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Brimstone

Regia di Martin Koolhoven vedi scheda film

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La recensione su Brimstone

di mck
6 stelle

Paint my face with your fingers.


Se sei un regista cinematografico, ti trovi nella prima fase della carriera e vuoi utilizzare il genitivo sassone possessivo nei confronti del “tuo” film con cognizione di causa e senza (s)cadere nel ridicolo, attaccando cioè la “s” pre-apostrofata al tuo cognome prima del titolo, devi comunque (pre)meritartelo. E anche in quel caso, meglio di no. Altrimenti rischi di fare la figura del povero pirla. Nonostante magari tu non lo sia. E pure se alla fine ci aggiungi un altro ingombrante sovraccarico inserendo ben 8 minuti di titoli di coda. “Koolhoven's Brimstone” : e - senza eccessivo stupore - potrebbe partire la pernacchia (fosse stato un Verhoeven's, ecco, allora, forse...).

 

 

L'arte per l'arte, il puro piacere – programmat(ic)o – del racconto: ecco Nerone che osserva Roma bruciare, ecco Roma che brucia. L'arte per il Mondo, invece, dovrebbe essere il farci guardare, vedere, percepire Roma attraverso gli occhi di Nerone e Nerone attraverso gli occhi di Roma. Qui, invece, solo alte, immense fiamme, e una figura di spalle.  

 

 

D'altro canto, tutta l'opera è cosparsa di piccoli gesti e soluzioni sorprendenti, e da varie citazioni western e non, comprese due, lampanti, da “the Night of the Hunter” (l'una, in veranda con fucile nella notte, già in “Fargo 2”, l'altra, subacquea, capelli sciolti e fluttuanti nella corrente), che non stonano affatto.   

 

("Siamo Calvinisti Protestanti Cristiani: questo è il nostro bello! Siamo olandesi e i Paesi Bassi ci andavano stretti, perciò siamo venuti in America - che ci ha accolto a braccia, anzi a intere leghe, aperte -, un luogo dove possiamo regredire a nostro piacimento. E questo è il bello dell'America!")     

 

I primi due poderosi capitoli, molto validi, sono da [***¾], il 1° (contenente tra le altre cose un'ottima sequenza di messa in abisso dal punto di vista di dio nella stalla delle pecore culminante con la costruzione di un bel gesto di apparente sospensione/reiterazione del tempo che invece si trasforma in un anticipato colpo di scena), e da quasi [****], il 2° (abitato e pervaso da una furiosa, progressiva, insorgente costruzione narrativa condensata, pregna e naturalistica della messa in scena - in alcuni momenti sembra di stare a/in “DeadWood” - strutturata e svolta senza dover subire contropartite); il terzo capitolo è il peggiore, rasenta appena la semi-sufficienza [**¾] e si barcamena tra piccole dosi non letali di ridicolo involontario e faciloneria inconcludente, mentre il quarto è una via di mezzo tra i suoi predecessori: tira le fila della storia, un po' forzatamente, per giungere - a questo punto, ovvero raggiunto il traguardo delle due ore - velocemente al dunque, e porta a casa un [***¼]. Non è sempre la somma che fa il totale, ma questo caso, per impura coincidenza, rientra nel novero delle eccezioni che confermano la “regola”, e infatti il giudizio finale si ferma ed attesta s'un [***¼], un [6½] abbondante.    

 


Dakota Fanning esprime la sua prova più matura assieme a quelle costruite in “the RunAways” di Floria Sigismondi, “Night Moves” di Kelly Reichardt e “American Pastoral” di Ewan McGregor.
Emilia Jones le tiene testa (per forza di cose a distanza). Guy Pearce, l'antagonista terminator-mefistofelico {paradossalmente un incestuoso Quilty per Lolita e non per Humber Humbert [ovvero un H.H. ancor più degenerato, che sostituisce il pretesto dell'amore, dell'infatuazione possessiva, della vita, con la menzogna personale (la "interpretazione" del Verbo) condita con la menzogna del Libro], già a metà della narrazione auto-definitosi in tutta la sua natura respingente, ripugnante, da forca immediata}, quasi mai finisce oltre le righe, e interpreta con equilibrio un personaggio ad alto tasso di saturazione strabordante degli eccessi di caratterizzazione. Gran belle prove di William Houston e Carla Juri (“WetLands”, “Paula”, “Blade Runner 2049”). Completano il cast Carice van Houten, Kit Harington, Paul Anderson, Vera Vitali, Jack Roth, Naomi Battrick.
Set spagnoli e austroungarico/mitteleuropei. La fotografia (2.35:1) di Rogier Stoffers, il montaggio (che procede lineare, nonostante il cronosisma, nei suoi blocchi semi-compartimentati) di Job ter Burg e le musiche (possenti) di Tom Holkenborg (aka Junkie XL) sono al servizio della narrazione e senza fronzoli, bellurie o pretenziosità. Forse solo le scenografie risultano essere troppo “perfette”.   

 


(5.)3.2.1.4(.6).

(5.) Prologo sottolacustre. Dakota Fanning.
Penetrazione del proiettile. Riflesso/Rifrazione. Rimbombo della detonazione.
[I.] 3. “Rivelazione” (Dakota Fanning) :
s'apre s'una nascita alla luce delle lampade a olio e si chiude su altre budella esposte, nelle ceneri della notte.
[II.] 2. “Esodo” (Emilia Jones. Dakota Fanning) :
s'apre s'uno scorticato cammino a picco sotto il solleone di mezzodì e si chiude, non ancora cicatrizzato, nella polvere della notte.
[III] 1. “Genesi” (Emilia Jones) :
si apre sulla digrignante, sanguinosa e purulenta carcassa cotta dal sole d'un cavallo testimone e sentinella muta di un massacro e si chiude all'alba con l'inizio del cammino.
[IV.] 4. “Castigo/Ricompensa” (Dakota Fanning) :
s'apre in fuga nella nebbia nevosa e si chiude dove tutto cominciò a raccontarsi.
(.6) Epilogo sopralacustre. Dakota Fanning.
Lampo. Suono. Fumo.      

 


Si dice spesso, di una serie tv (ovviamente a sviluppo orizzontale), e spesso a sproposito, inflazionando e depotenziando il senso e il significato dell'espressione: “È un film di 10 ore!” (personalmente ho “peccato” in ciò con “True Detective”, “Fargo”, “Stranger Things”, “the Night of”...). E perché, allora - in quest'epoca (ovvero sul finire - o il consolidarsi? - della terza età dell'oro delle serie tv) in cui la serialità ha raggiunto il cinema-cinema - non ribaltare, capovolgere, restituire al mittente la definizione? “BrimStone” è una mini-serie tv (“Olive Kitteridge”, “Show Me a Hero”) in 4 puntate (e non è né una qualità positiva né negativa, ma solo grammaticale, sintattica, strutturale), ed è un complimento.   

 

 

"The Vvitch" in una (dinastico/semi-capitalista) versione moderna/pre-contemporanea.     

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