulto guarda quei tempi con una nostalgia velata da una forte carica di malinconia, ogni decennio ha la sua generazione di surfisti, se negli anni 50' Milius ne era il rappresentante come il suo alter-ego filmico Bear (Sam Melville), un costruttore di tavole sul pontile che si affaccia su una spiaggia della California, l'apice come surfista lo ha passato da un bel pò negli anni 50' dove ebbe occasione di mettersi in mostra sfidando una grande mareggiata, ma l'uomo oramai adulto e con barba folta, guarda l'orizzonte con i suoi occhi ancora ricolmi di un bagliore adolescenziale, riponendo grandi speranze nei tre attuali assi del surf che spadroneggiano in quel luogo; Matt Johnson (Jan-Michael Vincent), casinaro, autodistruttivo ma fortemente insicuro verso la vita nel vivere il passaggio dall'adolescenza alla maturità adulta, Jack Barlow (William Katt), riflessivo e dai modi di porsi educati ed infine Leroy Smith (Gary Busey), casinaro e cultore della pratica del sadomasochismo. Tre personalità differenti, ma affiatati e legati da una forte amicizia, di cui assistiamo all'evoluzione nel corso delle quattro mareggiate sviluppatasi in California nell'arco di dodici anni, partendo dal 1962, passando per quelle del 1966 e 1968 per poi finire nel 1974. Se Bear ha avuto un apice, i tre ragazzi invece attendono ancora il loro momento, che come afferma il loro mentore prima o poi avverrà, ma si presenterà solo una volta nella vita, poichè una volta affrontato, partirà la parabola "discendente", in cui si dovrà smettere di vivere in modo spensierato per maturare ed affrontare la vita in modo adulto. 

 

Jan-Michael Vincent, William Katt, Gary Busey

Un mercoledì da leoni (1978): Jan-Michael Vincent, William Katt, Gary Busey


Se Leroy del surf ne farà una professione e Jack risulta essere la figura più saggia del gruppo, Matt del trio è il ragazzo più insicuro, nascondendo la paura di crescere con una marcata tendenza ad affogarsi nell'alcool e combinare casini vari, in pratica è la versione in potenza di Bear, che ha paura di finire come quest'ultimo nonostante il rispetto che porta verso l'uomo. Ma nel 1962 tali pensieri sono solo in nuce, potendo i tre giovani passare il tempo tra feste dove tutti si imbucano (per il dispiacere della povera mamma di Jack, che ci mette la casa) e cavalcate delle onde tramite acrobazie equilibriste valorizzate dal montaggio creativo del lavoro di Robert L. Wolfe, con spettacolari punti di vista della macchina da presa che si addentra nei cavalloni acquatici che stanno per chiudersi e dove sfrecciano i surfisti che hanno il fegato di farlo, Milius sceglie di collocare le riprese sempre in basso o comunque ad altezza d'uomo, per aumentare lo scontro "epico" tra un essere "piccolo" come l'uomo ed una forza bellissima ma distruttiva della natura rappresentata dalle onde acquatiche che s'infrangono. John Milius è conosciuto come grande sceneggiatore, ma ha sempre visualizzato i suoi lavori non tanto dal punto di vista dei dialoghi, quanto dal punto di vista della mascolinità, il regista spesso si è lamentato delle traposizioni di alcune sue sceneggiature come Corvo Rosso non avrai il mio Scalpo (1972) e L'Uomo dai 7 Caprestri (1972), dove il lato selvaggio soccombeva al romanticismo della vita di frontiera nel primo film e all'umorismo bonaccione nel secondo; per Milius il suo cinema è esaltazione della virilità alla massima potenza, mezzo tramite il quale i suoi personaggi si relazionano con gli altri e si rapportano con il mondo, grazie ai muscoli riescono a domare e sottomettere la potenza altrimenti incontrollabile delle onde marine, nonchè ad essere perno di tutto ciò che gravita intorno alla spiaggia, grazie ai loro fisici muscolosi ed ai loro modi di porsi decisi ma con un fondo di sensibilità che tocca delle corde di poesia umana, tipo in Leroy che cerca di infilarsi nel forno in casa di Matt durante la festa, dopo essersi spalmato di olio il corpo, qui l'umorismo di Milius come in tutto il film, assume venature di tristezza in un contesto che invece tutto sommato risulta goliardico e di divertimento. 

