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Certain Women

Regia di Kelly Reichardt vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Certain Women

di laulilla
9 stelle

Film di eccezionale qualità, originale e bello, del tutto ignorato, anche se non sembra possibile, dalla nostra distribuzione

Il Montana costituisce lo sfondo paesaggistico molto ampio di questo bellissimo film: una sterminata pianura, ai piedi delle alte cime innevate quasi tutto l’anno, attraversata da una ferrovia su cui viaggiano i treni che trasportano le merci. Siamo nei pressi della città di Livingston, un tempo probabilmente più densamente abitata: i pionieri che l’avevano fondata, avevano creato anche la scuola, ora ridotta a un ammasso di pietre che giacciono, inutilizzate, nella proprietà di un vecchio solitario possidente (René Auberjonois). Finita, dunque, nella grande periferia dell’ agglomerato urbano, quell’antica scuola diventa quasi un segnale del progressivo impoverimento, anche culturale, di Livingston, di cui sono testimonianza, d’altra parte, gli edifici anonimi del suo centro ora a prevalente vocazione terziaria: i supermercati, i ristoranti, i locali alla moda, nei quali le sole tracce del passato sono ravvisabili nell’esibizione, venata di esotismo, di variopinti “pellirossa” per il divertimento facile dei residenti e dei turisti di passaggio.

La regista Kelly Reichardt, ispirandosi liberamente a tre storie della scrittrice Maile Meloy, ci racconta la vita di alcune donne; minime storie di donne dei nostri giorni, che a Livingston o nei suoi dintorni vivono o lavorano, arrabattandosi fra le mille difficoltà dovute alla crisi che sta travolgendo, insieme al Montana, anche il nostro mondo.
Le loro storie, anche se trattate separatamente, talvolta si sfiorano e sono, in ogni caso, unificate dal colore malinconico della fotografia, dalla coerenza stilistica del film, che è la struggente e sommessa narrazione delle loro solitudini dolorose, di cui è evidente metafora l’immagine ricorrente del vetro che riflette il paesaggio bellissimo e che separa drammaticamente gli abitanti, uomini e, soprattutto, donne. Laura, Gina, Elizabeth e Jamie, le eroine del film, sono tutte, infatti, per le ragioni più diverse, donne sole, intelligenti, poco stimate, poco ascoltate, poco amate.

Laura
ha il bel volto lynchano di Laura Dern ed è l’avvocato che aveva dovuto misurarsi col caso difficile di un cliente che, non essendosi lasciato consigliare da lei (in fondo era solo una donna), col proprio irresponsabile e avventato comportamento si era cacciato nei più seri guai. Era stata lei ad affrontarlo, sola  e disarmata, mandata a trattare con lui la resa e la liberazione di un ostaggio, mentre squadre di poliziotti, armati fino ai denti, aspettavano poco lontano la fine dell’operazione! Nessuno di loro aveva voluto correre il rischio. Né il ritorno a casa, dove l’attendeva l’unico suo vero affetto, il suo labrador fedele, sarebbe stata davvero la fine di quell’ incubo, poiché a quell’uomo sciocco ora era rimasta l’unica certezza della sua disponibilità ad ascoltarlo, periodicamente, nel parlatorio del carcere.

Gina
è la magnifica Michelle Williams, al suo terzo film con la regista, ed è forse il personaggio più drammatico. Non lavora, ed è perciò completamente assorbita dai suoi compiti di moglie e di madre a cui sacrifica la propria indipendenza. Il marito, oltre che fedifrago (è l’amante di Laura, con la quale condivide lo studio di avvocato), è un uomo inetto, incapace di assumere le proprie responsabilità di padre e di marito: preferisce assecondare i capricci della figlia adolescente, poco disposta ad ascoltare la madre, a cui tocca, dunque,  “far la parte della cattiva”, e a cui tocca anche trattare col vicino, l’acquisto di quella partita di pietre “storiche”dell’antica scuola, così da dare alla nuova casa dei loro progetti, radici nella storia e nella cultura di Livingston. La sua totale dipendenza dal ruolo di moglie e di madre non le impedisce però di sentire e soffrire il peso di una solitudine, senza rimedio né consolazione possibile.

Elizabeth e Jamie
Elizabeth, una “nervosa” e perfetta Kristen Stewart, è una giovane fresca di studi giuridici, ma non ha potuto terminare l’Università per la necessità di lavorare, a qualsiasi costo, dopo la morte del padre. Non volendo abbandonare del tutto i propri progetti, ha  accettato  di insegnare diritto, senza compenso, in un corso serale per adulti. Assiste casualmente alla lezione Jamie (interpretata da Lily Gladstone attrice straordinaria, arrivata al film direttamente da una riserva di nativi americani).  Jamie lavora tutto il santo giorno in un ranch, che sorge quasi ai piedi della catena montuosa, ma alla sera, talvolta, si concede una piccola pausa a Livingston. Aveva notato l’assembramento degli adulti davanti ai locali destinati alle lezioni serali ed era entrata anche lei, insieme a loro, ma si era sentita circondata da una diffidenza pesantissima, cosicché si era sistemata nell’ultimo banco: sempre duri a morire i pregiudizi dei bianchi! Eppure, alla fine della lezione, affascinata e incantata dai modi di Elizabeth, aveva trovato il coraggio di avvicinarsi e parlarle: avrebbe cenato con lei e da lei avrebbe saputo dei suoi studi interrotti e delle sue speranze di riprenderli. Per Jamie si era trattato di uscire, finalmente, dal proprio isolamento: le cene insieme a lei si sarebbero ripetute, ma per qualche settimana soltanto, perché Elizabeth era riuscita finalmente a laurearsi e a trovare un lavoro precario, ovviamente, nello studio legale del marito di Gina e di Laura. Una imprevista e bellissima sorpresa, però, avrebbe suggellato l’ultima cena in comune fra le due donne: come un antico palafreniere medioevale, Jaime avrebbe fatto salire sulla groppa di uno dei suoi meravigliosi cavalli Elizabeth, per riaccompagnarla, dopo la cena, all’auto che l’avrebbe riportata in città. Scena stupefacente e straordinaria, malinconico commiato fra due donne che avevano provato (o forse era solo Jamie?) a comunicare fra loro.

Film incredibilmente bello, che temo, non verrà visto da molti spettatori in Italia. Personalmente sono riuscita a vederlo al cinema Massimo di Torino (Museo del cinema), che lo ripeterà per pochi spettacoli ancora, in lingua originale  sottotitolato. Che peccato! Possibile che questo film eccezionale, miglior film nel 2016 al BFI London Film Festival,
non trovi un distributore coraggioso che lo diffonda nel nostro paese? Questa recensione vuole essere anche un invito, per quanto poco ascoltato, a considerarne l’opportunità.

 

 

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