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Voglio solo che mi amiate

Regia di Rainer Werner Fassbinder vedi scheda film

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La recensione su Voglio solo che mi amiate

di ed wood
8 stelle

Nella breve ma intensa e prolifica carriera di Fassbinder, c'è anche questo film, dove il regista tedesco lascia da parte il melodramma e i retaggi sirkiani per concentrarsi sulla materia sociale. Dopo una prima parte in cui si rappresenta un ambiente domestico regolato dalle leggi dello sfruttamento e della sopraffazione, il film prende la piega di un dramma proletario, per poi tornare in chiusura al "regolamento di conti" con la figura autoritaria paterna (anzi: genitoriale, in generale, giacchè tanto la madre quanto il padre vengono ritratti con durezza; e astratta, poichè la "vittima" non è il padre, ma "un" padre). Il film è straziante e opprimente nella misura in cui i due umili sposini si ritrovano a sacrificare gioie e passioni della vita matrimoniale, poichè sempre con l'acqua alla gola, sempre con la fatica di arrivare alla fine del mese. Nei loro dialoghi non c'è spazio per il romanticismo, per il desiderio, ma solo per l'economia domestica, il conto dei denari, l'incubo degli esattori, lo spauracchio della disoccupazione. E la grana della maternità. In questo film così pieno di ellissi, di flashback e di flashforward, c'è un momento che chiarisce la questione sessuale: mentre discutono sull'imminente nascita del proprio pargolo, un flashback li riporta al loro primo rapporto sessuale: RWF li inquadra mentre si spogliano, separati da un raffinato gioco di specchi (ce ne sono svariati in questo film, e abbinati ai complessi, eleganti e calibrati controcampi  e movimenti di macchina, compongono l'abituale scandaglio dello spazio scenico che ha reso lo stile di RWF uno dei più compiuti ed espressivi del cinema moderno); stacco immediato sul neonato nella culla. Come a dire: il piacere del coito è negato; il sesso è solo una necessità procreativa. Un film dominato dalle cifre, dai soldi, fin troppo ripetitivo ed ossessivo in questa nuda ed onesta rappresentazione della miseria di una classe operaia alle prese da un lato con una sopravvivenza difficile, dall'altro col miraggio della vita borghese (lo champagne e i gioielli che il marito è disposto a comprare alla moglie, anche se questa non glielo ha chiesto, a costo di lavorare la domenica e non pagare le rate del prestito). Un film sulla vergogna e l'umiliazione nei confronti dei propri genitori, da cui dipendere necessariamente: Fassbinder espone, con implacabile linearità, i meccanismi iniqui, barbari e crudeli che regolano la società capitalista nella sua unità-base, la famiglia. Così che la denuncia risulti più netta e, al contempo, per niente retorica, dogmatica o declamata (come invece accadeva in tanto altro cinema marxista dell'epoca). Lo sguardo spiritato del protagonista, abbinato al peculiare straniamento della messinscena, contribuisce al risultato ed accresce la nostalgia per un cinema che sapeva essere genuinamente politico, senza tentennamenti o ambiguità, nel momento stesso in cui inventava ed elaborava forme articolate ma non astruse, linguaggi sempre al servizio di un messaggio chiaro e semplice.

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