 


Ma gli anni passano a si giunge così a metà anni 60', in cui i nostri ragazzi stanno crescendo ed ognuno sta prendendo strade diverse, seppur stiano ancora tutti e tre in quel luogo, se il matrimonio di Bear funge da riconciliazione e ultimo barlume d'innocenza, l'incubo del Vietnam piomba con tutta la forza nelle vite dei nostri ragazzi, arriva la lettera di arruolamento e l'unico modo per sfuggire al fronte è essere respinti alla visita militare. Le posizioni di Milius uomo sulla guerra del Vietnam sono note, lui è sempre stato favorevole da giovane in contrasto con tantissimi suoi conoscenti che erano parte della controcultura e quindi ideologicamente contrari ad essa, ma le scelte dell'autore non sono per forza le scelte del film, che è si ammantato di una patina di virilità e di una certa nostalgia verso l'adolescenza ed il passato, in contrasto con le problematiche del presente, ma Milius grazie alla sua abilità di regista riesce a rappresentare la complessità nel Vietnam tramite Matt, Jack, Leroy e altri nuovi conoscenti come Waxer, dipendente del negozio di tavole da surf di Bear. Alcuni di loro le provano tutte pur di sfuggire all'arruolamento, c'è chi si traveste da Hitler spiaccicando frasi contro gli ebrei ed i neri, chi punta sull'infermità mentale sconquassando tutto, altri cercano di spacciarsi per omosessuali (e forse lo sono?) oppure si millantano problemi di natura medica in modo da essere riformati, ma vi sono anche individui come Matt che decidono di passare tranquillamente la visita militare ed essere soggetti ad arruolamento, perché per lui partire per il Vietnam è considerato un dovere, la patria e l'amore verso di essa è un valore da rispettare. E' una scelta controversa da parte del regista, non condivisibile secondo i canoni di oggi (e di ieri), conservatrice e di destra quanto volete voi, però al cinema conta prima di tutto l'abilità con la macchina da presa e Milius riesce a dare la dovuta profondità nell'inquadratura alla scelta di Matt e a rappresentare a 360° la complessità del Vietnam, senza acrobazie artificiose di cerchiobottismo argomentativo, ma solo presentando in modo depurato e senza filtri la scelta radicale intrapresa dal ragazzo, tramite il suo sguardo volto verso i luighi della gioventù cercando di cogliere quanti più ricordi possibili per portarseli nel cuore. Si giunge così al 1974, l'occasione di tutta una vita e questi 20 minuti finali sono e saranno le migliori scene di surf mai girate al cinema, con angolazioni impossibili e costruzione delle inquadrature che creano un vero respiro epico nella sfida finale affrontata dai tre ragazzi oramai diventati adulti, come dei protagonisti di un film di Sam Peckinpah che vanno incontro al loro destino per un'ultima grande sfida, dove daranno tutto loro stessi, per poi terminare circolarmente con l'inquadratura iniziale dei gradini di pietra che conducono al mare, dove si percepisce che un'epoca è finita, adesso è necessario dare spazio alle nuove generazioni. Insieme all'Ultimo Spettacolo (1971), American Graffiti (1973) e Means Street (1973), Un Mercoledì  da Leoni è uno dei quattro coming of age che catturano appieno lo spirito di un decennio, con le ansie e la paure di una generazione, un piccolo capolavoro privo del razzismo generazionale idealizzato artificiosamente del film di Geroge Lucas o di un Vitelloni per principanti in salsa gangster, a conti fatti è avvicinabile solo al film di Peter Bogdanovich, che gli risulta però superiore per eliminazione totale del fattore nostalgia constatando l'infelicità e le contraddizioni umane in ogni tempo e luogo storico, ma tolto questo nonostante il flop ai botteghini del film di Milius all'epoca della sua uscita, adesso lo si può collocare dove merita nella storia del cinema. 

 

 

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